“I giovani moderni hanno tutto tranne qualcosa …” (Robert Kennedy, Università del Kansas, 18 marzo 1968) e “quel qualcosa” (Robert Kennedy, ibidem) è la concausa di questioni interiori irrisolte, di momenti di particolare malessere psicofisico che li spinge a seguire “percorsi di vita più o meno innocui, più o meno devastanti” (www.raccontioltre.it).
Dall’esigenza di affrontare concretamente il problema o, più specificatamente, di esaminare diverse patologie che hanno deviato la personalità di taluni adolescenti, di farne risalire in superficie la fonte dell’instabilità psichica, cercarne una probabile soluzione, chiedersi perché essi si siano interrotti, come mai non siano riusciti a compiere il processo di crescita che avrebbe dovuto condurli a omologarsi con la società, ad anhttp:\\/\\/psicolab.netare quell’evidente differenza chiamata pazzia, è nato “Ragazze interrotte”.
All’emozionante e coinvolgente trasposizione filmografica di James Mangold fa da sfondo la cronaca retrospettiva dell’esperienza vissuta da Susanna Kaysen, ricoverata al McLean Hospital nel 1967, per il trattamento psichiatrico contro il disturbo borderline della personalità. La futura scrittrice ha pubblicato il suo diario elaborato durante i diciannove mesi di internamento, con il titolo emblematico di “Girl Interrupted”, una carica di dinamite esplosiva in cui “la poesia e il reale danzano assieme senza mai pestarsi i piedi, senza inciampare” (www.raccontioltre.it, 27/7/2009), con pagine di grande spessore, arricchite dal “sapiente uso delle parole e da una scrittura fluida eppure intensa” (www.raccontioltre.it, 27/7/2009).
La protagonista ha lasciato, ai lettori di ogni tempo, un documento tragico potenzialmente vicino e irrimediabilmente lontano dalle tante esperienze vissute da adolescenti in cerca di una mano a cui aggrapparsi, convinti del fatto che sorridere faccia male, denunziando, dopo quaranta anni, quanto straordinariamente attuale sia il suo problema. L’autrice, inoltre, con le sue profonde meditazioni, per quanto si fosse prefissa di indagare con rigore scientifico, senza slanci né ripiegamenti, la condizione sua e delle degenti che condividevano la stessa parabola esistenziale, anticipando i tempi, ha fatto salire alla ribalta la negatività dei manicomi. Tali centri neuropsichiatrici, istituiti in Italia a partire dal XV secolo per curare i “dementi pericolosi e scandalosi” (it.wikipedia.org/wiki/Ospedale_psichiatrico), a causa dei numerosi ostacoli quali insufficienza o fatiscenza dei locali, inadeguatezza degli strumenti di cura, scarse condizioni igieniche, mancanza di registrazioni cliniche e sovraffollamento (Ispezione sui manicomi del Regno, Ministro dell’Interno Giovanni Nicotera, 1891), erano ormai anacronistici.
Proprio negli anni in cui Susanna era internata, infatti, pullulavano contro di essi focolai di rivolta che facevano capo a Franco Basaglia (1961), a Luigi Mariotti (1965), a movimenti studenteschi (1968), all’istituzione del servizio sanitario nazionale (1978), a iniziative continuate fino alla legge finanziaria del governo Berlusconi che ne imponeva la chiusura (1994) e alla definitiva attuazione del progetto da parte del governo Prodi (1996). Il lungo successo del manoscritto (1994) e la regia di James Mangold (1999) dimostrano come “I sintomi del Borderline, se con onestà si rifiuta il negazionismo, sono frequentissimi” (www.girlpower.it) in quanto la società moderna, imponendo stili di vita frenetici, modelli irraggiungibili e collocando la perfezione mentale come status symbol per un’ottima vita sociale, causa questi problemi che affliggono il 3% della popolazione con una percentuale femminile pari al 75%, in una fascia di età compresa tra i 16 ed i 35 anni. Borderline. E’ una malattia neurologica individuale o la follia, almeno in certe sue forme, è un prodotto della società fin nei suoi elementi di identificazione” (borderline65.typepad.com)?
