Abstract
La trasformazione del mercato ha visto il passaggio del dominio dalla produttività alla domanda, quindi dalla programmazione stabile e mirata alla richiesta da parte di un pubblico eclettico e un po’ schizoide. L’organizzazione, in quanto sistema aperto, vive continuamente lo stress del cambiamento rapido e imprevedibile. Per gestire il cambiamento, la tempistica e lo stress e trasformarli in uno stato produttivo, occorre personale specializzato e un atteggiamento di adattabilità molto saldo. Il counselor aziendale ben supporta questa necessità.
Considerando l’organizzazione come un sistema aperto, ovvero un insieme organizzato di elementi che interagiscono e si condizionano reciprocamente per il raggiungimento di uno o più obiettivi, non si possono non valutare le continue trasformazioni che avvengono nella stessa organizzazione e non si può non considerare il mercato e l’ambiente circostante, anch’essi in continua trasformazione.
Negli anni ’80 abbiamo visto la prima grande trasformazione del mercato, se fino a quel momento la possibilità, quantità, qualità e il prezzo venivano stabiliti dall’attività produttiva; improvvisamente il mercato si è fatto pressante ed esigente e ha cominciato a richiedere sempre di più. La domanda ha preso il sopravvento sull’offerta influenzando l’intero sistema e scatenando a catena altri cambiamenti. L’ambiente circostante, che prima viveva una competitività stabile e costante, viene sopraffatto da una competitività del tutto instabile e repentina. Le aziende, così come anche i ruoli aziendali, seguono l’instabile flusso della domanda e della competitività portando a ruoli e professioni non più stabili e durature nel tempo ma angoscianti e in continua mutazione. In sintesi possiamo descrivere il mercato oggi come il vero selezionatore delle imprese.
I condizionamenti esistenti tra i vari elementi che partecipano alla vita dell’organizzazione, possono essere sintetizzati in un input (ovvero una richiesta) e un output (ovvero la soddisfazione della richiesta), che pongono al centro un sistema fatto di una struttura organizzativa, risorse umane, risorse strumentali, vincoli normativi, procedure e obiettivi aziendali. Tutti insieme collaborano al raggiungimento dello scopo comune, ciascuno ha anche uno scopo di settore ponendo i suoi limiti e la sua elasticità nell’intreccio con l’altro. E’ chiaro che la gestione di questo gomitolo sgomitolato va affidata a persone abili, competenti e in continua formazione altrimenti si rischia di dover tagliare i fili per liberarsi dei nodi e la struttura potrebbe creare dei vuoti improvvisi.
Il cambiamento era prima valutato un imprevisto mentre oggi può essere considerato come l’unica variabile costante delle organizzazioni moderne e funzionanti.
Le aziende vivono di una vita propria e, come ciascun organismo vivente, durante il loro processo evolutivo si adattano all’ambiente circostante e sopravvivono oppure soccombono. I grandi cambiamenti normalmente devono passare per l’evoluzione tecnologica, la comparsa dei concorrenti e la globalizzazione dei mercati. Una rapida capacità di adattamento è ciò che oggi, più di ogni altra cosa, rende un’organizzazione stabile nel mercato. Naturalmente la capacità di adattamento è dell’azienda nel suo macrocosmo ma riguarda l’insieme unico dei suoi microcosmi, ovvero ciascun settore, area, funzione, persona dipendente o collaboratore risentirà di questi cambiamenti aggiungendone ai suoi e di suoi.
Il cambiamento è la principale fonte di stress che è quindi, anch’esso, sempre presente nella vita organizzativa e per questo va gestito in modo efficace e funzionale. Ciò che rende difficile questo tipo di gestione è la non continuità del comportamento adattivo che è subito sottoposto a nuovo cambiamento, si parla quindi di atteggiamento adattivo e non di comportamento. Risalta subito evidente per un manager la necessità di fornirsi di un atteggiamento capace di adattarsi ripetutamente al cambiamento, in questo contesto il counseling offre spunto e supporto allo stesso tempo.
Volendo fare un escursus storico delle origini dello stress vediamo che nel 1440 si chiama ‘stress’ l’accento tonico di una parola o l’enfasi che si pone nel pronunciarla. Nel 1843 lo ‘stress’ è una tensione o pressione fisica applicata su un qualsiasi corpo materiale. Nel 1968 si indica anche una pressione di carattere mentale, nel 1971 si associa allo stress la sindrome di adattamento.
Negli anni ‘50 Hans Selye espone il tema dello ‘stress’ in un ciclo di conferenze, itineranti per l’Italia, di carattere medico affrontando l’argomento esclusivamente da un punto di vista bio-fisiologico, Selye parlò per la prima volta di ‘stress’ nel 1936 nella pubblicazione “A syndrome produced by diverse nocuous agents” (Nature, London 138,32,4.VII.1936). Fu lui ad accorgersi che le reazioni di carattere bio-chimico scaturite dall’adattamento sono indipendenti dal tipo di aggressore e si manifestano nell’organismo biologico attraverso un insieme di cambiamenti morfologici e patologici. Seyle si riferisce alla sindrome generale di adattamento come a quella risposta generale data dall’organismo a qualsiasi sollecitazione gli venga imposta dall’ambiente. Ci si rende presto conto che la risposta dello stress non può essere generale ma deve essere specificata, altrimenti non si spiega come possa dare origine a quella determinata patologia piuttosto che a l’altra. Nell’osservare lo stress è importante quindi tener conto di diversi fattori come lo stato fisico generale del soggetto, il suo stato psichico e fisico antecedente l’evento scatenante, le caratteristiche di personalità, il contesto storico-sociale ed emotivo del soggetto e l’evento (interiore o esteriore) scatenante lo stress.
