Abstract
Importante oggi nel mondo professionale, guidato da un mercato imprevedibile, crearsi abilità professionali e competenze attitudinali. Necessaria al manager, per non perdere il controllo della gestione aziendale, è la capacità di adattamento nel senso di atteggiamento e non comportamento abitudinario. Il counselor, attraverso il teatro gestaltico, aiuta il manager a superare generalizzazioni, a riconoscere se stesso nella sua interezza e allena la persona ad utilizzare diverse griglie interpretative. Nella vita la possibilità di scelta è indice di libertà. Il teatro gestaltico, dunque, usato come mezzo per apprendere e sperimentare la propria capacità di adattamento e tutto quanto ne consegue.
Per evitare di perdere il controllo dell’organizzazione, che come sappiamo è continuamente sottoposta a cambiamenti che richiedono alte competenze professionali, è fondamentale imparare ad affrontare e gestire stress e cambiamento rapidamente con creatività ed equilibrio. Una delle tante abilità che un manager deve possedere per non perdere il controllo sulla gestione delle varie componenti aziendali è la capacità di adattamento. La capacità di adattamento è innata in quasi tutti noi, è proprio per questa capacità che impariamo a vivere in una determinata situazione e che riusciamo a superare le crisi. Nell’era in cui viviamo, però, i cambiamenti sono talmente rapidi e improvvisi che spesso non si ha il tempo nemmeno di accorgersi che sono in atto.
Ciascuno di noi utilizza una propria mappa personale per decodificare ogni messaggio. Il counselor è allenato a ricordare che la mappa non è il territorio, ovvero che la propria interpretazione non è unica e universale ma condivisibile, che ciascuno, pur condividendo un territorio con altri, ha insita una mappa personale. Il compito del counselor è quello di aiutare l’altro a decodificare la sua mappa personale e non quello di trasferirgli la propria. Questo significa che insegna all’altro a riconoscere le proprie risorse personali; può condividere parte della sua griglia interpretativa raccontando di se stesso, come mezzo per mettere in luce che ci sono diverse sfaccettature senza pretendere, però, che l’altro la utilizzi o la preferisca.
La costruzione della realtà avviene sulla base delle fantasie che ciascuno di noi ogni giorno crea. In altri termini, quando il bambino cresce sperimenta la vita e man mano si fa un’idea, una fantasia su quanto sta sperimentando. Queste idee diventano le sue griglie interpretative, diventano la mappa che utilizzerà per decodificare il mondo. Questo processo di crescita non smette mai in noi. Fare esperienza a teatro attraverso l’improvvisazione e il mettere noi stessi in gioco ci permette di accrescere il nostro bagaglio, sviluppando in noi alternative mappe del territorio in modo da non perderci se ci troviamo a un bivio. La fantasia di ciascuno di noi, lo sappiamo, non combacia con la realtà, per questo, anche se noi viviamo nella fantasia raccontandoci che questa è la realtà assoluta, è possibile affermare che non esiste una realtà assoluta o oggettiva ma esiste solo una realtà soggettiva concordata e condivisa in parte da una comunità. Infatti è vero che la terra gira intorno al sole, è una verità assoluta che ciascuno, però, di noi percepisce con delle diverse sfumature. Sappiamo tutti che un essere vivente a quattro zampe con occhioni e baffoni e che fa miao si chiama gatto ma … il gatto è bello? Il gatto è furbo? Il gatto è intelligente? Il gatto è indipendente? Il gatto è affettuoso? Il gatto è grigio? Grigio chiaro, scuro o fuliggine?
Un Counselor è come Caronte per Dante, non fa il tifo per una o per un’altra scelta del cliente ma, semplicemente, lo accompagna mostrando lui ciò che da solo non riesce a vedere perché non è abituato a quella particolare ombra o sfumatura. E’ la creatività che ci permette di re-inventarci e di entrare in contatto con il proprio intimo. Rinunciare alla creatività significa scegliere di non pensare e diventare metodico, se non addirittura nevrotico. La creatività è innata nell’uomo sin dalla sua nascita; se il bambino non fosse creativo non potrebbe sopravvivere. Con il tempo si apprende come ci si deve comportare per vivere bene (o male) e ci si allontana dalla creatività che fa anche un po’ paura perché ci mostra ciò che non vogliamo vedere, fino a perderla. La creatività, però, si può anche re-inserire attraverso lo sviluppo della fantasia e del gioco. Con la creatività la consapevolezza non si traduce in un concetto intellettuale controllato dalla coscienza razionale (conoscenza) è, invece, un fluire presente di emozioni che non subiscono la censura dell’io ma vengono vissute, ascoltate e scelto se liberarle o canalizzarle o a volte … ahimé … soffocarle.
