ABSTRACT
In questo contributo si affronterà l’affascinante tema dell’apprendimento infantile a partire da una prospettiva sia neurologica sia psicologica che metterà in luce da un lato lo sviluppo di strategie matetiche sempre più complesse e dall’altro i correlati neurologici che sottostanno allo dinamiche di apprendimento infantile. Si delineeranno in prospettiva diacronica lo sviluppo di forme di apprendimento progressivamente più sofisticate, di sistemi cerebrali e strategie psicologiche legate alle funzioni mnemoniche, dalla fase prenatale fino alla seconda infanzia. Si cercherà infine di evidenziare i possibili contributi che la ricerca neuroscientifica e psicologica in quest’ambito può portare all’educazione del bambino.
Key-words: apprendimento, bambino, memoria, cognizione, meta-memoria, metacognizione
1. L’apprendimento prenatale e le prime forme di memorizzazione
Prima ancora di nascere noi sviluppiamo una stupefacente capacità: siamo in grado di operare forme, seppur elementari, di memorizzazione. I dati provenienti da alcune recenti ricerche neurobiologiche dimostrano infatti la predisposizione del feto a riconoscere e memorizzare suoni provenienti dal mondo esterno (Mehler, 1988; Oliviero Ferraris, 1990). Alcuni esperimenti basati sulla misurazione del battito cardiaco fetale hanno rilevato che, se il feto viene esposto a sequenze sillabiche regolari (del tipo ba-ba-ba) pronunciate dalla futura madre, si riscontra un’iniziale aumento del battito cardiaco, seguito da una progressiva stabilizzazione; qualora la sequenza sillabica venga improvvisamente variata (poniamo in ta-ta-ta), il battito cardiaco aumenta nuovamente. Questi risultati inducono a pensare che l’iniziale aumento del battito corrisponda al riconoscimento di un suono nuovo, mentre il progressivo decrescere della frequenza del battito significherebbe la memorizzazione del suono da parte del feto, che identifica un suono già sentito in precedenza; il mutamento della sequenza sillabica e il conseguente aumento del battito cardiaco conferma che il feto, dopo aver memorizzato il suono è in grado di distinguerlo chiaramente dal nuovo suono a cui è esposto (Fabbro, 2004).
Queste prime forme di memorizzazione, per quanto elementari e primitive, dimostrano quanto precocemente l’essere umano sviluppi capacità mnemoniche e, di conseguenza, forme di apprendimento[1]. Ovviamente tali capacità non risiedono ancora nelle regioni cerebrali generalmente deputate alle funzioni mnemoniche, che si svilupperanno realmente solo dopo la nascita, ma interessano solamente alcune aree sottocorticali, quali il tronco, il talamo e i gangli della base (Fabbro, 1996; 2004).
2. I sistemi di memoria infantile nella prima e nella seconda infanzia
In generale, alla nascita inizia un lento processo evolutivo risultante dall’interazione tra fattori biologici ed esperienze ambientali. Ciò si riflette anche nello sviluppo delle capacità mnemoniche del bambino, fortemente dipendenti dal rapporto tra la maturazione delle aree cerebrali deputate alle funzioni mnemoniche e lo sviluppo da parte del bambino di strategie per l’ottimizzazione dei processi di immagazzinamento, fissazione e recupero delle informazioni apprese, fondamentalmente legate all’esperienza ambientale[2].
Mentre nei primi mesi di vita il bambino ricorre ancora a forme di memorizzazione elementari, che coinvolgono esclusivamente le strutture sottocorticali, a partire dall’ottavo mese e fino ai sette anni iniziano da un lato la maturazione di strutture neurologiche specificatamente deputate all’attività mnemonica, che compongono la memoria implicita e la memoria esplicita, dall’altro lo sviluppo di strategie cognitive per la memorizzazione.
Vediamo dunque nel dettaglio i sistemi di memoria di cui dispone il bambino, mettendone il luce le peculiarità sia a livello di maturazione, perché maturano in tempi diversi e coinvolgono strutture neurologiche diverse, sia a livello di sviluppo, perché sono legati a strategie mnemoniche e cognitive che il bambino impara, utilizza e perfeziona a partire dal rapporto con l’ambiente.
2.1. I magazzini di memoria implicita ed esplicita
Con l’espressione memoria a lungo termine si intendono in realtà due sistemi distinti, la memoria implicita e quella esplicita, i quali consentono l’immagazzinamento permanente di informazioni nel cervello[3].