La definizione, tanto diffusa e conosciuta, “ha un suono freddo quasi volesse richiamare qualcosa di tecnologico, invece è ritenuta dai più una malattia che nasce da dentro, dal cuore, dall’anima, dall’inconscio ((borderline65.typepad.com). Sono molte e varie le caratteristiche del borderliner, prima fra tutte, “l’ impulsività e l’instabilità che, manifestandosi in ambito relazionale, nella percezione di sé e nell’umore” (Laura Cioni, Disturbo Borderline di Personalità, Psicolab, 14/01/2006), provocano “self injury, fenomeno altrimenti specificato negli USA come S.I.B., Self Injurious Behavior” (Giuseppe Martorana, Cinzia Purromuto, Il comportamento di autoferimento. Una breve rassegna teorica, 8/8/2006), spinta autolesionista e comportamento atto a provocare danni verso sé stessi o verso terze persone, il giudicare gli altri in base alla propria autostima, guidare in maniera spericolata, abusare di sostanze psicotrope, … “A causa di questa continua alternanza, gli individui con questo disturbo possono boicottare le proprie attività o relazioni nel momento in cui l´obiettivo è sul punto di essere realizzato, come ritirarsi da scuola quando sono sul punto di diplomarsi, interrompere una relazione proprio dopo averla intensamente desiderata” (Laura Cioni, ibidem) …
Sulla stessa scia di Susanna Kaysen, James Mangold, schiude il suo occhio attento su questa singolare finestra in cui si affacciano quanti manifestano disturbi della personalità e racconta l’esperienza dell’autrice, vittima, come tanti ancora oggi, della logica di non accettazione della diversità, in qualunque accezione la si voglia intendere, comprese le stranezze comportamentali. Il 1968 arriva e, mentre nelle piazze e nelle università gli studenti picchiano e sputano sulla polizia, le “ragazze interrotte” aggrediscono le infermiere, si tagliuzzano i polsi, si danno fuoco, si torcono dalla rabbia, la stessa rabbia per la forma che il mondo ha preso e che, per questo, fa tanta paura. In tal senso, la pazzia può essere una forma di protesta? Un NO gridato in faccia alla finzione, a chi detta cosa fare, … quando? come? Alla normalità che non esiste? La più grande e coraggiosa delle ribellioni sociali è l’antisocialità contro l’ipocrisia, considerata la sofferenza più distruttiva contro la cecità dei “normali” (borderline65.typepad.com).
Biennio 1967-1969. Susanna si comporta come tutte le sue coetanee, è debole, confusa, insicura, chiusa, da un lato, in un universo mentale personale raggelato dal pessimo rapporto con i genitori e, dall’altro, impegnata a dare un senso al mondo in continua evoluzione che ha intorno. La ragazza, di buona famiglia, è affetta da ambivalenza e sindrome da personalità borderline, nel profilo “meno severo, rappresentato specialmente dalla nevrosi del carattere, le cui forti difese danno apparenza di una normalità rotta solo da momenti di crisi che riescono a frantumare la struttura difensiva” (Romeo Lucioni, Borderline vs Asperger, Psicolab, 01/6/2006). Una sera, obbligata dalla madre a partecipare a una festa che si svolge in casa, viene indotta ad assumere alcolici, nonostante abbia ripetutamente fatto presente di aver ingerito varie pastiglie di aspirina per il mal di testa. Sta male. (…) Cercavo di chiarire la situazione a me stessa: stavo male e nessuno lo sapeva; persino io stentavo a rendermene conto. Così mi ripetevo di continuo: stai male (…). Si sottopone a una visita che dura appena venti minuti e, alla fine, il dottore le dice che dovrebbe riposare, che c’è un posto che fa al caso suo. Lei è d’accordo, è un pessimo periodo, però vuole aspettare almeno la settimana successiva, prima non può, ha un appuntamento. Niente da fare, deve essere assistita subito.
