Tutte in un fiato, dalle 20:00 alle 04:00, in una notte torrida di fine estate … In queste coinvolgenti pagine dalle molteplici sfaccettature, “suggerite dall’interessante libro I signori dello Zolfo (Cl 2001) di Michele Curcuruto” (A. Camilleri, Il nipote del Negus, 2010, note alla quarta edizione), Andrea Camilleri, con geniale acutezza, ha dato vita a un prezioso laboratorio culturale difficilmente collocabile all’interno di uno specifico genere letterario, mescolando le caratteristiche della cronaca, con episodi verificatisi realmente nell’entroterra siciliano, al memoriale autobiografico, valorizzato da ricordi e conoscenze personali, al saggio storico, rivisitazione fedele del clima degli anni ’30 minato da rivalità personali interne, al trattato giuridico-morale, incrementato dai relativi meccanismi psicologici che scattano nell’opinione pubblica di fronte alle vicende rappresentate, al romanzo psicologico, capace di ricostruire le scelte delle varie figure politiche, al romanzo giallo, ricchissimo di suspense, alla fervida fantasia, fonte di “casi e anacronismi inventati di sana pianta” (A. Camilleri, Il nipote del Negus, ibidem).
La sua illuministica razionalità si riflette anche nello stile che è terso, cristallino, essenziale, alieno da ogni sbavatura retorica o sentimentale, rinvigorito da un linguaggio asciutto supportato da “documentazione d’archivio intercalata da frammenti di parlate. Sono veri documenti falsi e falsi documenti veri” (S. S. Nigro, nota in Il nipote del Negus, 2010, quarta edizione), spesso inframmezzati dalle intrusioni dialettali. Il livello espressivo del romanzo e le strutture sintattiche si adeguano alla situazione e allo status sociale, dal registro colto del linguaggio burocratico usato dai personaggi più influenti con il loro argomentare, alla lingua popolare o il dialetto puro dei carabinieri e dei personaggi minori con le loro esclamazioni colorite, i discorsi allusivi. Espressioni crude, sintagmi, onomatopee, doppi sensi, metafore, similitudini, storpiature dell’italiano corretto, nomi o aggettivi usati anche come verbi, complementi di termine che sostituiscono complementi oggetto, a una prima lettura, possono disorientare, appaiono oscure, ma, proseguendo con lo scorrere delle pagine, si riesce a dar loro un significato; isolandone i tratti più strani e rivedendoli nel contesto della frase, anzi, lemmi come ‘ntìfico, specchiàta, babbiàre, taliàre, nèsciri, sùsirsi, macàri, mìzzica, cchiù, pirchì, stràmmo, assintomò, arrivèrsa, accussì, embè, chi camurrìa!, cadì ‘n terra come un mazzu di cavuli, il cangio di posto … finiscono per riassumere non solo un aspetto linguistico, ma, soprattutto, un costume basato sulla capacità di cogliere tratti della personalità. Il linguaggio scelto da Camilleri, insomma, non è affatto insormontabile, anzi, proprio grazie a questo stile, alcune scene hanno un gusto inconfondibile e diventano uno degli ingredienti del loro successo teso a osteggiare la tronfia retorica gabrieldannunziana iperbolica e altisonate, di cui il Fascismo, per incantare le masse, faceva il suo cavallo di battaglia.
Il “contastorie”, come egli stesso ama definirsi (Intervista a Camilleri, www.mondoeditoriale.com, marzo 2010), “burla e beffa, architettando documenti, rimane, comunque, dalla parte della verità storica” (S. S. Nigro, ibidem) e consiglia di “star svegli e scrutare e capire e giudicare” (Sciascia, Porte aperte, 1987). La macrostoria entra nella microstoria, gli aspetti più prettamente narrativi la ritraggono e consentono al lettore di introiettare i messaggi di ampio spessore insiti nei sette capitoli del “Nipote del Negus”, con fortissimi imperativi morali e civili per quanti riescono a penetrare nella tessitura capillare del racconto e, attraverso di esso, marchiare personaggi sclerotizzati in una forma “animati da splendido e indefesso fervore fascista” (A. Camilleri, ibidem), condannare il prostituirsi dell’intelligenza prona all’esecuzione di ordini dall’alto “con oculata e fascistica fermezza” (A. Camilleri, ibidem), scolpire, in ipotiposi, “facce di ciechi senza sguardo” (Sciascia, Il Giorno della civetta, 1961), stigmatizzare un contesto storico in cui “si dormiva con le porte aperte, anche se era soltanto nel sonno il sogno delle porte aperte; a esse corrispondevano, nella realtà quotidiana, da svegli, e specialmente per chi amava star sveglio, tante porte chiuse” (L. Sciascia, Porte aperte, 1987).
L’incipit è dato da un fatto realmente accaduto, la frequenza, nell’agosto del 1929, alla scuola mineraria di Caltanissetta, di Grhane Sollassié Mbassa, personaggio interessante, originale e “sessualmente senza briglie” (S. S. Nigro, ibidem) che apre nuove frontiere alle mire espansionistiche del Duce sull’Africa orientale. L’Italia, “il Paese illuminato in ogni dove dalla luce della civiltà fascista” (A. Camilleri, ibidem), è, infatti, nel pieno della sua affermazione e sono appena stati firmati i Patti lateranensi; Mussolini punta l’interesse sull’Etiopia con l’obiettivo di sostituirsi al Negus Ailé Selassié. Il nipote del Re abissino gli si presenta, perciò, come un formidabile trampolino di lancio e, sottomettendosi ai suoi dettami, cerca di ingraziarlelo con ogni strategia.