A partire dall’ottavo mese di vita, il bambino ha a disposizione il sistema di memorizzazione implicita, d’ora in avanti MI, che coinvolge alcune strutture sottocorticali (gangli della base dell’emisfero sinistro, nuclei dentati del cervelletto) e le aree percettive e motorie (area somatica, area uditiva, area di Broca, area motoria supplementare) e giunge a piena maturazione verso il terzo anno di vita. Le parole-chiave che ne delineano le caratteristiche sono:
· automatismo: le conoscenze vengono organizzate in procedure e sequenze d’azione sempre più automatiche;
· casualità: l’acquisizione delle conoscenze non avviene secondo una sequenza d’apprendimento specifica e premeditata;
· inconsapevolezza: il bambino non si accorge che sta imparando, né riesce ad esplicitare verbalmente ciò che ha acquisito;
· livelli di attenzione minimi: l’acquisizione non avviene mediante focalizzazione e sforzi di attenzione, ma piuttosto “lasciandosi andare” e “facendo”;
· trasversalità: è possibile incamerare inconsciamente nuove conoscenze anche durante lo svolgimento di altre attività[4].
La MI consente l’apprendimento inconscio di informazioni sotto forma di procedure ed automatismi e svolge inoltre un ruolo essenziale nell’acquisizione del linguaggio, in quanto garantisce l’immagazzinamento degli aspetti fonologici e morfo-sintattici della lingua (Fabbro, 2004). La MI è attivata mediante l’adozione di strategie di memorizzazione legate alla pratica, quali la scomposizione della procedura da acquisire in singole azioni, la ripetizione delle azioni dapprima singolarmente, poi in blocchi ed infine in un intera procedura automatica[5].
L’apprendimento cosciente ed intenzionale emerge solamente a partire dal secondo anno di vita, in corrispondenza all’iniziale maturazione della memoria esplicita, d’ora in avanti ME, altra componente fondamentale della memoria a lungo termine, la quale a livello neurofisiologico coinvolge l’ippocampo per la fissazione delle informazioni, le aree associative per l’immagazzinamento, e il sistema frontale per il recupero del materiale appreso. Le caratteristiche peculiari della ME sono:
· consapevolezza: il bambino sa che sta apprendendo ed è in grado di esplicitare verbalmente il contenuto dell’apprendimento;
· focalizzazione dell’attenzione: l’apprendimento avviene mediante la capacità di concentrazione su un dato input, riducendo al minimo le possibilità di distrazione;
· livelli di attenzione alti: l’apprendimento consapevole richiede un alto grado di attenzione sostenuta[6], e pertanto dipende dalla maturazione delle aree cerebrali deputate alle capacità attentive e di pianificazione dei compiti, che risiedono nel lobo frontale e maturano pienamente verso i sette anni;
· multifunzionalità: la memoria esplicita consente la memorizzazione di episodi, eventi e scene mediante la memoria episodica, e di conoscenze teoriche, nozioni e concetti mediante la memoria semantica;
· volontà di apprendimento: il bambino apprende solo se decide di farlo.
La componente semantica è l’ultima ad emergere dal punto di vista ontogenetico e filogenetico e consente l’apprendimento di nozioni e concetti di natura astratta. Si comprende pertanto come mai la ME sia anche sede dell’acquisizione lessicale, necessariamente legata alla formazione di un sistema concettuale di riferimento. Tra le strategie di memorizzazione connesse alla ME vanno menzionate la reiterazione verbale, il ripasso rielaborativo e l’arricchimento per espansione, una tecnica basata sulla ridondanza, che consiste nell’associare l’item da apprendere ad altri elementi secondo criteri diversi, ad esempio fonetici, visivi, semantici…(Anderson, 1993).
Dal momento che la ME giunge a piena maturazione solo verso i sette anni di vita, se ne deduce che l’apprendimento nella prima infanzia (0-4 anni) avverrà principalmente grazie alla MI, mentre è solo nella seconda infanzia (5-9 anni) che la ME svolgerà un ruolo predominante. E’ interessante notare inoltre che, perlomeno per quanto concerne l’acquisizione del linguaggio, la MI viene attivata prevalentemente nel primo periodo critico, entro il quale è possibile acquisire più di una lingua raggiungendo livelli di padronanza vicini o uguali a quelli di un madrelingua[7].
