L’obiettivo di questo lavoro è quello di indicare quali tipologie di difficoltà incontra un bambino del terzo mondo africano con la propria formazione. Approfondiremo tre aree che causano un forte disagio scolastico: aids, lavoro minorile ed i disagi emotivi. Verrà sinteticamente esposta la teoria della Modificabilità Cognitiva Strutturale e dell’Esperienza di Apprendimento Mediato di Reuven Feuerstein come ottima teoria di riferimento nell’intervento in condizioni di svantaggio socio culturale. Le conclusioni finali verteranno: nell’approfondire il contesto di frontiera in cui essi vivono; come lo svantaggio socio-culturale sia uno dei criteri di esclusione di disturbo specifico d’apprendimento, dunque da ben valutare in caso di soggetti provenienti da paesi del terzo mondo; come possa essere utile ampliare le ricerche per attuare interventi più mirati.
La situazione negli ultimi anni
Un buon apprendimento dei bambini che vivono in ambienti svantaggiati è sempre stato un grosso problema. L’incertezza aumenta se pensiamo alle problematiche che può vivere un bambino che proviene da tali condizioni. Il cuore ti tale lavoro è così espresso in queste righe iniziali. Nei paesi del terzo mondo africano le condizioni sono sempre state instabili. Su 650 milioni di bambini nell’età della scuola elementare nel mondo, 103 milioni non frequentano la scuola. I tre quarti di essi vivono nell’Africa sub-sahariana (e nell’Asia meridionale ed occidentale). Nello specifico, nell’Africa sub-sahariana circa 22 milioni di bambine non vanno a scuola e in questa area del mondo le femmine hanno il 20% di possibilità in meno di frequentare la scuola rispetto ai maschi. In più, nei Paesi del sud del mondo, l’85% dei bambini completa il ciclo della scuola primaria contro il 76% delle bambine (Unesco. Efa, 2003).
Fra il considerevole numero di bambini che nel mondo non ha la possibilità di andare a scuola, questo è ancora più accentuato per ciò che riguarda la bambine. I motivi di tale situazione sono dovuti, come sempre, a: Povertà, diffusione dell’Aids, guerre, pregiudizi culturali sono tra le cause principali del mancato accesso all’istruzione da parte di così tanti minori: famiglie in stato di indigenza non sono infatti in grado di pagare le esorbitanti tasse scolastiche. Spesso poi le scuole sono distanti dai villaggi e i bambini impiegano ore per raggiungerle, compiendo tragitti pericolosi e sottraendo tempo al lavoro o alle piccole-grandi mansioni che di frequente svolgono per aiutare le famiglie. In questo contesto generale, sono le bambine le più penalizzate: quando una famiglia stenta a trovare i soldi per mandare i propri figli a scuola, le ragazzine sono le prime ad esserne escluse affinché restino a casa ad occuparsi dei fratelli più piccoli o vadano a lavorare. Inoltre può essere un ambiente scolastico ostile (intimidazioni, minacce di violenze da parte degli insegnanti o degli alunni maschi) a scoraggiare l’istruzione femminile. A volte, inoltre, le strutture scolastiche non sono pensate in funzione delle bambine e non prevedono, per esempio, servizi igienici separati (Save the Chidren, 2005a). Tutto questo è maggiormente pregnante in paesi come: Rwuanda, Malawi ed Eritrea, in cui l’iscrizione e la permanenza a scuola delle bambine è notevolmente bassa.
C’è però da sottolineare un fatto particolare che si riscontra in due paesi dello stesso continente, e cioè in Kenya e Camerun. Questi due Stati, in confronto ad altri 71 paesi del sud del mondo, presentano i maggiori progressi sia nella frequenza che nell’alfabetizzazione delle giovani ragazze. (Save the Children UK, 2005b). Certamente ne il Kenya ne il Camerun possono essere considerate delle “isole felici”, anzi tutt’altro. Questi paesi, come anche altre storiche esperienze educative, ci insegnano che un metodo educativo, in codeste situazioni di frontiera, è realmente realizzabile. Ciò anche se si tratta di contesti altamente limitati da una comunità così deficitaria. Ma sappiamo benissimo che dietro ogni limite si nasconde una forte possibilità. Dunque, appare utile operare in maniera tale da non dover essere per forza il denaro a sostenere la crescita di una comunità, ma possono diventare gli stessi giovani una possibile, sicura e motivata, inestimabile risorsa per l’intera comunità.