La presunta sindrome da borderline, diagnosticatale di fronte a una madre quasi isterica, inglobata nel deleterio mondo del puro apparire e disgustata da una figlia sessualmente promiscua, la catapulta in un centro psichiatrico, il Claymore Hospital, in cui Susanna dovrà restare, in quanto ritenuta “self poisoning” (Giuseppe Martorana, Cinzia Purromuto, ibidem), per aver tentato il suicidio e per ricevere le cure di cui ha bisogno finché non si sentirà meglio, al massimo quindici giorni, finché il dottore non deciderà il contrario. Inutili le spiegazioni della Kaysen, i medici la costringono a firmare il ricovero, anche se, sostanzialmente, essi adducono motivazioni basate su verità apodittiche che seguono “un limite quanto mai evanescente, una frontiera sconosciuta, a cui vogliono dare per forza un nome, una cura, anche se, certe volte, non c’è nome e non c’è nemmeno bisogno di star lì a cercare una cura” (www.raccontioltre.it, 27/7/2009). Una Winona Ryder, che, con il suo SIB impulsivo, comportamento auto-nocivo episodico, per taluni aspetti intermittente, non smette mai di stupire, con “la sua faccetta angelica e immacolata” (Mymovies, 06/3/2007), è sempre dominata dalle visioni amplificate o dai dubbi esistenziali che manifesta ad alta voce, come se ponesse i quesiti allo spettatore.
Avete mai confuso un sogno con la realtà? Avete mai rubato qualcosa quando tenevate la cassa? Vi siete mai sentite tristi? Avete mai pensato che il vostro treno si muovesse, mentre invece eravate ferme? Forse ero solo pazza, o forse erano gli anni Sessanta. O forse ero solo una ragazza interrotta. Con il bisogno di credere nelle favole per guardare con occhi diversi la realtà, con la tristezza endemica e, contrastivamente, con la velata speranza che un giorno il sole potrà spuntare pure per lei, Kaysen entra in clinica, ambiente concentrazionario monotono e claustrofobico. Conosce le altre pazienti, la leader, rappresentata dalla bionda Lisa Rowe, affascinante sociopatica, principale elemento di instabilità tra le degenti, catalogabile nel “gruppo più problematico, più vicino alla psicosi, con segni di disturbo ideativo paranoide e grosse difficoltà nelle relazioni oggettuali (Romeo Lucioni, ibidem), Daisy Randone, ricca e viziata isterica con la passione per i polli allo spiedo e dipendente da lassativi, Polly ‘Torch’ Clark, sconvolta per le ustioni riportate in infanzia a causa di un incidente, Georgina Tuskin, bugiarda patologica, e Janet Webber, una ragazza anoressica. Un giorno Polly, dopo essersi guardata allo specchio, ha una crisi isterica e, per consolarla, Lisa e Susanna drogano l’infermiera di guardia, trascorrendo la notte suonando e cantando accanto alla porta di lei, pur sapendo che saranno esacerbatamene rimproverate dalla dottoressa Sonia Wick, primario di psichiatria. L’unica ad ascoltare realmente le degenti è Valerie Owens, un’infermiera molto attenta e comprensiva, sempre pronta, a ogni spiraglio di luce, a incoraggiarle, ad andare avanti, a non morire tra quelle pareti asfittiche. Una notte, Lisa raggiunge la stanza di Susanna e insieme fuggono. Raggiungono Daisy, che era stata dimessa. Qui scoprono che la ragazza è autolesionista e soffre di bulimia, forse per il trauma di essere costretta a un rapporto incestuoso con il padre; Lisa, in un offensivo monologo, non condiviso, peraltro, dalla Kaysen, insinua che la ragazza sia compiacente al genitore e, come tragica conseguenza, al mattino, la troveranno impiccata.