L’attivazione ancora imperfetta della ME nella prima infanzia si riflette nell’uso da parte del bambino di strategie mnemoniche non del tutto adeguate alle situazioni di apprendimento. Così ad esempio alcune ricerche dimostrano che i bambini di 3-4 anni tendono a sopravvalutare le proprie capacità mnemoniche e ad usare strategie di memorizzazione ancora imperfette, quali le tecniche che consistono nel puntare il dito su un oggetto o nel fissarlo a lungo per ricordarlo (Anderson, 1993; Vianello, 1999). Inoltre, nei primi anni di vita il bambino ricorre quasi esclusivamente alla memoria episodica, usando tecniche visive per la memorizzazione consapevole.
Figura 1. Rappresentazione delle immagini laterali, mesiali ed assiali del cervello raffiguranti la distribuzione dei differenti sistemi della memoria nelle strutture cerebrali.
Asterischi: memoria a breve termine
Triangoli: memoria episodica
Quadrati: memoria esplicita
Cerchi: memoria implicita (apprendimento di abilità)
[Fonte: www.adhikara.com/art_kunst/lucioni/alzheimer_7.htm]
2.2. La memoria emozionale
Nel bambino, come nell’adulto, la dimensione emotiva svolge un ruolo imprescindibile ai fini dell’apprendimento, tanto che la decisione di trasferire le esperienze dal compartimento a breve termine a quello a lungo termine viene presa molto spesso su base emozionale (Boncinelli, 2000). E’ necessario tuttavia distinguere tra emozione e sentimento emotivo: il primo termine indica semplicemente una serie di stati psicologici che affondano le loro radici in alcuni mutamenti somatici e neurobiologci riguardanti soprattutto il sistema nervoso; in una situazione emotivamente coinvolgente, infatti, si registra un va e vieni di segnalazioni nervose, di induzioni ormonali e di risposte di controllo. Gran parte delle emozioni è di natura inconscia, o comunque l’emergere della coscienza avviene solo in un secondo momento. I sentimenti emotivi, invece, costituiscono la rielaborazione cosciente e la rappresentazione mentale delle emozioni, una volta che queste iniziano ad essere percepite coscientemente (Boncinelli, 2000).
Emozioni e sentimenti si intrecciano e contribuiscono attivamente, in maniera positiva o negativa, all’apprendimento. A livello neuroscientifico la dimensione emotiva dell’apprendimento è gestita dal sistema limbico, il punto centrale del sistema regolatore endocrino, vegetativo e psichico, che elabora stimoli provenienti dall’interno e dall’esterno del corpo. Di esso fanno parte l’ippocampo e l’amigdala: il primo è coinvolto nella registrazione e nella comprensione delle informazioni da apprendere, mentre la seconda è l’elemento centrale di quella che viene correntemente definita memoria emozionale, che consente da un lato di immagazzinare e rievocare sensazioni, emozioni, sentimenti in relazioni al materiale appreso, e dall’altro di impedire l’apprendimento generando meccanismi di difesa contro situazioni ansiogene (Bear, Connor, Paradiso, 2003; Kandel, Schwartz, Jessel, 2003)
Figura 2. Amigdala ed Ippocampo
In particolare, di fronte a circostanze di ansia e stress l’amigdala richiede una maggiore produzione dell’ormone dello stress, che serve a predisporre il corpo ad affrontare situazioni ansiogene; l’ormone giunge fino all’ippocampo interferendo negativamente sulla fissazione delle informazioni nell(IMMAGINE 2)
Figura 2. Amigdala a memoria esplicita (Cardona, 2001).
Il bambino dunque può realmente apprendere solo se si trova in un contesto rassicurante e sereno, che consentirà l’attivazione di efficaci meccanismi di memoria e favorirà l’associazione positiva tra materiale da apprendere e contesto di apprendimento ad opera della memoria emozionale. L’emozione positiva si trasforma così in sentimento positivo, ossia nel desiderio di apprendere, che gioca un ruolo primario soprattutto nella seconda infanzia, quando cioè si innescano meccanismi di memorizzazione cosciente e volontaria.
Figura 2. Neurofisiologia del sistema limbico. Gli stimoli esterni raggiungono l’amigdala (la piccola mandorla posta sotto il talamo) attraverso due vie. Una è diretta, e viene dal talamo (freccia blu) mentre l’altra passa prima dai centri della corteccia (freccia verde). La via diretta talamo-amigdala è più corta e veloce dell’altra; saltando i centri corticali offre però solo una rappresentazione cruda dello stimolo.