Questa riflessione è nettamente confermata da quanto esposto da numerose ricerche (Knowles, Lorelly e Owen, 2002). Codesti lavori hanno rilevato gli effetti positivi che ha avuto la scolarizzazione di bambini e di bambine sull’intera comunità e nazione di appartenenza. Infatti, è sin dagli anni ’90 che ormai si conosce lo stretto collegamento esistente fra crescita economica e livelli di alfabetizzazione di un paese. Si stima che ad un aumento dell’1% del tasso di alfabetizzazione femminile corrisponda una crescita dello 0,37% del reddito annuo pro-capite. Analoghi effetti si hanno sul versante delle condizioni di salute generali: si calcola che a una crescita dell’1% del tasso di alfabetizzazione faccia seguito una crescita del 2% della speranza di vita. Questi dati, al di à dei numeri, fanno vedere chiaramente un disagio. Questo è dato da tutte quelle problematiche mediche e sociali che poi “paralizzano” lo sviluppo di questi Paesi, ma prima di tutto, di queste Persone.
C’è da fare una precisazione. Il quadro esposto è certamente problematico, ed ovviamente non esaustivo, ciò che però ci preme sottolineare è l’immenso e continuo impegno di tantissime associazioni umanitarie, fatte di volontari di tutte le età, di tutte le etnie, di tutte le religioni. I quali lavorano e faticano insieme. Sono proprio questi operatori e professionisti che danno il loro aiuto in prima linea ed in prima persona. È stato fatto molto sino ad oggi grazie a loro, e tanto si continuerà a fare. Il secondo paragrafo dedicato alla Teoria di Feuerstein, indica proprio un modello teorico sviluppato in condizioni di estremo disagio culturale. Codesto modello, e le sue implicazioni operative che vedremo successivamente, possono essere adoperate ovunque. Ciò le rende versatili ed utilizzate nell’aiuto di bambini in ogni parte del mondo.
Come ultima argomentazione in questa introduzione al problema si è pensato di proporre “percorso tipo” di un ipotetico bambino straniero. Pensiamo ad un bambino che vive in uno dei paesi del terzo mondo africano, il quale, spesso e con non poca possibilità, presenta anche una sola fra le tante problematiche emotive e/o cognitive enunciate. Questo bambino, destino vuole, viene accolto in Italia e frequenta la scuola dell’obbligo. Premesso che oggi la scuola italiana può essere davvero in grado di aiutare efficacemente un soggetto in tutte le aree dell’integrazione, questo bambino, però, presenta degli evidenti ostacoli nei suoi processi di apprendimento. Per tali motivi, ne diviene necessario un controllo specialistico. In tal senso è necessario non solo saper comprendere la situazione “attuale” del bambino in questione, ma diventa, di ancor più rilevanza, capire quali siano, da un lato, le problematiche ascrivibili ai processi cognitivi in sé, e, d’altro, quale reale disagio stia vivendo, o ha vissuto, questo bambino, così come sarà trattato nel terzo paragrafo concernete i criteri diagnostici in tali situazioni. Apparentemente, codesto percorso di vita, potrebbe sembrare estremamente particolare. Oggi, però, stiamo toccando con mano proprio il contrario, e cioè che tale percorso è spesso riscontrabile nelle stragrande maggioranza dei bambini stranieri, e questo, trova conferma nelle parole di chi lavora a stretto contatto con le difficoltà di apprendimento di bambini e bambine provenienti da paesi stranieri.
Le principali cause di disagio nei paesi del terzo mondo africano
In questo capitolo si cercherà di porre l’accento sulle principali e peculiari condizioni, psicologiche e mediche, che causano un grave disagio scolastico (e non solo).
Prima di tutto c’è da sfatare una falsa credenza. Quando si parla di “paesi del terzo mondo” si pensa subito al fatto che i bambini “muoiono di fame”. Purtroppo i mass media comunicano solo ciò che fa crescere l’interesse del popolo televisivo. Non si comunica che sono ormai centinaia le associazioni umanitarie sparse nel territorio. Non si parla di altre migliaia di operatori (medici, insegnati, psicologi, assistenti umanitari, tecnici specializzati, ingegneri, etc.) che ogni giorno lavorano duramente per mettere in condizione la gente di questi paesi di essere il più autonomi possibile. No, di questo non si parla. Dunque, non si deve udire come una nota stonata l’associazione “psicopatologia/bambini del terzo mondo”. Perché anch’essi hanno l’esigenza di essere ascoltati. Anche loro, nel tema specifico, hanno il diritto di apprendere, e noi abbiamo il dovere di lavorare affinché questo avvenga nel migliore dei modi possibili, pur consapevoli di tutte le difficoltà.
