fbpx

Miglioramento

Coaching Sportivo e Coaching Aziendale: la Motivazione

Abstract
Nella squadra vincente (aziendale o sportiva) la motivazione richiede particolare attenzione. Motivare le risorse che si impegnano poco, mantenere alta la motivazione di una risorsa soprattutto in particolari momenti di pressione, dare i giusti rinforzi, mantenere il miglior clima emotivo etc…sono preoccupazioni vitali per il team.
La prima risposta è l’importanza della consapevolezza da parte del coach della funzione della motivazione. Imparare a cogliere il vuoto e renderlo fertile, anziché futile, permette un cambiamento in termini positivi. Nel gruppo lavoro la motivazione è comune ma anche personale, quest’ultima non va messa da parte o si rischia di affondare nel malumore.
All’interno di una stessa organizzazione collaborano, contemporaneamente, più squadre che operano in sinergia fra loro. Il coaching aziendale, come quello sportivo, ha lo scopo di motivare, specializzare, rendere competitivi e orientare la persona, e la squadra, al risultato. Il team, in questo modo, può puntare sulle potenzialità dei collaboratori in particolari e del gruppo in generale, rendendo il settore specializzato e competente.
Là dove si parla di espressione e sviluppo di potenzialità il coaching è un ottimo strumento di crescita. L’intervento del coaching è mirato all’espressione e allo sviluppo di un talento o di una specifica potenzialità e non va confuso con l’intervento di counseling, che mira invece a risolvere specifiche problematiche di relazione, spesso nascoste dietro problematiche organizzative, all’interno di un processo; o con l’intervento di mentoring che vede un legame tra una nuova risorsa (denominata mentee) con poca esperienza nello specifico settore professionale, e una risorsa più anziana del settore con maggiore esperienza (appunto il mentore) con il quale la prima possa costantemente confrontarsi per aggiustare e migliorare la sua professionalità.
Ogni singola persona è una risorsa unica che concorre e partecipa l’organizzazione. E’ molto importante che il Manager sappia riconoscere il talento di ciascuna persona e lo sappia potenziare, proprio come l’allenatore fa con il suo atleta. In quest’ottica il manager può essere considerato, se fornito delle giuste competenze professionali, un vero allenatore per la sua squadra.
Uno dei temi di maggior rilievo per lo sviluppo di una squadra competente e vincente (sia essa sportiva che aziendale) è la motivazione. Dietro allo studio sulla motivazione ci sono delle domande comuni che riguardano principalmente, ma non solo, la sfera emotiva della risorsa:
1. come motivare le risorse che si impegnano poco?
2. come mantenere alta la motivazione di una buona risorsa,
soprattutto in particolari momenti di pressione lavorativa?
3. Quali sono i rinforzi che motivano le risorse?
4. Qual è il miglior clima emotivo per la motivazione?
La prima risposta a tutte queste domande è l’importanza della consapevolezza da parte del coach (allenatore, manager, coordinatore o dirigente che sia) sulla funzione della motivazione come spinta verso il buon risultato della risorsa, della squadra e quindi di tutta l’organizzazione. Saper motivare le proprie risorse oggi, in un contesto in cui l’essere attivo e creativo è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi così, come per la qualità della vita, è, dunque, un’abilità del manager basilare per il buon funzionamento della squadra.
La prima analisi viene fatta sulle motivazioni che spingono la singola persona a frequentare quella determinata squadra: il motivo per cui l’atleta è arrivato a scegliere quella determinata specialità e il motivo per cui una persona si ritrova a lavorare proprio in quell’organizzazione, in quella squadra. Dal particolare, l’analisi sulla motivazione della risorsa, si allarga verso un contesto più generale e si cerca di integrarla nel sistema organizzativo.
Nella formulazione di questa analisi il coach deve fare attenzione a saper distinguere in modo consapevole ciò che emotivamente appartiene a lui e ciò che a lui è sconosciuto o da lui è diverso e va, quindi, ricercato. Attenzione a non usare generalizzazioni: “ciò che io penso è vero in modo assoluto ed è il meglio”, l’esperienza, per quanto buona, non insegna ciò che è in assoluto preferibile per tutti, quindi per l’altro ma, piuttosto, a saper affrontare diverse situazioni. Per meglio comprendere cosa sono le generalizzazioni che ci chiudono gli occhi di fronte al prossimo, fate attenzione agli insinuanti pensieri del tipo “E’ meglio il colore rosso. Sicuramente per David e Caterina va bene il rosso. Compro loro una divisa rossa e saremo tutti a posto”. Anche quando l’intuito è superbo e ha fiuto, meglio non indovinare ma chiedere direttamente stabilendo un contatto diretto con le risorse del tipo “ Io preferisco la divisa rossa perché mi da l’idea di essere un colore aggressivo come la nostra azienda, voi che ne dite? Cosa pensate sia meglio?” , anche se il manager non cambierà idea e la divisa sarà rossa, in questo modo David e Caterina l’accetteranno senza frustrazioni.
A proposito delle differenze motivazionali, da uno studio di Kathleen DeBoer sull’allenamento dei campioni sportivi, emerge che le donne rispondono a motivazioni diverse dagli uomini non solamente per la loro differenza fisica. È stato di recente osservato che le donne sono spinte verso una maggiore perfezione tecnica, dunque verso la competenza; gli uomini, invece, sono più attratti dalla competitività, fanno più facilmente gioco di squadra.
