Le Arti Marziali sono conoscenza di noi stessi, del nostro avversario e più in generale delle persone con cui interagiamo.
L’approccio marziale che io considero non è quello finalizzato alla distruzione, ma al controllo dell’azione altrui, nel rispetto della sua integrità fisica e mentale. Per riportare questa affermazione alla nostra realtà (e alla nostra legislazione, se vogliamo) intendo difesa proporzionata all’offesa: reazione proporzionata all’azione.
Reazione che pur permettendoci di raggiungere il nostro obiettivo, la nostra incolumità in questo caso, tiene in considerazione la salvaguardia, per quanto possibile, dell’altra persona. La rispetta come essere umano.
Immagino che molti di voi avranno già familiarità con questo concetto, che ritornerà in vari modi in questo articolo. Ma ciò di cui voglio parlare ora è altra cosa, probabilmente meno usuale: le arti marziali come strumento per affinare le nostre abilità di negoziatori considerando che la negoziazione è spesso parte, in un modo o nell’altro, di un conflitto, estendendo il discorso in questo senso anche alle trattative commerciali.
Le Arti Marziali quindi, in particolare T’ai Chi, il T’ien Shu o l’Aikido, come metafora per la negoziazione e, ancora una volta, come strumento formativo esperienziale in Azienda.
Ma andiamo per gradi. Innanzitutto definiamo il termine “negoziazione”: si intende sostanzialmente l’atto di effettuare una trattativa fra due o più parti, trattativa che abbia come fine il raggiungimento un accordo, indipendentemente dal contesto in cui ci si trovi.
Visto dalla nostra parte, un accordo che sia possibilmente in primo luogo soddisfacente per noi e, se possibile, anche per l’altra parte…
Il negoziare ha parecchio a che vedere con il saper dire di “No” al momento giusto, al saper dire di “Si” al momento giusto e al proporre sempre una qualche alternativa alla nostra controparte.
Non lasciare cioè il nostro avversario con le “spalle al muro”. Si sa, l’animale che non ha più scampo combatte molto più ferocemente ed è meno incline all'”accordo”, quindi è nel nostro interesse far si che questo non accada.
Sostanzialmente negoziare attraverso le arti marziali, per usare il modello di William Ury, porta a dire di “sì”, poi “no”, poi “sì?”. Più in dettaglio, porta a dire di “sì” a noi stessi, “no” al nostro avversario e poi “sì?”, sempre al nostro avversario. Mi sembra di vedere qualche faccia perplessa. Andando più in profondità vedrete che risulterà più chiaro. Almeno spero 🙂
Il primo passo consiste nel dire di “si” a noi stessi. Dire di “sì” in primo luogo alla nostra integrità fisica, al nostro equilibrio fisico e mentale, al restare calmi e tranquilli. Dire di sì alle nostre convinzioni. Come dire di sì al mio lavoro, a quello che propongo, alla mia offerta, credendoci fino in fondo.
Il secondo passo consiste nel dire di “no” all’avversario. Dire di “no” alla sua aggressione, far capire chiaramente che non accettiamo atti intimidatori.
In particolar modo quando si tratta di difesa personale è necessario far capire che non siamo disposti a scendere a compromessi in nessun caso. Il che, badate bene, non vuol dire essere aggressivi nella risposta. Rilassati, centrati ma assolutamente chiari nel nostro atteggiamento.
Differenti ambiti possono suggerire comportamenti più elastici, ma quando è in ballo la nostra incolumità non ci possono essere mezze misure.
Se si vuol effettuare un parallelismo con la vita lavorativa, può essere necessario dire di “no” ad un cliente che ci chiede dei tempi irreali per la consegna di un lavoro. Dire di “sì” vorrebbe dire consegnare un lavoro mal eseguito e perdere il cliente in un secondo tempo.
Dire di no, motivando in modo professionale e coerente la nostra posizione e proponendo alternative, se da un lato può metterci in difficoltà nel breve dall’altro può essere premiante nel lungo, dove il nostro cliente potrà apprezzare la nostra professionalità. Stessa cosa può valere in caso ci venga chiesto uno sconto troppo elevato, dobbiamo sapere fino a quando possiamo cedere, quanto è la nostra tolleranza per avere comunque un profitto, mantenere la nostra integrità.
Scendere a compromessi eccessivi è come accettare parzialmente un’aggressione. Per farlo o abbiamo un ottimo tornaconto altrove o vuol dire che non abbiamo alcun potere negoziale.
La negoziazione necessità che anche noi si abbia una qualche merce di scambio. Nelle arti marziali per poter negoziare, dire di “no” all’aggressione, dobbiamo essere equilibrati, tranquilli, preparati, predisposti, determinati e concentrati. In questo modo abbiamo merce di scambio e possiamo “negoziare” con il nostro avversario.
Arriviamo ora al terzo passo, il “Si?”. La nostra controproposta.
Dopo il mio no c’è un’offerta, offerta che rispetta, che tiene in considerazione le necessità dell’altro.