Fra i tanti disagi esistenti, prenderemo ora in considerazione quelli più rilevati. In tal senso, i problemi legati all’aids, all’abuso lavorativo ed alle condizioni che causano disagi emotivi, sembrano essere le problematiche che più influenzano la riuscita scolastica di queste bambine e di questi bambini.
Hiv/aids
La maggior parte dei minori, così come degli adulti uccisi dall’Aids (in tutto 3,1 milioni nel 2005), si concentra nell’Africa sub-sahariana (Save the Children, 2005c). In estrema sintesi, i problemi si sviluppano in tale maniera: un bambino con hiv/aids è spesso vittima di pregiudizi e discriminazione da parte della comunità in cui vive. Come, ad esempio, l’accesso ai diritti di base, quali l’educazione e gli spazi di gioco. In tal senso si incide negativamente in aspetti come la costruzione del proprio Sé, sia sociale che personale, la motivazione e la propria autodeterminazione. Tutto ciò è dato dal vivere in un contesto in cui gli altri ti trattano come “il diverso” o “il malato” (De Pasquale e Lo Presti, 2006). Come se ciò non bastasse più di 15 milioni di bambini sono attualmente orfani di almeno un genitore colpito hiv/aids. La maggior parte dei bambini che vivono con madri malate di HIV si trova in Africa, questo è inoltre il paese con il più alto numero di persone affette dall’ immunodeficienza acquisita (Save the Children 2006a). Se nei bambini con hiv/aids la trasmissione è avvenuta per via fetale1, in gran parte dei casi, la madre muore (Save the Children, 2006b), lasciando così i propri figli da soli a badare al resto della famiglia. Questo causa tanti disagi a questi piccoli uomini e donne. Uno fra i tanti è rappresentato dalla stanchezza che mostrano i bambini nell’affrontare i processi di apprendimento, ciò causa anche un grave tasso di abbandono scolastico. C’è da sottolineare come gli istituti scolastici e le agenzie umanitarie lavorino enormemente anche per questo problema, con corsi di recupero, con apprendimento individualizzato ed una certa flessibilità scolastica.
Lavoro minorile
Lavoravamo duramente per raccogliere i chicchi di cacao,
sotto il sole per 12 ore senza pausa.
Trasportavamo grandi sacchi senza fermarci
e se ci riposavamo il nostro capo ci picchiava.
Drissa, 14 anni
Schuler, (2002)
Secondo la teoria “nibble fingers”, la statura e l’abilità manuale dei bambini li renderebbero più efficienti per determinate tipologie di lavoro, come quello nei campi; inoltre i bambini sono molto più disciplinati e poco inclini a ribellarsi e cosi facili da controllare (Save The Chldren Italia, 2003).
Le bambine sono destinate a diventare delle piccole lavoratrici domestiche, considerando che per lavori “domestici” si intende, spesso, portare a casa bidoni di 10/15 kg di acqua per distanze chilometriche. I maschietti, invece, sono spesso destinati alle piantagioni. Nella gran parte dei paesi de quest’area, il traffico di minori, dalle aree rurali a quelle urbane, è in continuo aumento. Il traffico oltre confine, invece, è particolarmente diffuso dal Benin, Ghana, Nigeria e Togo verso il Congo, la Costa d’Avorio, La Guinea Equatoriale ed il Gabon (Stimoli, 2005).
L’aver dormito poco, il mangiare appena sufficiente, il lavoro duro ed intenso, le poche pause, la gracilità infantile, sono tutti fattori in grado di rendere deficitario un bambino in maniera seria e complessa. Ciò compromettendo principalmente tutte le principali aree di sviluppo, e cioè: l’area comunicativa, l’area socio-relazionale e l’area cognitiva. Senza considerare la privazione della gioiosità nella vita dei bambini. In tal sensi, i bambini trascurati possono soffrire di problemi di salute, di crescita limitata, possono comportarsi in modo indisciplinato o con estrema passività.