Il teatro può essere considerato un mezzo attraverso il quale ci si sperimenta e ci si conosce e in questo percorso ci permette di migliorare le nostre abilità e acquisirne di nuove. Nel teatro gestaltico si lavora su un copione che è un pretesto scritto dallo stesso attore tra realtà e fantasia, ovvero estrapolato da un fatto reale così come io personalmente l’ho percepito e lo trasformo in ciò che potrebbe essere. Nella condivisione con gli altri miglioro le mie qualità di team worker e di coordinatore. Mi sperimento nella mia abilità interpretativa, creativa, espressiva e di ascolto. Nell’osservare gli altri che stravolgono e ripropongono il mio lavoro, imparo ad indossare più occhiali, a cogliere più sfumature e ad affidarmi agli altri nel lavoro di gruppo. Nell’ascoltare le sensazioni finali degli altri imparo ad accettare complimenti e critiche nei miei confronti, ad accorgermi delle diversità tra quanto volevo esprimere io e quanto hanno percepito gli altri, tra cosa io penso di rappresentare e cosa rappresento per gli altri. In questo tipo di teatro la consapevolezza si sperimenta per ciascuno dei 7 livelli ontologici del sé come delineati dalla professoressa Clarkson. Si lavora su un piano fisico, emotivo, narrativo, normativo, oggettivo, storico e spirituale per avere una consapevolezza personale e delle proprie abilità professionali sempre pronte – attive – presenti. Nel teatro gestaltico si lavora sul presente ricordando che il passato è la nostra esperienza, è ciò che ci ha portato dove siamo ed è maestro di noi stessi e che il futuro è speranza, è i nostri sogni, è il nostro obiettivo ma che si può intervenire solo sul presente.
Attraverso un percorso di teatro gestaltico si arriva quindi alla consapevolezza del cambiamento.
L’esperienza è il modo più sicuro di apprendere e il teatro è una buona palestra dove praticare le diverse e creative possibilità della vita, per allenare questa abilità necessaria, soprattutto per manager e dirigenti, i quali oltre al proprio stress devono gestire quello del gruppo operativo. La gestalt si occupa dell’esistere, ovvero ciò che c’è in quanto lo sperimento. Nel teatro gestaltico si lavora con l’improvvisazione che è quella che ci permette di avere più esperienze di cambiamento. Il teatro si può considerare una delle più grandi scuole di sperimentazione dopo quella della vita stessa. Molto importante è l’incontro tra me e l’altro (sia esso un soggetto, un oggetto o una parte di me stesso), ovvero la relazione io-tu, e la decodifica che io applico al sentimento o all’emozione che vivo in quel preciso istante.
L’altro è un’occasione per trovare un modo di identificare un proprio sé, per questo non dobbiamo mai dimenticare che, in ogni caso, ci si sta occupando di se stessi e non degli altri. E’ un processo quasi maternale, simbiotico, necessario allo sviluppo del bambino per la costituzione delle sue mappe, l’adulto che attua questo processo su un altro adulto, in realtà attua un meccanismo di regressione. A teatro ci si può sperimentare attraverso il confronto simbiotico con l’altro me: il personaggio. In ogni relazione sana c’è un tu e un io, anche quando il tu emerge da una mia emozione. A teatro io sono l’attore e agisco il ruolo del personaggio insieme con altri attori, altri personaggi e il pubblico.
Il counselor, così dovrebbe saper fare il manager, entra nel mondo dell’altro attraverso il processo empatico per capire e non per sentire e/o provare le altrui emozioni. Molta attenzione bisogna fare alle generalizzazioni che derivano dal mondo delle credenze. E’ normale che ognuno di noi abbia delle credenze ma è salutare riconoscerne l’arbitrarietà (sono credenze e non verità assolute). La nostra credenza può essere una guida per la vita ma bisogna fare attenzione perché ogni credenza è allo stesso tempo vera e falsa. Attraverso il teatro è possibile prendere contatto più da vicino con le credenze altrui e rinunciare così alle proprie generalizzazioni, magari essendo sempre più consapevoli di essere d’accordo con se stessi.
Anche il valore è arbitrario e non universale, ciò che ha valore per una persona può non averlo per un’altra persona. Nonostante esistano dei concetti nominalmente universalizzati, qualcuno può scegliere di non assumerli come propri. La libertà è un valore universalizzato, ma in realtà che significa libertà per ognuno di noi? Quanto è importante per ognuno di noi?
“E se tu fossi … in che modo faresti?”
Con questa domanda si cerca di entrare in un rapporto di responsabilità. Si pongono domande usando il condizionale e con molta cautela anche l’indicativo. Ad un certo punto si arriva ad un momento cruciale, al paradosso: un momento soglia che permette il passaggio al cambiamento.
Per essere responsabili bisogna essere consapevoli di sé stessi, del proprio corpo, del proprio pensiero e delle proprie emozioni. In scena si impara ad essere consapevoli del proprio corpo, della propria mente e delle proprie emozioni e ad essere responsabili, altrimenti si è fuori. In scena siamo responsabili dell’attore che mostriamo, impariamo ad essere responsabili di noi stessi e di ciò che trasmettiamo.
Un bravo attore ricorda sempre che il passato è un ricordo, il futuro un sogno; a teatro sei tu, nella tua realtà scenica, responsabile e presente, nel qui ed ora … e sta accadendo davvero!