Per il bambino, il disegno e il gioco rappresentano gli strumenti principali di esplorazione e di presa di coscienza di sé, di essere altro dal mondo esterno, fatto di persone ed oggetti.
Il gioco rappresenta tuttavia un tipo di attività che si attua attraverso i rapporti tra fanciullo e mondo esterno, mentre il disegno va via via assumendo, nel corso della crescita individuale, una funzione da meramente esplorativa a rielaborativo-conoscitiva ed inconsciamente introspettiva.
L’attività del disegno viene così ad acquistare una importanza formativa nello sviluppo della personalità e della psiche del bambino per il suo ruolo di rappresentatività, possibilità partecipativa e risoluzione ai problemi concreti che egli riscontra nell’ambiente circostante, come asserito dalla psicologa Anna Oliverio Ferraris:
“ …attraverso il disegno egli arriva ad elaborare e ad esporre in maniera sintetica alcuni soggetti e problemi che affiorano disordinatamente da più parti del mondo circostante e che il bambino riesce ad isolare e rappresentare con strutture più organiche e corrette”.[1]
Gli studi sul disegno infantile si sono sviluppati a partire dagli anni Settanta, giungendo a conclusioni interessanti e fornendo un indispensabile ed utile bagaglio informativo per educatori, psicologi e genitori. E’ stato consolidato innanzitutto come nel disegno si possa cogliere l’espressività immediata e spontanea dei sentimenti e delle visoni del mondo che ogni bambino manifesta in un dato momento della propria esistenza.
La comprensione del disegno infantile implica la scoperta della psiche emotiva infantile: quali emozioni positive e negative accompagnano il bambino durante la sua esistenza.
Sono state scardinate ormai da tempo le teorie psicologiche di Spencer, secondo il quale disegno e gioco sarebbero solo la conseguenza di un surplus di energia scaricata dal bambino, considerati ora, al contrario, strumenti formativi e costruttivi nella crescita globale della personalità: nel disegno, infatti, mondo esteriore e mondo interiore si compenetrano, consentendo a quest’ultimo di estrinsecarsi attraverso l’immediatezza della vivacità del colore e del tratto della matita, di esprimere le tracce emotive lasciate dalle esperienze; tracce indelebili e sedimentate nell’inconscio che vanno ad incidere nella formazione identitaria della persona.
Studi sulle cause dell’autismo
La scoperta dell’infanzia emotiva attraverso la lettura del disegno ha determinato anche una svolta nella comprensione di pensieri ed emozioni dei bambini autistici, la cui sindrome pone proprio una barriera comunicativa tra loro e il mondo circostante.
Gli studi condotti sinora sui bambini con sindrome autistica partono sempre da esperienze di singoli soggetti: non si considera il disegno del bambino autistico X, ma il disegno di X che soffre di una sindrome autistica.
I bambini aurtistici rappresentano un universo infatti variegato e complesso che non può essere ridotto ad un’unica interpretazione del fenomeno.
Attualmente, buona parte della comunità scientifica propende verso l’attribuzione di una componente fortemente genetica.
Il celebre neuropsichiatria nonché importante studioso dell’autismo, Michele Zappella sostiene che studi sui gemelli, condotti dal 1977 in poi, hanno dimostrato una forte concordanza per l’autismo nei gemelli monozigoti ed una bassa concordanza negli eterozigoti.
Citando le sue parole: “studi recenti su famiglie in cui c’erano due o più figli artistici suggeriscono che si tratta di un’eredità poligenica, cioè con più geni candidati che interagiscono tra loro su alcuni aspetti del comportamento. Una componente ambientale è pure presente , qualunque sia la sua natura (tossica, infettiva, ecc.,) ed essa può interagire con la componente genetica ereditata. Gli studi di neuropatologia hanno dimostrato alterazioni microscopiche delle strutture microcolonnari della corteccia cerebrale ed alterazioni cellulari nel sistema libico e nell’amigdala: ciò fa pensare ad un disturbo della migrazione cellulare nel secondo trimestre di vita uterina.”[2]
Alcune teorie attuali hanno individuato l’origine dell’autismo in anomalie cerebrali a livello strutturale e biochimico.
