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Miglioramento

Coaching Sportivo e Coaching Aziendale: Consapevolezza e Responsabilità per Superare Noi Stessi

La normalità è qualcosa che ha posto dei limiti, delle regole o delle credenze che permettono al cammino di essere funzionale. Per superare se stessi e raggiungere un nuovo obiettivo, i limiti devono essere superati per creare una nuova normalità: dei nuovi limiti. Migliorarsi, dunque, per un’organizzazione significa superare i propri limiti per crearne dei nuovi, significa orientare le proprie risorse verso il successo.
La consapevolezza e la responsabilità sono tra le caratteristiche fondamentali di una persona di successo come anche per un campione sportivo. Vediamo in che modo il percorso della professionalità è simile al percorso di un campione.
Vorrei aprire questo articolo parlando della normalità e del cambiamento: “è normale che ci siano dei cambiamenti che cambiano la normalità”, è un concetto questo a me molto caro e che mi serve come base per arrivare a parlare di consapevolezza e di responsabilità. Che vuol dire essere normale? Qualcosa è normale fin quando segue regolarmente un percorso che è funzionale per giungere all’obiettivo delineato. Non esiste più uno stato di normalità quando sopraggiunge un cambiamento che rende questo percorso non più funzionale a raggiungere l’obiettivo. La normalità è un qualcosa che ha posto dei limiti, delle regole, dei confini o delle credenze che permettono al cammino di essere funzionale. Quando avvertiamo che il cammino non è più funzionale dobbiamo trovare la causa del malfunzionamento ed è qui che sopraggiunge il cambiamento che necessita lo sfondamento dei confini. I limiti devono essere superati per crearne di nuovi. Una nuova normalità: dei nuovi limiti.
La consapevolezza di se stessi, è tanto importante quanto la consapevolezza del proprio ruolo professionale. E’ facile dire “il capo mi fa fare ma non mi riconosce”, bisogna però ricordare che anche noi “facciamo per il capo (e non per l’azienda) senza chiedere che ci venga riconosciuto”. Il riconoscersi nel proprio ruolo professionale ed essere, quindi, riconosciuto nel tale ruolo da colleghi, clienti e fornitori, è un passaggio fondamentale.
La consapevolezza è il primo passo verso il cambiamento infatti, una volta realizzatasi la consapevolezza, la situazione non è più la stessa. E’ avvenuto in noi un cambiamento che interferisce con il mondo circostante modificando il proprio e l’altrui atteggiamento. Ciò che poco prima era normale nel momento in cui si diventa consapevoli, non lo è più.
Ma, che cosa è “normale”? Normale è ciò che poco prima, rispetto al raggiungimento dell’obiettivo, rendeva un percorso funzionale e che, poco dopo, diventa proprio il limite di quella stessa funzionalità. Le cause possono essere interne o esterne o entrambe, in ogni caso vanno individuate per poter agire un cambiamento verso il nuovo “normale” che ci permette di raggiungere l’obiettivo tanto desiderato… e si ricomincia!
Nelle organizzazioni moderne, ai fini di uno sviluppo e di una crescita professionale, con l’obiettivo di formare personale vincente, sarebbe auspicabile far fare degli stage formativi similari a quelli degli atleti professionisti per apprendere a diventare vincenti.
Vediamo in che modo il percorso del professionista di successo è simile al percorso di un campione sportivo, in comune hanno le seguenti caratteristiche:
1. Forte motivazione,
2. Consapevolezza dei propri limiti,
3. Responsabilità,
4. Orientamento al risultato,
5. Abilità nella gestione del cambiamento,
6. Competenza tecnica.
7. Tempistica
8. Capacità decisionale
Nel confronto tra un atleta vincente e un professionista di successo, vorrei raccontare la mia modesta visione di consapevolezza e responsabilità. Cominciamo con il notare che un’organizzazione per avere successo all’esterno della struttura, deve essere funzionale al suo interno. Per funzionare bene internamente, un’organizzazione, deve essere abile nell’adeguarsi rispetto ai continui cambiamenti cui è sottoposta affrontando, soprattutto, quelle regole che determinano il suo percorso o i suoi limiti. Migliorarsi, dunque, per un’organizzazione significa superare i propri limiti per crearne di nuovi. Per effettuare questo passaggio, è necessario che tutti i concorrenti, ovvero tutte le sue risorse, siano in grado di vedere e superare i propri limiti. A questo proposito la consapevolezza personale risulta un’ottima via per affrontare l’ostacolo e dirigersi verso il successo.
Parimenti, nello sport di alto livello, l’atleta per raggiungere il risultato sperato, rispetto anche alle possibilità reali e ai suoi avversari, deve essere fisicamente in forma ed emotivamente pronto alla prova. Per essere sempre in forma e competitivo al massimo l’atleta si deve migliorare costantemente. Quando l’atleta alza l’obiettivo lavora soprattutto sui suoi limiti, ovvero li cerca, li riconosce e li supera: quegli stessi limiti che per raggiungere il precedente obiettivo erano punti di forza. Questo significa che se il campione mondiale di salto con l’asta vuole superare il proprio record, dovrà modificare qualcosa nel meccanismo vincente del precedente record per avere più spinta in alto rispetto al punto in cui si era stazionato e non far cadere l’asticella. A dirsi sembra facile e quasi quasi lo si da per scontato, ma non lo è: superare anche solo un centimetro di quel record richiede un allenamento, una forza di volontà, un equilibrio emotivo e una forma fisica pazzeschi e per un tempo abbastanza lungo da richiedere notevoli sacrifici, tanto che si passa spesso per lo sconforto e la disperazione.