La fantastica Angelina Jolie, magrissima, bionda e spettinata, bravissima nell’incarnare la personalità contraddittoria di donna fragile e crudele, la cui interpretazione è stata sugellata dal conferimento dell’Oscar 2000, del Golden Globe 2000, del Blockbuster Entertainment Award 2000, della BFCA Award e dello Screen Actors Guild Awards 1999 come “miglior attrice non protagonista”, continua la fuga mentre Susanna torna in ospedale. Quando Lisa, tipica “megalomane posta sul trono di Dio” (Romeo Lucioni, ibidem), ancora furente per essere stata abbandonata durante la fuga, viene ritrovata e riportata nella clinica, o, forse, più probabilmente, quando, in qualche modo, si fa ritrovare, incapace di vivere, di trovare il suo posto al di fuori dell’istituto psichiatrico, rimanendo sconvolta nello scoprire che l’amica sta per essere dimessa, ne prende il diario e lo legge ad alta voce alle altre pazienti; la violenta reazione che scatena provoca un terribile sfogo d’ira nell’animo di Winona Ryder, la quale, ormai scossa dal suo torpore e riappropriatasi di sé stessa, le rinfaccia con veemenza la sua nevrosi negativa. Susanna, infatti, durante l’internamento, ha analizzato i confini tra l’essere libera e l’essere rinchiusa, tra amicizia e tradimento, tra follia e sanità mentale; ora, sulla strada verso casa, con la forza del soliloquio finale, dimostra di essere uscita dal tunnel e di essere pronta ad affrontare serenamente la propria vita. Ha capito e le conclusioni sono pregnanti. “Stare male DENTRO e mostrarne i segni FUORI diventa qualcosa di inconcepibile agli occhi del mondo” (Valentina Colombani, Borderline, 2004); si deve, comunque, lanciare un fermo SOS quando le sfumature che sollecitano il cuore si aggrovigliano e ostacolano la vita.
Qual è l’atteggiamento da assumere da parte di chi riceve l’appello disperato? L’elettroshock, il coma insulinico e i farmaci sperimentali come la cloropromazina per stordire e annientare l’individuo sono una soluzione? E’ giusto che la funzione curativa, a discapito di quella detentiva usata come strumento di sicurezza, sia prioritaria (Lega Italiana di Igiene e Profilassi Mentale, Sala del Consiglio Provinciale, Bologna 19 ottobre del 1924)? Una risposta alquanto propositiva giunge da Kernberg, secondo cui “il terapeuta deve Ricorrere al TFP, Transference-Focused Psychotherapy, trattamento focalizzato sul transfert intrapsichico del soggetto, e, fermo sul setting curativo, infondere fiducia e sicurezza; il paziente, abituandosi a scandagliare la sua patologia in parole e in sentimenti più che in azioni, attraverso continui cicli di chiarificazione e interpretazione di un paio d’anni, potrà diventare padrone dei suoi meccanismi mentali e controllerà meglio non solo i suoi comportamenti ma, soprattutto, i suoi stati affettivi”. (Paolo Migone, La psicoterapia focalizzata sul transfert di Kernberg per i borderline: in che senso si può definire autenticamente psicoanal, nontirestachecrederci.splinder.com, 16 novembre 2008).
E’ indispensabile, dunque, nella considerazione del malato, vero o probabile, maggiore flessibilità da parte degli adulti, sempre prevenuti ogni volta che, anelando a un concetto astratto di normalità, s’imbattono in cambi di direzione, in atteggiamenti diversi, estranei, non allineati al sistema. Bisogna cercare adeguati centri di Salute Mentale e dimostrargli che chi ama gli altri non può far loro del male, ma chi non ama sé stesso diventa un vero pericolo.