Disagi a carattere emotivo
Secondo quanto riportato dall’UNICEF (2000): i bambini sono oggi considerati le ultime scoperte della guerra moderna. Ciò accade anche perché far diventare un ragazzo di 10-12 anni uno strumento bellico è semplice e conveniente.
bambini a cui verte la disciplina militare, vengono esposti, oltre che a punizioni fisiche, alla distribuzione di droghe e di alcolici,
Così da indurre nei bambini uno stato di debolezza e ridurne le difese. Il fattore che reca più danno è certamente dato dalla manipolazione e dal condizionamento psicologico. Questo fatto di minacce, istruzione estremista politico-militare ed inculcate non conformi credenze religiose.
In riferimento a quando scritto sino a questo punto, risulta evidente come a causa di guerre civili, perdita dei genitori ed abuso sessuale, si possano sviluppare vari disagi, patologie e morbosità psichiche. A tal proposito la sindrome nosografica riportata, sia dai più usati manuali diagnostici per i disturbi psichici e comportamentali (DSM-IV e ICD-10) e sia dai principali Autori internazionali, che più si addice alle sopraesposte situazioni traumatiche, è quella rappresentata dal disturbo post-traumatico da stress (PTSD).
Il PTSD si caratterizza per un quadro sintomatologico che fa seguito ad un episodio traumatico o ad una serie di eventi traumatici collegati. L’evento comporta di per sé una minaccia alla vita e all’integrità della persona e travalica la quotidianità e le capacità individuali di far fronte alla minaccia (APA, 2002).
Il manuale dedicato alla psicopatologia infantile di Ammaniti (2001) descrive gli stress psicosociali più frequenti. In tal sesso riporta che è necessario valutare la natura, l’intensità, la durata dello stressor e la sua prevedibilità e imprevedibilità. Questi sono suddivisi in: Stressor Lievi; Stressor Moderati; Stressor gravi; Stressor estremi; Stressor Catastrofici.
Una modalità d’intervento possibile in tali contesti: teoria della Modificabilità Cognitiva Strutturale e dell’Esperienza di Apprendimento Mediato
Tra gli anni 40 e 50, Reuven Feuerstein si è occupato dell’integrazione dei bambini reduci dell’Olocausto. È chiaro come questi bambini, provenienti da ambienti culturalmente deprivati e socialmente disorganizzati, mostravano grandi difficoltà ad adattarsi alla nuova cultura. Durante la somministrazione dei test questi bambini ottenevano valori di QI inferiori alla media, per cui venivano classificati come non educabili e incapaci di adattarsi. Feuerstein, nell’ottica dell’integrazione e dell’educazione, trova riduttivo basarsi solamente sui risultati ai test psicometrici, e discostandosi da quanti ritengono immutabile e immodificabile la struttura cognitiva, propone una nuova modalità di valutazione. Questo è l’assessment dinamico della propensione all’apprendimento. Questo differisce dall’assessment tradizionale in quanto:
1. l’attenzione è focalizzata sui processi dello sviluppo mentale, piuttosto che sul prodotto;
2. l’obiettivo è quello di valutare la propensione all’apprendimento e alla modificabilità, piuttosto che misurare il livello attuale di funzionamento;
3. i risultati di un individuo vengono confrontati con quelli ottenuti dallo stesso in differenti tempi e condizioni, piuttosto che con un gruppo normativo
di riferimento;
4. la modificabilità viene valutata in base al cambiamento avvenuto durante l’interazione mediata che prevede una progressiva riduzione dell’aiuto da parte del mediatore, piuttosto che una modalità asettica di rilevazione delle capacità di problem solving.
Le teorie di riferimento sono la teoria della Modificabilità Cognitiva Strutturale (MCS) (Feuerstein, 1990) e la teoria dell’Esperienza di Apprendimento Mediato (EAM) (Feuerstein e Rand, 1974; Feuerstein, 1994).
Teoria della Modificabilità Cognitiva Strutturale (MCS)
La MCS considera l’essere umano come un sistema aperto, con una naturale propensione al cambiamento e alla modificabilità delle proprie strutture cognitive in risposta a stimoli esterni e condizioni interne, a prescindere dall’età, dalla cultura e dalla natura dei deficit che può presentare. Il termine strutturale viene riferito alle strutture psicologiche, che a differenza delle strutture fisiche caratterizzate dalla staticità, sono intese come sistemi aventi elementi interattivi e dinamicamente correlati. La modificabilità cognitiva fa riferimento a funzioni di base quali percezione, memoria, apprendimento e pensiero. Feuerstein afferma che il “sottosistema cognitivo” rappresenta la via principale attraverso cui potere raggiungere e modificare anche tutti gli altri “sottosistemi” psicologici. È lecito ritenere che sia avvenuta una modificazione cognitiva strutturale quando un individuo, in seguito ad un esperienza di apprendimento mediato, modifica il proprio stile cognitivo discostandosi dallo sviluppo atteso.