La motivazione si muove in una sfera soggettiva, bisogna per questo motivo studiarla con cautela e saper distinguere con precisione la spinta motivazionale comune del gruppo e quella propria della singola persona. Ciascuna persona è spinta da una storia ed ha motivazioni differenti che non diventano automaticamente comuni a tutti solo perché si è parte di una stessa squadra. La difficoltà sta proprio nel saper riconoscere i singoli motivi personali e costruirne uno comune a tutti, nel rispetto sempre e comunque della sfera personale. Competenza, competitività, desiderio di appartenenza ad una collettività, necessità di riconoscimenti, orientamento all’obiettivo etc… sono tutti motivi validi per essere un elemento produttivo in un gruppo. La chiarezza di un obiettivo comune può aiutare molto il manager, come l’allenatore, a mantenere vivo un interesse comune. Raggiungere un podio olimpico, come raggiungere un certo budget di vendita, come terminare la produzione di uno specifico oggetto entro quella precisa data stimola il lavoro di gruppo in modo collaborativo e competitivo. Non bisogna, però, dimenticare che dietro le motivazioni comuni ce ne sono di personali, non sempre economiche come si tende a pensare ma, piuttosto, di qualità quali la promozione, il riconoscimento ufficiale del proprio operato, il ringraziamento della propria professionalità, la condivisione del successo e molte altre ancora. Ricordo ancora che se la sfera personale viene sempre messa da parte, piano piano, si arriva all’insoddisfazione del singolo che si incontra presto con un altro singolo insoddisfatto … che insieme contagiano l’intera squadra. Nello sport spesso i giovani lasciano la squadra perché non sentono più soddisfatta la spinta iniziale; nelle aziende le risorse cambiano il posto di lavoro, quando non spinti da fattori esterni come una prossima dismissione dell’azienda stessa, per lo stesso motivo, provano un senso di vuoto, di insoddisfazione che li rendono smaniosi di cercare … sarebbe meglio sapere cosa, prima di trovarla!
Gestalticamente parlando, l’arrivo di questo vuoto è un momento cruciale per il coach. Va vissuto come un momento fertile, di predisposizione al cambiamento, al miglioramento. Nel vuoto bisogna cercare spunto per avviare un percorso di trasformazione, di formazione, e non lasciarlo sprofondare nella depressione di un nichilismo inconsapevole. Vuoto fertile e vuoto futile. E’ un’occasione per iniziare un ciclo gestaltico in modo cosciente e portarlo a termine senza permettere che si creino delle necessità nascoste, pronte a covare malumori per anni, perché perse nei meandri di una quotidianità poco attenta e frenetica. Nel momento in cui si avverte che c’è un senso di vuoto bisogna prenderne atto e cercare l’oggetto dei desideri. Bisogna essere bravi ad ascoltare e osservare se stessi e gli altri per arrivare a vedere ciò che manca, possono essere numerosi i fattori che ci rendono incompleti, la mancanza di una competenza, un ringraziamento, una promozione, un buon allenamento fisico o mentale, una vacanza, un aumento di stipendio o di attenzione e tanto altre possono essere le risposte a questo vuoto. Una volta individuata l’esigenza bisogna definire obiettivi e strategie, insieme con la persona, o con il gruppo, per colmare il vuoto e decidere l’azione da intraprendere per attuare il cambiamento. Arriva poi il momento di agire, di mettere, cioè, in pratica quanto si è deciso, di raccogliere i frutti e goderseli e, quindi, si è pronti per un nuovo ciclo.
Lo sviluppo delle competenze professionali può essere considerato un vero e proprio allenamento con obiettivi precisi e programmati da raggiungere. L’allenamento in ambito aziendale concettualmente ha le stesse caratteristiche di quello sportivo. Il training formativo ha lo scopo di ottenere dei risultati con strategie prestazionale ottimali, ovvero ottenere i migliori risultati con il minor dispendio di energia. In sintesi il coach conosce il suo coachee (la persona da allenare, sportiva o aziendale che sia) e instaura una relazione personale, fa un’analisi delle sue competenze, dei suoi desideri, delle sue aspettative, della motivazioni e di tutto quanto può concorrere a formare un quadro completo della persona. Collega motivazione, aspettative e desideri personali del coachee con quelle della squadra e studia un percorso di sviluppo rendendo chiari i risultati da raggiungere, ovvero gli obiettivi prestabiliti in quanto singola risorsa e in quanto appartenente ad un gruppo di lavoro.
Anche tempistica e tempismo di lavoro sono momenti che richiedono particolare attenzione da parte del coach manager. Bisogna imparare a riconoscere il momento del vuoto ed intervenire prima che la risorsa si perda, avere un discreto senso del tempismo. Per quanto concerne la tempistica, il coach normalmente lavora sul presente, sui risultati ottenuti per guardare in modo propositivo al futuro, ovvero agli obiettivi da raggiungere. Affrontando un lavoro al 70% pratico e al 30% teorico. Difficilmente il coach si rivolge ad una deprimente riflessione sugli errori del passato se non per menzionarli come meri esempi di ciò attraverso cui bisogna migliorare.

Picture of Silvia Corridoni

Silvia Corridoni

Aggiungi commento

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.