Analisi post-mortem hanno evidenziato un limitato sviluppo di due aree del sistema libico, responsabili dell’emotività, dell’aggressività, dell’apprendimento e della percezione sensoriale ed anche anomalie nelle zone del cervelletto responsabili dell’attenzione: tali zone in alcuni soggetti sono molto ridotte e in altri molto sviluppate.
“Queste anomalie di sviluppo” spiega Simona Zazzetta “potrebbero alterare la percezione dell’ambiente esterno. Una delle tesi più recenti arriva dall’Australia, da due psicologi, John Mitchell ed Allan Snyder i quali sostengono che le straordinarie facoltà di queste persone, in realtà, sono presenti in tutti noi. La percezione degli stimoli passa attraverso i sensi sottoforma di singole informazioni che vengono processate dal nostro cervello per diventare un concetto, un’idea. Dopo pochi mesi dalla nascita la nostra corteccia cerebrale inizia a funzionare e ad elaborare le sollecitazioni del mondo esterno: è attraverso questo meccanismo che iniziamo ad apprendere. I diìue ricercatori sostengono che tale coordinazione è assente negli autistici, nei bambini è molto lenta e comunque sempre incompleta. I singoli messaggi percepiti restano isolati, per cui queste persone focalizzano la loro attensione su un unico aspetto dell’esperienza senza riuscire a coglierla nella sua completezza: afferrano solo dei dettagli, forse ad altri impercettibili, come se di una fotografia vedessero solo i pixel o di una canzone le singole note.”[3]
Per quanto riguarda il fattore psicologico, Zappella ha sostenuto che l’unica evidenza dimostrata di una causalità collegata ad esso è rappresentata solo da quei bambini che sono stati allevati in orfanotrofi gravemente deprivanti, come quelli che si trovavano nella Romania di Ceausescu e altri paesi dell’est.
In passato, i sostenitori della posizione psicoanalitica attribuivano la causa dell’autismo infantile ad un rapporto conflittuale madre-figlio.
Tale ipotesi ha iniziato a vacillare quando è entrata in contrasto con la base neurologica dell’autismo e soprattutto quando sono stati riscontrati numerosi casi di bambini autistici che non avevano avuto alcun rapporto conflittuale con le loro madri.
Analisi dei disegni di bambini autistici
Gli studi psicoanalitici rimangono ancora utili nel tentativo di penetrare i segreti dell’inconscio, di comprendere il linguaggio emotivo espresso dai bambini autistici, come da tutti i bambini, attraverso il disegno, rompendo quella barriera comunicativa, quel muro che quotidianamente si frappone tra sé ed i familiari, i maestri, i compagni di scuola.
Generalmente, il bambino autistico manifesta totale disinteresse per le persone e per gli avvenimenti che accadono intorno a lui: egli è immerso nel suo mondo, lontano dalle frustrazioni, dalle delusioni e dai pericoli esterni.
Le sue risposte sono sempre bizzarre, insolite ma, se sostenute da buona intelligenza, rivelano un tipo di associazione mentale originale.
I bambini autistici manifestano nei loro disegni la tendenza a rappresentare un mondo fantastico nel quale vivono immersi e completamente posseduti.
Il regno dell’immaginario e del fantastico li ingabbia fino ad impedire loro il viaggio di ritorno, scatenando una fantasia sfrenata, fatta spesso di rappresentazioni catastrofiche e lugubri che esprimono una percezione ansiosa dell’universo.
L’impossibilità di comunicazione con le persone, in particolare con quelle familiari, emerge con la rappresentazione grafica di figure fisse, separate tra loro da linee nere e verticali che possono talvolta assumere l’aspetto di muro invalicabile o ancora, di un mare diviso a metà.
A volte i bambini autistici non si rappresentano graficamente come esseri umani, ma come oggetti con i quali tendono completamente ad identificarsi; Negli anni Settanta, lo studioso Betthelaim riportò il caso di un bambino autistico di nove anni che in un suo disegno si era identificato con una macchina.
