Si parla spesso di depressione utilizzando e divulgando terminologie cliniche che spesso lasciano il lettore interdetto e confuso[1]. C’è chi sostiene che questa forma di “tristezza vitale” sia la manifestazione di cause organiche sebbene gli studi più moderni si focalizzano nella direzione multifattoriale che vede il biologico, lo psichico e l’ambiente come concause scatenanti.
Lutti, separazioni, relazioni affettive logoranti, dipendenza da farmaci, traumi passati o che perdurano, sono elementi che si incontrano circolarmente nel flusso della depressione. Spesso la mancanza di relazioni affettive stabili e durature influisce sull’umore creando sconforto e disistima. Inoltre il moderno stile di vita concitato, algido e rispondente ad aspettative troppo alte da raggiungere, agisce sul nostro sistema immunitario rendendoci più deboli.
C’è da chiedersi cosa si nasconde dietro la cascata di sintomi che connotano “il male oscuro” e se esiste una via d’accesso verso la guarigione.
Da un punto di vista meno clinico è utile intendere la nostra esistenza come una complessa, continua evoluzione e maturazione della nostra essenza interiore. Questo processo che Jung chiamava “di individuazione”, si costruisce attraversando delle fasi vitali in alcune delle quali la nostra psiche e il nostro corpo soffrono di un dolore intimo, di una tristezza profonda, di una totale perdita di interesse per le cose e per il mondo. Parliamo di depressione quando gli accadimenti quotidiani, lo stress psicofisico, la difficoltà ad incontrare se stessi e gli altri si impongono come elementi discordanti e avversi che provocano una serie di sensazioni crepuscolari. Il nostro corpo risponde senza energia, i nostri pensieri vanno nella sola direzione del dolore di vivere, la nostra curiosità si trasforma in apatia, spesso in modo improvviso e non annunciato.
Ci sentiamo soli e incompresi, proviamo rabbia o paura per il futuro imminente, il mondo ci scappa sotto i piedi, l’ansia incalza la nostra quotidianità sin quando tutto si ferma e il nostro percorso appare stagnante nella sofferenza.
Cosa fare in questi casi. Esiste una prescrizione?
In realtà non possiamo generalizzare sulle emozioni personali della singola persona ma si può intervenire, anche tempestivamente, quando ci si accorge di determinati segnali d’allarme, primo fra tutti l’ansia cronica, ovvero l’inquietudine, lo smarrimento, l’agitazione con tutte le conseguenze fisiche (tachicardia, tremori, vertigini, spossatezza).
L’obbiettivo di questo contributo non è tanto descrivere quanto aiutare a capire che uno dei principali nodi da sciogliere riguarda l’incapacità di ascoltarsi, ovvero non dare spazio a quelle risorse interiori di cui la natura ci ha dotato. Dal punto di vista strettamente psicologico la depressione incombe quando perdiamo il contatto col nostro mondo interiore. Nella sofferenza cronica un elemento indispensabile per una buona guarigione è l’attenzione a noi stessi, riducendo le aspettative abnormi e concedendosi agli operatori qualificati per “contenere” il disagio. Per ridurre il rischio di cronicizzare il dolore l’intervento psicofarmacologico integrato ad una buona terapia psicologia supportiva è sicuramente il primo passo da affrontare, spesso faticoso ma inevitabile. I primi accorgimenti quotidiani come il miglioramento della cura personale subentrano solitamente dopo qualche settimana. Dal punto di vista sociale l’acquisizione dell’autostima persa nel passato è sicuramente un obbiettivo raggiungibile tramite il dialogo con le figure di riferimento(psicologi, psicoterapeuti, medici).
Chiedere aiuto è importante, perché da soli non si guarisce.!
I caregivers soffrono ma:
Questi dovrebbero astenersi dall’incalzare con frasi del tipo” mettici la volontà!”, “esci e incontra gente”, “fatti forza”, ecc. Queste modalità non fanno altro che incrementare la sofferenza di chi non ha più contatto con il concetto di volontà che la patologia ha reso quasi impercettibile. Nelle depressioni gravi la volontà manca e il metodo d’intervento deve essere mirato sull’individuo, rispettoso delle sue esigenze personali, emozionali e relazionali, nonché della sua peculiare personalità e del suo ambiente di vita. A questo riguardo si impone un rigido cambiamento inerente la qualità della vita, occorre guardare la propria storia personale e le eventuali cause oggettive di disagio come malattie, perdite, separazioni, lutti ecc. In questo caso il cambiamento d’umore dipende dalla personale predisposizione ad affrontare gli impedimenti. Laddove ci sia un supporto familiare funzionale e consono alle problematiche l’umore tenderà col tempo a migliorare gradualmente. Quando i primi miglioramenti lo permetteranno solo la persona nella sua soggettività, supportata da una figura di riferimento e da attività di gruppo cercherà di “rientrare”, con un percorso di maturazione alle spalle di maggior consapevolezza interiore.
Il paziente depresso non prende più decisioni, tutto gli sembra problematico o non risolvibile e progressivamente sviluppa un senso di incapacità e di inadeguatezza personale. In genere si sente in colpa perchè non riesce più a svolgere i propri compiti e si considera l’unico responsabile di eventuali problemi familiari.
A un’osservazione esterna il depresso grave appare affaticato, mostra un rallentamento di tutti i movimenti, il viso è triste o indifferente e difficilmente cambia espressione.
Spesso accusa difficoltà di concentrazione e di memoria, disturbi del sonno, riduzione dell’appetito, disturbi gastrointestinali, perdita del desiderio o del piacere sessuale.
L’appetito è generalmente ridotto, il paziente mangia poco o non mangia affatto e dimagrisce talvolta in maniera evidente.
Le alterazioni del sonno possono essere varie: insonnia terminale, insonnia iniziale, inversione del ritmo sonno-veglia.