[Fonte: www.tempomedico.it]
3. Le competenze meta-cognitive e meta-mnemoniche del bambino
Oggigiorno la ricerca psicologica e neuroscientifica ha ampiamente dimostrato l’inadeguatezza di una certa visione del bambino, in genere concepito come creatura fragile, indifesa, immatura e priva di strumenti cognitivi e neurologici per relazionarsi al mondo circostante. E’ stato infatti rilevato come sin dalla nascita il bambino possegga predisposizioni ed abilità percettive e motorie che gli consentono di interagire con l’ambiente; ad esse si aggiunge il progressivo sviluppo di abilità cognitive, linguistiche, mnemoniche e sociali sempre maggiori che emergono e si perfezionano già nell’arco dei primi anni di vita (Oliviero Ferraris et al. 2004).
Accanto a queste è possibile ravvisare specifiche competenze di tipo meta-cognitivo e meta-mnemonico, ossia relative alla consapevolezza delle proprie funzioni cognitive e mnemoniche.
E’ stato infatti messo in luce come già a 3 anni il bambino:
· sia cosciente dell’oblio;
· sappia che alcune condizioni esterne, quali la stanchezza, la distrazione, la svogliatezza, possono influire negativamente sull’apprendimento;
· sappia che la mente umana non è infallibile e, di conseguenza, può succedere anche di ricordare erroneamente un evento o un concetto.
A 4-5 anni le conoscenze sul funzionamento della memoria si arricchiscono ulteriormente ed il bambino:
· sa che l’attenzione è un fattore importante nel processo di apprendimento;
· sa che l’attenzione è facilmente influenzabile da fattori esterni;
· attribuisce un valore negativo alla distrazione, ma sa che con l’impegno essa può essere corretta;
· riconosce nell’immagazzinamento graduale un valido strumento di memorizzazione;
· conosce la tecnica della reiterazione, anche se la usa raramente ed in maniera imperfetta (Vianello 1999; Sasso, 2004).
4. La rappresentazione delle conoscenze apprese
Una conquista fondamentale nello sviluppo del bambino consiste nella possibilità di rappresentare mentalmente le conoscenze memorizzate, elaborando ed integrando le informazioni raccolte dall’ambiente mediante i registri sensoriali. Un filone importante della ricerca psicologica da tempo si occupa di studiare quando e come si realizza la rappresentazione delle conoscenze nel bambino. Vedremo ora quali sono gli studi psicologici che potremmo definire classici, in quanto fortemente influenti nel campo della psicologia dello sviluppo contemporanea, integrandone i risultati con alcune ricerche più recenti.
4.1. Il contributo di Jean Piaget e Jerome Bruner
Gli studi di Piaget e Bruner costituiscono due pilastri nell’ambito della psicologia evolutiva ed entrambi sono accomunati dall’interesse per le questioni relative alla rappresentazione infantile delle conoscenze apprese. Jean Piaget (1896-1980) fu tra i primi ad interessarsi della rappresentazione delle conoscenze, attribuendole un valore essenziale per lo sviluppo dell’intelligenza. Secondo la teoria piagetiana solamente durante lo stadio pre-operatorio, e dunque a partire dal secondo anno di vita, inizia il processo di rappresentazione della conoscenza, il quale segue un percorso evolutivo che inizia con l’osservazione di un comportamento altrui, prosegue con l’elaborazione mentale e termina nella riproduzione simultanea e in differita. Ciò consente al bambino di oltrepassare i limiti dell’intelligenza sensomotoria, rappresentando mentalmente oggetti ed azioni ed utilizzando operazioni simboliche per risolvere problemi. Ad esempio, se non riesce ad afferrare un oggetto, il bambino ricorda di possedere un bastone, lo va a prendere in un’altra stanza e lo usa per i suoi intenti; esempi di rappresentazione simbolica sono inoltre anche tutti i giochi di finzione.