Esperienza di Apprendimento Mediato (EAM)
La mediazione, definita da Feuerstein come un fattore universale capace di incidere sulla struttura cognitiva, rappresenta un elemento chiave in quanto può essere considerata come la principale responsabile della modificazione e della flessibilità delle strutture cognitive. Secondo quest’approccio quando tra la persona e il mondo degli stimoli esterni si interpone un mediatore che intenzionalmente crea quelle condizioni di consapevolezza e controllo dei processi di apprendimento che guidano alla comprensione della realtà, l’individuo da ricettore passivo diviene elaboratore attivo dei dati dell’esperienza (Feuerstein, 1994). Le differenze nella struttura cognitiva degli individui vengono attribuite alla presenza o meno dell’Esperienza di Apprendimento Mediato (‘fattore prossimale’). L’EAM produce una modifica duratura e stabile nel funzionamento e nella capacità cognitiva di un individuo non attribuibile solo ai processi di maturazione, al patrimonio genetico, alle condizioni socio-economico-culturali dell’ambiente (“fattori distali”).
Strumenti di valutazione ed intervento
La batteria Learning Propensity Assessment Device (LPAD) di Feuerstein et al., 1997), rappresenta un sistema di diagnosi dinamica dei processi cognitivi e della capacità della persona di modificarsi sulla base delle potenzialità presenti, in seguito ad un intervento di mediazione. La batteria LPAD delinea un approccio alla valutazione dei processi cognitivi il cui obiettivo principale è il rilevamento del cambiamento cognitivo o più specificatamente della modificabilità. L’assessment della propensione all’apprendimento e l’identificazione dei fattori che sono alla base di prestazioni inadeguate viene effettuato attraverso l’esposizione della persona ad esperienze strutturate di apprendimento tali da permettere il monitoraggio sistematico della modificabilità cognitiva (Feuerstein et al.1981).
Il PAS rappresenta lo strumento d’intervento diretto espresso dalle teorie MCS e della teoria EAM.
Con il PAS ci si pone l’obiettivo generale di aumentare la modificabilità cognitiva strutturale dell’individuo. Viene stimolata sia la capacità di apprendere nuove informazioni e di saperle utilizzare, e sia una maggiore efficienza nell’uso di tecniche e strategie valide per la risoluzione dei problemi (Buono, 1997; Feuerstein et al., 1986, 2004).
I sei sotto-obiettivi che compongono il programma sono:
I- Correggere le funzioni cognitive carenti.
II- Acquisire un ricco repertorio di differenti concetti e termini.
III- Creare una motivazione intrinseca di funzionamento mentale efficiente attraverso la formazione di abitudini cognitive.
IV- Sviluppare la presa di coscienza delle risorse interne che determinano il funzionamento cognitivo, attraverso il pensiero riflessivo.
V- Produrre una motivazione intrinseca attraverso l’uso di esercizi stimolanti ma ad elevata complessità.
VI- Modificare la percezione di sé alfine di passare dal ruolo di ricettore e di riproduttore passivo dei dati, al ruolo di generatore attivo di nuove informazioni.
Questi sei sotto-obiettivi mirano all’accrescimento della modificabilità cognitiva dell’individuo. In questa modifica entrano in gioco diverse componenti, fra cui: la creazione di una coesione tra il tutto e le sue parti. Nello specifico, la coesione consente di utilizzare l’esperienza acquisita e di generalizzarla a nuove esperienze favorendo così l’adattamento; l’attitudine al cambiamento; l’autoperpetuazione, quindi modalità autonome di organizzare gli stimoli e le esperienze.
Conclusioni
Il punto che dobbiamo dunque sottolineare è che l’apprendimento di questi bambini avviene in un contesto di “frontiera”. Intendendo con tale terminologia che ci troviamo in delle situazioni, a volte, molto ai limiti. Infatti, spesso si opera nelle più difficili condizioni climatiche, ambientali, alimentari e socio-sanitarie, in cui, con una certa frequenza, è difficile reperire dai medicinali a semplici oggetti, come pure vestiti d’uso quotidiano. Tutto questo vale per entrambe “le parti”, sia operatori che bambini.