Da un punto di vista psicologico si può considerare lo stress come quella pressione che alcuni eventi esercitano sull’organismo, tanto da causarne una reazione generale di adattamento. Il comportamento derivante dall’adattamento può essere funzionale o disfunzionale
Lo STRESS OMEOSTATICO è uno stato permanente di stress dove non c’è né troppa euforia, né troppa depressione, vale a dire uno stato dove non si sta proprio bene ma è comodo da gestire o da affrontare. E’ molto difficile far uscire un organismo da questo stato, perché probabilmente non è pronto per farlo o non vuole farlo. Di solito stazionare in una situazione di stress omeostatico, pur se inconsapevole, è una scelta e non una casualità.
L’EU-STRESS è lo stress positivo, quello che ci da le energie per fare qualcosa anche sopra le nostre forze. Da qui si prendono le energie per affrontare il rischio, per trovare il potere personale e il potere collettivo. Per fare un grande salto o affrontare una grande fatica fisica e/o emotiva.
Il DI-STRESS è invece lo stress più negativo, quello che ti porta nello stato denominato di vuoto. Da qui si può entrare in un “vuoto futile” (quello che non ti permette di farcela, quello che ti porta alla distruzione o alla morte) oppure in un “vuoto fertile” (quello che ti da una spinta di energia così forte da farti arrivare in un batter d’occhi all’eu-stress, quindi la creatività molto caro ai gestaltisti).
Il cambiamento nel mondo professionale ha molto a che vedere con il tempo. In ogni organizzazione vediamo scorrere:
un tempo lineare che scorre e accresce le esperienze dell’organizzazione e che pone l’accento sulla ricerca di una routine organizzativa stabile e poco dispendiosa, riguarda principalmente il punto di incontro tra qualità prezzo e quantità;
un tempo circolare che riguarda il tempo personale di ogni singolo individuo e il tempo proprio dell’organizzazione stessa, in questo scorrere si creano solitamente dei nodi, degli scontri, delle fratture ovvero dei cambiamenti che possono essere positivi o negativi, funzionali o disfunzionali.
Il tempo circolare è quello che rende meno tranquillo il clima aziendale ed è il più difficile da ascoltare e capire ma è anche quello che permette di accorgersi della necessità del cambiamento. Quando ci troviamo ad affrontare l’organizzazione nel suo scorrere lineare, ci sentiamo comodamente a nostro agio in una procedura che rende sicura e affidabile qualsiasi complessità.
Un bravo counselor, che in alcune organizzazioni può anche corrispondere proprio alla figura del manager, ha acquisito l’abilità di camminare sia nel percorso lineare che in quello circolare, in particolare sa osservare, ascoltare e, in buona sostanza, riconoscere i segnali che ci parlano della necessità del cambiamento che sta arrivando. Un cambiamento prima lo si affronta meno danni porta con sé; per questo motivo ricordiamo sempre l’importanza di avere il personale costantemente in formazione e sempre aggiornato. Rimanere in ascolto del tempo lineare vuol dire camminare tra le rassicuranti procedure organizzative; ascoltare il tempo circolare all’interno di quello lineare vuol dire percepire nel profondo del sistema e saperlo riconoscere.
Un’azienda sana quindi oltre ad occuparsi periodicamente della riorganizzazione tecnologica della struttura, della strategia di gestione prezzo/qualità/quantità per la rivalutazione degli obiettivi e della effettuazione di un continuo adattamento della politica aziendale alle esigenze di mercato in continua evoluzione; si preoccupa anche della valutazione delle risorse umane, della loro formazione, del riassorbimento delle risorse di vecchia generazione come dell’inserimento delle risorse di nuova generazione. A tal proposito deve essere periodica e accurata l’analisi del clima aziendale e la valutazione dell’efficienza e della soddisfazione personale delle risorse umane per intervenire tempestivamente là dove si scorgono dei casi che potrebbero interferire negativamente sul rendimento dell’organizzazione intera.
Naturalmente la decisione sulla modalità nell’affrontare il cambiamento e/o la crisi spetta alla classe dirigente, la quale si impegna a verificare sia l’efficacia, prestando ascolto al cliente per esempio con dei feedback di ritorno attraverso la compilazione di appositi questionari o ancora delle azioni di benchmarking; sia l’efficienza, mediante audit interni, misurazione di processi e prodotti attraverso report e statistiche. E’ in questa analisi che la classe dirigente può avvalersi del supporto di un counselor aziendale.