La prospettiva di Jerome Bruner si differenzia da quella di Piaget, che pure ha costituito un essenziale punto di riferimento, in quanto l’indagine si sposta dal contenuto dello sviluppo (ossia i diversi stadi di sviluppo e le conquiste cognitive, motorie, linguistiche e sociali del bambino) alle strategie messe in campo dal bambino fin dalla prima infanzia per la risoluzione di problemi. Secondo Bruner tali strategie sarebbero legate a tre sistemi di rappresentazione delle conoscenze, ossia insiemi di regole mentali che gradualmente consentono al bambino di rappresentare mentalmente l’ambiente. I tre sistemi di rappresentazione sono consequenziali, nel senso che uno precede l’altro, ma anche simultanei, perché il bambino che giunge al terzo sistema di rappresentazione possiede simultaneamente anche gli altri due[8].
Il bambino che attraversa la prima infanzia possiede:
· la rappresentazione esecutiva, già maturata nel primo anno di vita, che gli consente di interiorizzare schemi d’azione come la manipolazione e la suzione; ad esempio a quattro mesi si nota il perfezionamento della sequenza di azioni per esplorare gli oggetti portandoli alla bocca; il pensiero è dunque basato sull’azione;
· la rappresentazione iconica, grazie alla quale il bambino può rappresentare l’ambiente circostante e gli oggetti sperimentati attraverso l’esperienza sensoriale.
E’ invece in pieno sviluppo (dai due ai cinque anni) la rappresentazione simbolica, che permette al bambino di rappresentare le cose anche in forma astratta; tale sistema di rappresentazione include anche la comprensione dei sistemi di misura, il ragionamento e lo sviluppo del linguaggio, sistema astratto per sua natura, la cui acquisizione è favorita da specifiche strategie di acquisizione linguistica e di categorizzazione delle parole (Bruner 1971, 1992).
Nella seconda infanzia i tre sistemi di rappresentazione sarebbero compresenti ed il bambino attiverebbe il più adeguato al contesto d’apprendimento.
4.2. Il contributo delle ricerche più recenti
Gran parte della psicologia contemporanea distingue due tipi di rappresentazioni mentali:
· le rappresentazioni percettive, basate cioè sui dati provenienti dai registri sensoriali;
· le rappresentazioni semantiche, basate sul significato che noi attribuiamo al materiale da ricordare, spogliato dei dettagli meno importanti e rielaborato più astrattamente secondo il principio della rilevanza.
Nella prima infanzia il bambino che apprende mette in moto principalmente le rappresentazioni percettive, grazie anche allo sviluppo neurosensoriale, ossia alla capacità di integrare i dati provenienti dai registri sensoriali. L’esperienza neurosensoriale costituisce infatti il prerequisito fondamentale allo sviluppo delle rappresentazioni percettive e in generale all’apprendimento infantile, generando i primi meccanismi di associazione stimolo-risposta che possono creare connessioni sinaptiche stabili, qualora il riscontro ambientale sia positivo e reiterato.
Secondo alcuni studiosi (Bower, 1972; Santa, 1977) le rappresentazioni basate sulla percezione si distinguono ulteriormente in:
· rappresentazioni visuo-spaziali, ossia vere e proprie immagini mentali che attivano il sistema visivo e, dunque, le aree occipitale e temporale;
· rappresentazioni lineari, grazie alle quali il materiale, soprattutto linguistico, da ricordare (visto o udito) viene organizzato in sequenze lineari, quando si apprendono pochi elementi, e gerarchiche, quando il numero degli elementi aumenta.
E’ ipotizzabile che inizialmente il bambino faccia leva sulle rappresentazioni visuo-spaziali, costruendo immagini mentali basate su spazio, tempo, dimensioni…, alle quali subentrano poi rappresentazioni lineari, in corrispondenza anche dello sviluppo linguistico. I due tipi di rappresentazione, tuttavia, non si escludono a vicenda, ma al contrario coesistono nella fase tra la prima e la seconda infanzia (Anderson, 1993).
4.3. Una visione d’insieme
Cercando di delineare un quadro complessivo delle caratteristiche mnemoniche e matetiche infantili, possiamo sostenere che il bambino nella prima infanzia apprende principalmente a partire dall’interazione con l’ambiente, utilizzando i registri sensoriali per raccogliere dati, che verranno poi integrati a livello cerebrale. L’apprendimento avviene quando:
· a livello mnemonico le informazioni vengono elaborate e immagazzinate nella MI;
· a livello neurobiologico si formano precisi canali nervosi in corrispondenza agli stimoli elaborati, in modo che il recupero dell’informazione venga favorito qualora sia riproposto lo stesso stimolo;
· a livello psicologico si creano rappresentazioni mentali del materiale da apprendere; tali rappresentazioni sono di carattere prevalentemente iconico, dunque legate al sistema visuo-spaziale del bambino; iniziano a comparire però anche rappresentazioni simboliche, connesse all’acquisizione del linguaggio.