Egli venne definito “bambino meccanico” in quanto si rappresentava chiuso in un marchingegno meccanico che gli controllava sia la respirazione che i movimenti.
“Le esperienze quotidiane del bambino” come ricorda di questo caso Anna Oliverio Ferraris in un suo libro “erano fortemente condizionate dalla convinzione di essere una macchina, tanto che si rivolgeva agli altri con monosillabi, parlava a se stesso come ad una macchina e i suoi movimenti erano simili agli scatti regolari di un meccanismo…La sua vita era regolata da riti precisi e rigidi, entrando nella stanza da pranzo egli tendeva un immaginario filo elettrico da un’immaginaria fonte di energia al tavolo, poi isolava se stesso con un tovagliolo e soltanto allora si sedeva per mangiare” .[4]
L’identificazione con il marchingegno meccanico venne spiegata da Betthelaim come la conseguenza di un rifiuto affettivo da parte della madre nei confronti del figlio; rifiuto manifestato fin dalla nascita del piccolo.
Di qui la necessità da parte del bambino di compensare questa carenza affettiva attraverso la creazione di un guscio “meccanico” che gli permetteva di affrontare con la freddezza e la rigidità delle azioni automatiche l’indifferenza ed il mutismo affettivo del mondo esterno.
L’analisi di altri disegni di bambini autistici ha mostrato come alcuni di essi esprimano in modo marcato e netto una forte fantasia di aggressività, testimoniata per esempio dalla forte pressione esercitata sul foglio, tanto da lasciare dei buchi, oppure la raffigurazione di dettagli del volto molto marcati (mento rinforzato, collo tozzo o bocca larga e spessa) o di gesti violenti (pugni chiusi, narici disegnate) o ancora,di personaggi armati o in procinto di compiere atti violenti.
Nelle mie esperienze didattiche, ho avuto modo di osservare disegni di alcuni bambini autistici, avendo poi occasione di analizzarli con persone specializzate nel settore di test proiettivi legati all’età infantile.
E’ interessante ricordare il disegno di una bambina autistica di nove anni nel quale era rappresentato un uomo gigantesco che aveva in una mano un bastone e nell’altra una casa con alcune persone al suo interno.
In questo disegno si poteva cogliere l’angoscia profonda di questa bambina nel comunicare col mondo e la necessità di annientarlo, in qualche modo, per garantirsi la sopravvivenza.
Alcuni bambini autistici manifestano la propria aggressività o forte angoscia nei confronti del mondo, utilizzando colori molto forti, come il rosso ed il nero.
Alcune volte, l’aggressività viene indirizzata verso se stessi: un bambino autistico di sette anni da me incontrato qualche anno fa si raffigurava come un omino nero che perde una mano tagliata con una forbice.
Ciò sta a significare la forte diffidenza ed ansia di uscire “allo scoperto”.
Da quanto sin qui detto, si può allora sostenere che l’approccio psicoanalitico risulta ancora valido nello studio sistematico dei disegni dei bambini, in particolare di quelli più isolati dal punto di vista comunicazionale col mondo esterno, fornendo un utile strumento diagnostico delle problematiche e delle difficoltà delle quali consapevolizzare gli ambienti educativi, fatti da insegnanti e genitori, frequentati dai bambini, sì da aprire un varco attraverso il quale poter iniziare un progetto condiviso di obiettivi e di valorizzazione di potenzialità nascoste, come testimoniano numerose creazioni artistiche di bambini e ragazzi autistici.
Mi viene da citare a questo proposito la poesia scritta da Pier Carlo, un ragazzo autistico che scrive al computer facilitato con un semplice tocco al collo:
“La laguna è bianca di ghiaccio.
I gabbiani camminano sulle barche
Adagiate sopra croste bianche.
Io guardo il paesaggio freddo:
Tutto il mio mondo
È come questa barca
Incagliata nel ghiaccio”.
(Laguna ghiacciata)