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Salute

Il DSM ha ancora Senso?

La follia non è stabile, muta ed evolve con la cultura, con il tempo e con i contesti. La clinica cambia, assume altre forme.
Come non ricordare gli scritti di Charcot e Freud sull’isteria con le puntuali descrizioni di casi ormai scomparsi dalla clinica odierna? Come non pensare all’anoressia “restrittiva”, oramai di raro riscontro, soppiantata da forme anoressico-bulimiche diffuse anche al sesso maschile un tempo “immune” dal fenomeno?
Lo stesso manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM) è stato rivisitato più volte in una sorta di restiling, necessità dovuta appunto al mutare temporale della clinica. Ma quando si fa riferimento alla clinica il parametro di riferimento culturale è quello occidentale. Come è possibile applicare uno strumento di classificazione nosografica come il DSM ad altre culture?
Un sintomo oltre a declinare una patologia ha soprattutto un valore simbolico che non è interpretabile prescindendo dal contesto culturale nel quale si sviluppa. Se pur volessimo prescindere dalla critica rimane sempre la soggettività delle persone che qualsiasi manuale non ci aiuta ad esplorare. L’empatia, l’ascolto, l’astensione dal giudizio sono alcuni aspetti che ci aiutano a conoscere un paziente, a capirne aspettative e motivazioni, ad entrare nel suo mondo soggettivo, reale od immaginario che sia.
Sono da rilevare ulteriori aspetti di perversità connessi al DSM: l’etichettatura lega spesso una persona ad una terapia specifica, il più delle volte farmacologica e ancor più grave le regala un’identità patologica. Identificarsi con una patologia è un contraccolpo duro per chi cerca una via di fuga dalla sofferenza. Convivere con una patologia non deve equivalere ad identificarsi con essa.E’ emblematico che il tossicodipendente che esce dal vortice della sostanza il più delle volte viene identificato quale ex-tossicodipendente. Poi ci sono gli psichiatrici, i parkinsoniani, i cardiopatici e via dicendo. “Buongiorno dottore sono un celiaco”, ad esempio, può essere la frase d’esordio di un paziente che si rivolge al medico. Un esempio di identificazione con la patologia.
Tornando al DSM è indubbio che questo sia un artificio che qualcuno ha ritenuto necessario al fine di operare una catalogazione nosografica che venisse in aiuto per formulare un’ipotesi diagnostica. Le neuroscienze oggi ci confermano che il nostro cervello non funziona come un computer e pertanto esistono variazioni dell’attività cerebrale intra ed intersoggettive. Così viene a cadere l’illusione che un insieme di sintomi possa rappresentare una determinata forma patologica.
Un’indagine di Hsu nel 1993 mostrò come la maggior parte delle persone anoressiche di etnia cinese non avesse mai sviluppato la paura di ingrassare. Eppure per il DSM è un criterio fondamentale per formulare la diagnosi di anoressia nervosa. Queste persone per il DSM cosa sono? Qui si tocca con mano il limite di tale strumento che può anche condurci fuori strada quando dobbiamo inquadrare la problematica di un paziente.
Un problema esiste indipendentemente dalla sua connotazione nosografica e per dare aiuto a questi pazienti “orfani” è necessario spogliarsi di ogni velleità nosografica e far ricorso all’empatia probabilmente lo strumento più importante per entrare nel mondo della sofferenza.

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Luciano Berti