Durante la seconda infanzia, invece, il bambino inizia a sviluppare strategie matetiche legate anche all’astrazione, al ragionamento e alla riflessione. I mutamenti piscologici e neurobiologici sono tali per cui:
· a livello mnemonico, le informazioni potranno essere elaborate a livello di MI o di ME, a seconda delle situazioni d’apprendimento;
· a livello neurobiologico, continua la formazione di canali nervosi specializzati, ma ciò avviene non solo grazie all’interazione con l’ambiente ma anche attraverso lo studio, la riflessione e il ragionamento astratto;
· a livello psicologico il bambino è in grado di apprendere facendo leva sia sulle immagini mentali sia sulle rappresentazioni simboliche basate sul significato.
5. Indicazioni psicopedagogiche
La conoscenza della neurofisiologia e della psicologia infantile può fornire indicazioni importanti per l’educazione del bambino nelle diverse fasi evolutive, in quanto ci consente di riflettere sulle sue reali modalità di approccio alla realtà, di elaborazione e fissazione delle informazioni, e dunque sulle sue modalità di apprendimento.
In questo paragrafo cercheremo di mettere in luce alcune implicazioni psicopedagogiche di quanto visto finora in relazione ai sistemi neurologici e alle strategie cognitive legate alla memoria infantile.
5.1. L’importanza dell’ambiente di apprendimento
Un primo dato interessante riguarda la predisposizione del bambino all’apprendimento e il suo rapporto con l’ambiente. Da un lato, infatti, egli possiede una vasta gamma di risorse per l’apprendimento, che interessano sia la sfera neurologica (plasticità cerebrale, basi neurofisiologiche della memoria, sviluppo neurosensoriale…) sia quella psicologica (curiosità infantile, spinta all’esplorazione ambientale e alla socializzazione, strategie cognitive per l’apprendimento…). Tali risorse, tuttavia, possono essere pienamente sfruttate solo se il bambino percepisce la presenza di un clima rassicurante, sereno e familiare.
Ecco dunque che un compito importante sia per i genitori sia per gli insegnanti consiste nel garantire un ambiente di apprendimento sereno, che ponga il bambino nelle condizioni ottimali per poter attivare e sviluppare le sue competenze, evitando l’innescarsi dei meccanismi neurofisiologici di difesa da situazioni ansiogene[9]. Ciò sarà possibile solo se si rispetteranno le peculiarità dell’apprendimento infantile, che soprattutto nella prima infanzia è caratterizzato da:
· pragmaticità, dal momento che si fonda su azioni concrete, sulla possibilità di interagire con l’ambiente e con gli altri, sull’attivazione di molteplici canali neurosensoriali;
· ludicità, in quanto il gioco non è solo un passatempo per il bambino, bensì la modalità da lui privilegiata per apprendere; in particolare i bambini di tre e quattro anni prediligono i giochi funzionali (ripetizioni, composizioni e scomposizioni linguistiche, incastri, catene, giochi di insiemistica) e simbolici (attività espressive, ritmiche, musicali, filastrocche, transcodificazioni, giochi di memoria, drammatizzazioni, simulazioni, role-play); a partire dai cinque anni si privilegiano i giochi di regole (giochi comunicativi basati sullo scambio di informazioni ed opinioni, giochi a schema o con le carte);
· attivazione dei meccanismi di memoria implicita, e che si basano sulla spontaneità e l’inconsapevolezza dei processi matetici in corso, sebbene nella seconda e terza infanzia emergano e predominino anche meccanismi di memoria esplicita, fondati sull’intenzionalità.
5.2. La stimolazione neurosensoriale
Da quanto emerso risulta evidente anche il ruolo essenziale della stimolazione neurosensoriale ai fini dell’educazione del bambino. La prima infanzia è il periodo in cui lo sviluppo neurosensoriale è al culmine e l’uso integrato dei sensi fornisce al bambino uno strumento privilegiato per raccogliere dall’ambiente informazioni, che verranno poi elaborate a livello cerebrale. Da un lato, dunque, il bambino esplora la realtà vedendola, toccandola, annusandola, assaggiandola e udendola; d’altra parte, la realtà stessa offre al bambino stimolazioni sensoriali da elaborare, le quali costituiscono una grande fonte di sviluppo delle enormi potenzialità del sistema nervoso infantile, la cui sostanza cerebrale è massimamente recettiva a sviluppare interconnessioni.