Se il cliente ci chiede una consegna in tempi impossibili dire di no e basta può essere estremamente negativo. Possiamo provare a negoziare una consegna scaglionata, oppure una consegna di una partita minore di merce. Oppure una consegna di una merce di tipo differente che possa in qualche modo soddisfare la necessità. O cercare un partner che ci aiuti, magari chiedendo un po’ di tempo per trovarlo. E via dicendo…
La richiesta è l’atto di forza. Ma io non devo necessariamente soddisfare la richiesta, ma soddisfare il cliente. Quindi respingere l’”attacco”, preservando il cliente stesso. Se la richiesta che il cliente ci fa è strategica per il suo business, devo in qualche modo aiutarlo. Un “no” secco senza un “si?” lo può mettere in difficoltà e allontanarlo da noi.
Ma una richiesta palesemente insensata è come un’aggressione molto forte. Richiede una reazione molto decisa e può a volte avere effetti estremi. Un danno fisico grave. La perdita del cliente. Anche se questo, a volte, fa parte del gioco.
In sintesi, questi quindi sono i passaggi:
1. Io manifesto la mia opinione, la mia azione. Il mio essere equilibrato, preparato, ecc…. Il mio “sì”.
2. Il mio avversario manifesta la sua azione, l’aggressione. A cui noi diciamo di “no”.
3. A questo punto parte la nostra controproposta, la nostra reazione. Il nostro “si?”. Nel senso: “Così proprio non va, che ne dici di fare così?…”
Tu mi aggredisci, vuoi in qualche modo turbare il mio equilibrio, io reagisco ma la mia reazione non è di tipo distruttivo, non è un no secco che non lascia scampo. E’ un no che lascia spazio al dialogo, all’accordo ricercato fra le parti. C’è comunque il rispetto per l’altro e per la sua volontà.
Questa se vogliamo è la differenza dell’approccio dato da Taichi, T’ien Shu e Aikido rispetto ad altre arti più aggressive.
Non distruggo il mio avversario. Il mio “no” non è meramente negativo, tende a riequilibrare. A neutralizzare un aggressione utilizzando, se possibile, la stessa forza dell’avversario contro di lui, ma causandogli il minor danno possibile, rispettandolo.
Chiaramente qui si parla di aggressioni fisiche, ma la stessa cosa accade anche nel caso si riceva o si dia un “no” verbale, che in questo caso rappresenta la nostra reazione all’aggressione. Il mio “no” verbale non è fine a sé stesso, non chiude la porta.
Ora se siete arrivati a leggere fino a qui immagino vi starete dicendo qualcosa del genere “interessante, ma queste sono speculazioni. Le arti marziali sono pratica. Come unisco le due cose?…”
Osservazione decisamente pertinente e che mi trova assolutamente allineato, ma da qualche parte dovevo pure partire, no? E senza le dovute premesse rischiavo mi risultava difficile contestualizzare la pratica marziale nella teoria.
Partiamo dal presupposto che il nostro fisico, la nostra postura, le nostre rigidità non sono altro che lo specchio della nostra mente. Più la nostra mente è rigida, stressata, chiusa, più il nostro fisico sarà rigido, contratto, stanco.
Quindi il primo passo sta nel lavorare sulla centratura, sulla rilassatezza dei nostri muscoli e delle nostre giunture, sull’equilibrio della nostra postura.
Il lavoro sul nostro corpo poi si trasferirà naturalmente sulla nostra mente, l’influenza, fortunatamente, è reciproca. Così come la mente rigida influenza il nostro corpo irrigidendolo, così il nostro corpo rilassato rilasserà la nostra mente…
Qui vengono in nostro aiuto numerosi esercizi sia derivanti dal Qi Gong (Chi Kung) che dal Taijiquan (T’ai Chi).
Il secondo passo fondamentale è lavorare sulla nostra capacità di ascolto. Ascolto inteso come la capacità di percepire e capire le intenzioni e le emozioni del nostro avversario.
Ciò si ottiene attraverso il contatto fisico, lavorando a contatto con l’altra persona. Il tramite sono una serie di esercizi, mutuati da differenti arti, propedeutici alle applicazioni più reali.
Ad esempio ponetevi uno di fronte all’altro (sì, è necessario essere in due), in posizione di guardia “ad incastro”. Cioè entrambi con la stessa gamba avanti. La mano più avanzata (la stessa della gamba avanti, per intendersi) davanti al petto, palmo rivolto verso di noi. Braccio arcuato, come se steste abbracciando un grosso pallone e lo schiacciaste al petto.
Ora appoggiate il vostro polso al polso del vostro avversario, che si trova nella vostra stessa posizione davanti a voi.
Uno dei due conduce, guida i movimenti, spostando il braccio e restando fermo sui piedi. L’altro senza perdere il controllo del polso dell’avversario, lo segue tentando di aderire al massimo senza però bloccare i movimenti dell’altra persona. Uno parla e l’altro ascolta, nel rispetto reciproco.
A dirsi sembra, forse, facile. A farsi molto meno. Soprattutto se si ricerca la sensibilità e l’ascolto, tentando di portare la nostra attenzione non su noi stessi ma sul nostro avversario. Tentando davvero di ascoltare, senza pensare a quello che noi dobbiamo “dire”.
Poi si passa a lavorare sulla fiducia e sul rispetto (fondamentale in una negoziazione, così come nelle arti marziali), sull’assertività, sul dinamismo e la capacità di adattarsi alle situazioni, sulla capacità di percepire l’ambiente circostante restando focalizzati…
Ognuno di questi punti ha i suoi esercizi e le sue riflessioni, ma non voglio dirvi tutto. Almeno non ancora :-).