Il punto di partenza è certamente quello di lavorare per un linguaggio comune fra tutti gli operatori umanitari, di ogni ordine e grado, sia nazionali che internazionali. Soprattutto, come si spera che accada con questo lavoro, comunicando le proprie esperienze. In tal senso sono riportati i punti considerati fondamentali per lo sviluppo dell’educazione e della formazione nelle comunità di tali paesi. Il globale supporto educativo ai bambini che vivono in ambienti fortemente disagiati deve essere concentrato ne:
Dare importanza all’educazione informale nei primi anni di vita e nella scuola dell’infanzia. Ciò come mezzo per incrementare la fiducia in se stessi e negli altri, e, nello stesso tempo, sviluppare le proprie abilità;
Assicurare la qualità dell’esperienza scolastica. Intendendo un’educazione ben strutturata e adeguata ai bisogni dei bambini. Piuttosto che un’educazione fine a se stessa;
Garantire l’educazione per tutti i bambini e le bambine compresi tutti coloro che normalmente hanno meno possibilità di andare a scuola, per esempio i disabili, le bambine o coloro che appartengono a minoranze etniche;
Cautelare minimi supporti formativi di bambini e ragazzi soprattutto in situazioni di emergenza;
Questi punti sono commentati anche in altri lavori (De Pasquale e Lo Presti, 2006).
Una parte della conclusione va dedicata al fatto che molto spesso bambini che frequentano le nostre scuole vengono da queste situazioni. Appare chiaro come, altrettanto spesso si riscontrino delle difficoltà nell’apprendimento scolastico. Vale la pena di ricordare che uno dei criteri di esclusione per la diagnosi di Disturbo Specifico d’Apprendimento, è quello che concerne la presenza di svantaggi socio-culturali. In tal caso le problematiche d’apprendimento devono essere lette nei termini di “difficoltà”. Troppo spesso si pensa che il bambino straniero, e specie quello africano, provenga “solamente” da condizioni di malattie infettive, scarsa igiene e nutrimento. Questa è, spesso, parte della realtà. Ci sono tante altre condizioni che soventemente non vengono considerate, ma che rientrano senza dubbio in quell’immenso calderone di situazioni che genera parte delle difficoltà, e non disturbi, dell’apprendimento. Dunque, al di là delle condizioni medico-sanitarie, il presente lavoro ha lo scopo d’indagare le problematiche psicologiche e psicosociali legate alle condizioni di vita dei bambini che provengono dai paesi del terzo mondo, nello specifico, dai paesi del continente africano. Ciò con l’obiettivo di aprire una riflessione critica su come e quanto queste condizioni psichiche di partenza possano influire sul rendimento scolastico, generando delle vive difficoltà, e non puri disturbi.
Notevole rilevanza assume infine un altro concetto: la mancanza di ricerche-applicazioni in tali contesti. Basti pensare che non esistono semplici neppure strumenti di diagnosi neuropsicologica standardizzati per i bambini del luogo (dai disturbi dell’apprendimento sino alla psicopatologia infantile). Non solo, non esistono nemmeno materiali didattici adatti a quelle specifiche culture. Infatti, spesso, molti operatori devono ideare questi strumenti e/o materiali, a volte senza avere le competenze adeguate. In tal senso, ad esempio, un assistente umanitario deve ricoprire più figure professionali (insegnate, pedagogista, progettista, etc), ciò a danno della qualità formativa rivolta ai ragazzi. Basterebbe rivolgere un pò più di energie verso questi i bambini di questi paesi. Bambini, i quali, corrono molti più rischi di tutti, dall’uso all’abuso infantile, dall’essere assoldati all’essere trafficati. Questo vuole essere anche un appello nel porre più interesse con lavori di ricerca-azione in tal direzione, anche nei confronti di questi piccoli uomini e donne del domani. Ciò con la consapevolezza che non possiamo certamente ritornare, ai bambini che non le hanno avute, le cure, affettive ed emotive, che non ha ricevuto sino ad ora. Possiamo però supportarli in un percorso di cambiamento, che, partendo da un passato di dolore, angoscia e patimento, e passando dalla cognizione che ciò che è accaduto non può essere modificato, arrivino all’acquisizione della capacità d’avere cura di sé e degli altri, sino a ricevere e prestar fede ad un nuovo bisogno d’amore. Questo, sino ad oggi venutogli a mancare.
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