La formazione di connessioni stabili, tuttavia, richiede tempo ed esperienza, e la stabilizzazione di determinati canali avviene attraverso la reiterazione degli stimoli; è infatti facile far imparare qualcosa a breve termine ad un bambino, mentre è molto più complesso riuscire a rendere tale informazione stabile e permanente. Si pensi, ad esempio, allo stabilirsi di certe abitudini in una fascia d’età compresa tra il primo anno di vita ed i quattro anni: il bambino adotta tecniche di sollecitazione ambientale per rinforzare le informazioni che giungono a lui dall’ambiente stesso. Le provocazioni deliberate di fronte, ad esempio, alle proibizioni dei genitori non sono affatto la spia di un carattere problematico del bambino, ma molto più semplicemente tentativi che il bambino compie per interiorizzare concetti, nozioni o regole di comportamento, i quali dal punto di vista strettamente neurologico non sono altro che canali neuronali in via di formazione (Tasca, 2002).
Pertanto, al bambino dovrebbero essere proposte già molto precocemente attività didattiche incentrate su esperienze di stimolazione neurosensoriale che coinvolgano più sensi simultaneamente. Tale stimolazione dovrebbe, inoltre, essere:
· costante, affinché attraverso la reiterazione degli stimoli venga favorita la formazione e la stabilizzazione di precisi canali nervosi e sia garantita la fissazione delle informazioni nelle strutture della memoria implicita;
· graduale, ossia commisurata al grado di maturazione che il bambino ha raggiunto nel momento in cui l’input viene proposto;
· ordinata e coerente, per evitare che la confusione delle informazioni renda difficoltosa la loro integrazione a livello nervoso e quindi rallenti i processi di apprendimento.
5.3. Apprendimento e riflessione sull’apprendimento
I dati provenienti dalla ricerca psicologica sulla metacognizione dimostrano l’importanza di una didattica che non solo rispetti le modalità di apprendimento infantili ma favorisca anche la riflessione su di esse. Abbiamo visto, infatti, che specialmente nella seconda e nella terza infanzia emerge una progressiva consapevolezza del bambino sul proprio apprendimento e sulle strategie più efficaci da attivare in differenti contesti.
Gli educatori perciò possono e devono promuovere la dimensione metacognitiva dell’apprendimento, stabilendo obiettivi conformi con i risultati provenienti dalla ricerca neuropsicologica. Per quanto concerne l’aspetto mnemonico e meta-mnemonico dell’apprendimento, di cui ci siamo occupati in questo contributo, possiamo suggerire alcuni obiettivi didattici realisticamente raggiungibili dagli allievi.
Il bambino che frequenta la scuola dell’infanzia può raggiungere obiettivi come:
· sapere che esistono strategie mnemoniche esplicite che favoriscono il ricordo consapevole;
· saper riconoscere alcune delle strategie mnemoniche usate durante le attività;
· sapere che esiste l’oblio;
· saper concentrare l’attenzione consapevolmente;
· avere coscienza che l’apprendimento può essere influenzato da fattori esterni, quali la stanchezza e la distrazione.
Se l’insegnamento è rivolto a bambini della scuola primaria, si potranno individuare obiettivi meta-mnemonici, quali:
· saper riflettere sulle strategie usate durante le attività;
· saper giudicare l’efficacia e l’utilità di una strategia usata;
· saper controllare la distrazione;
· saper attivare consciamente l’attenzione sostenuta;
· saper organizzare il materiale da apprendere in modo da facilitare la memorizzazione (ad esempio, dividendo il materiale in piccole parti da memorizzare, usando colori diversi per evidenziare, facendo leva su elementi extralinguistici…)[10].
6. Riflessioni conclusive
In questo contributo, pur non avendo avuto pretesa di esaustività, abbiamo cercato di mettere in luce le enormi potenzialità matetiche del bambino, che trovano riscontro in precise componenti neurologiche e strategie psicologiche. I risultati delle più recenti ricerche neurologiche e neuropsicologiche offrono suggerimenti interessanti anche ai fini dell’educazione del bambino, affinché questa possa rispettare e promuovere sempre maggiormente le reali modalità di apprendimento dell’allievo.