La grande difficoltà del superare i propri limiti, spesso, sta nel fatto che per arrivare ad una sì alta consapevolezza e capacità di miglioramento è necessario disimparare tutto ciò che si è appreso ed ha funzionato. Aprire la propria mente a nuovi schemi di pensiero significa destrutturalizzare le strutture che per anni sono state funzionali e vincenti: i nostri meccanismi, quelli che possono essere definiti anche come le nostre passioni. La mentalità vincente si ottiene, naturalmente, non solo provando ma anche vincendo e, in primis, vincendo se stessi.
C’è un po’ di timore a lavorare con l’agonismo sportivo nelle scuole, a volta si associa all’agonismo una denotazione negativa. Bisognerebbe prestare attenzione al fatto che nello sport agonistico, a scuola ma anche in altre occasioni, non si impara solamente a vincere ma anche a perdere. Perdere una competizione non necessariamente significa essere perdenti come persone ma comportarsi da vincenti utilizzando la sconfitta come punto di partenza per il miglioramento. Insegnare lo sport nel modo corretto nelle scuole aiuta i ragazzi ma anche la società, a non essere tifosi violenti, è un buon modo di fare prevenzione rispetto agli spiacevoli avvenimenti degli ultimi anni.
Ma cosa sono in concreto questi limiti di cui si parla così spesso? In che modo superarli? Personalmente, io immagino i nostri limiti come degli alibi. Questi alibi si nascondono spesso dietro le nostre passioni che sono quelle che ci portano in una direzione piuttosto che in un’altra senza che ne abbiamo reale percezione.
Intendo con la parola “passione”, in questo specifico contesto, quel momento in cui mi trovo a prendere la decisione perdente e sento la necessità di giustificarla, quel momento in cui non posso proprio fare diversamente: “non mi alleno perché forse non mi prenderanno alle Olimpiadi “. Una persona vincente si allena pensando che probabilmente, se si impegna, sarà proprio la persona scelta per le Olimpiadi. Quante volte ci ritroviamo a giustificare la nostra scelta avendo un pezzetto di coscienza silenziosa in un angolo del nostro cuore che ci dice “se non vai non vincerai mai”?, ascoltarla è la scelta più faticosa.
Riporto una interessante idea espressa in un corso di formazione nella quale, un docente molto attento, ci ha proposto di considerare due tipologie di orientamento delle persone:
1. Orientamento alla sfida: il mio desiderio/obiettivo è questo e se non mi bastano le risorse a disposizione le aumento, butto gli sprechi e provo ogni possibilità.
2. Orientamento alla sfiga: il mio desiderio/obiettivo è questo ma considerato che non ho tutte le risorse a disposizione non lo posso realizzare.
In pratica, la differenza tra i due sta nel fatto che il primo, una volta definito l’obiettivo, analizza il contesto, le risorse e le possibilità spinto da una forte emotività; il secondo effettua l’analisi spinto da un ragionamento logico e basato sulle risorse materiali disponibili in quel preciso contesto (riflettete soprattutto voi che in questo momento state formulando una frase del tipo “e che altro deve analizzare?”). Per quanto ne so io la motivazione reale nasce dal piacere e non dal dovere!
Come entra la responsabilità in relazione alla consapevolezza? Il momento in cui riusciamo a prendere consapevolezza di un nostro limite e decidiamo di affrontarlo per superarlo, di disimparare ciò che abbiamo faticosamente imparato e che fino a quel punto ci ha dato dei buoni frutti. Per arrivare proprio a quel preciso momento di ascesa, bisogna passare per la responsabilità ovvero non vedere più la nostra vita nei termini di quanto gli altri ci permettono o proibiscono ma, piuttosto, dobbiamo analizzare la nostra vita in termini di quello che noi facciamo o non facciamo per superare un ostacolo e proprio in quel preciso contesto.
Questo faticoso vortice di parole serve a spiegare che se non ottengo una promozione (o una medaglia), piuttosto che passare il mio tempo a rammaricarmi di quanto qualcuno sia stato cattivo (o chissà cos’altro, sic!) piuttosto, devo riflettere su cosa effettivamente io ho fatto per ritrovarmi in quella situazione e cosa io non ho fatto per non raggiungere l’obiettivo (sempre che quello fosse il mio reale obiettivo). Una volta presa consapevolezza della mia mancanza o del mio errore mi alleno a superarlo fino a quando mi sento pronto a tentare nuovamente oppure, decido di cambiare obiettivo oppure, semplicemente rinuncio.

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Silvia Corridoni

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