Qui finisce la verità storica e inizia la fantasia, perchè “i cerchi concentrici che attorniano i fatti e i personaggi, sono frutto esclusivo dell’inventiva dello scrittore” (www.sololibri.net). Grhane Sollassié Mbassa, un diciannovenne “che camìna scàvuso”, si iscrive alla Regia Scuola Mineraria di Vigàta, provocando un generale scompiglio perché, se è giusto che al giovane reale si riservi un’accoglienza all’altezza del suo rango, è anche vero che l’incapacità di superare le barriere della reciproca diffidenza fra bianchi e neri è sempre determinante. “I personaggi si muovono nell’atavico crocevia e si poggiano, sostanzialmente, su fondamenta di sabbia … Godiamo tutti degli stessi diritti, ma crediamo davvero in ciò che pensiamo?
Il teorema fallimentare, sentendo zoppicare i suoi principi aprioristici” (M. Perriera, Se tua figlia sposasse un negro?, www.mymovies.it, agosto 2009), scatena un susseguirsi serrato di dialoghi vivaci e fitti ping pong epistolari fra chi teme che “la scuola potesse esserne infettata” (A. Camilleri, ibidem) e quanti, invece, sono obbligati a cautelale gli interessi del “virtuoso della bricconeria” (S. S. Nigro, ibidem). Il romanzo si presenta, infatti, come un dossier composto da “carpette” che contengono lettere ufficiali e ufficiose, dispacci governativi perentori, telegrammi, proclami, documentazioni d’archivio, ritagli di giornale con articoli di cronaca locale, che s’intersecano, in un rimando continuo, a frammenti dialogici-narrativi notturni e diurni tenuti in un circolo, in un bar, in una camera da letto coniugale, nei luoghi più disparati tra gli abitanti di Vigàta. I dispacci ufficiciali coinvolgono il Ministro degli Esteri Corrado Perciavalle, il direttore della Scuola Mineraria Carmelo Porrino, il Commissario di Vigàta Giacomo Spena, il Prefetto e il Questore di Montelusa, rispettivamente Felice Matarazzo e Filiberto Mannarino, Antonio Fortuna, la Curia vescovile, le Agenzie del Banco di Sicilia, … poco importano i nomi e i ruoli, i destinatari sono tutti “servi volontari” (L.Sciascia, Porte aperte, 1987) del “DUCE …che guida, con romana e preveggente determinazione i suoi SUDDITI” (A. Camilleri, ibidem), marionette dibattute fra ipocrisie, timori, servilismo e apparente fierezza, con l’atteggiamento di chi vuole salvaguardarsi la carriera, ma percepisce su di sè il rischio di pregiudicare il luminoso avvenire che lo aspetta. Negli incartamenti cambiano le intestazioni, ma l’oggetto è sempre lo stesso, Grhane Sollassié Mbassa, “il negro … l’abissino armato … armatissimo … chi ci l’avi granni e grossa quanto la proposcite di un elefanti, … iddru … l’etiope” (A. Camilleri, ibidem), furbo, avventato, incontenibile per il quale “le fìmmine sono l’interesse maggiore insieme a quello dei sordi che non gli abbastano mai”; il “tizzone d’inferno coccolato e foraggiato” (S. S. Nigro, ibidem), amante del lusso, sollecitato dai bordelli e dal vizio del gioco, seppur ritenuto “riccu sfunnatu”, estorce denaro sia alla corte etiope, “che si è incaricata di coprire le sue spese correnti, purché contenute nel limite di mille lire mensili” (A. Camilleri, ibidem), sia al Partito Fascista, che paga tutto il resto per evitare incidenti.
A far crollare la situazione sopraggiunge una missiva di Mussolini in persona, che sollecita il principe a scrivere una lettera di elogi spropositatati sul Fascismo allo zio Ailé Selassié, allo scopo di facilitare la risoluzione “dell’annoso contenzioso con l’Etiopia per la definizione esatta dei confini con la Somalia” (A. Camilleri, ibidem). S.E., l’Onniveggente” (A. Camilleri, ibidem), da lui si aspetta un contributo alla soluzione diplomatica delle divergenze con il re abissino e fissare, a caratteri cubitali, l’immagine di un’Italia laboriosa e ordinata, anche se la libertà era finita e si era messo il bavaglio alle intelligenze del paese, il cui unico ruolo era quello di “credere, obbedire, combattere” (A. Camilleri, ibidem). “Eja, eja, alalà! Camicia nera, inni, marce, parate, esaltazione di forza guerriera, prestanza virile, lungimiranza politica, indomita fierezza … quando la menzogna si accasa nella storia, sono gli atti di fede e le adunanze e i manganelli che fanno la verità.
Il nipote del negus, “che alletta gli occhi e invaghisce i cuori” (S. S. Nigro, ibidem), temporeggia; affascinato da molte promesse e cifre spropositate, ricevendo molto e senza http:\\/\\/psicolab.neta mai concedere, riesce a umiliare l’onore, la tracotanza, le mire colonialistiche del regime. Le autorità, “costrette a tollerare ogni suo capriccio per espressa volontà di S. E. Benito Mussolini” (A. Camilleri, ibidem), aspettano impazienti la firma di un accordo diplomatico tra i due Paesi, mentre il giovane Principe, “che, nel suo ciclonico percorso, lascia dietro di sé rovine e danni” (A. Camilleri, ibidem), si fa beffe del Duce, dei notabili, delle forze dell’ordine, delle regole e della buona educazione per poi scomparire nel http:\\/\\/psicolab.neta. L’ellissi del discorso, del resto, lascia solo intuire attraverso un’indicazion topografica, l’Albergo Trinacria (A. Camilleri, ibidem) … per il resto tutto è affidato alle esclamazioni plastiche prolungate, indice prolettica della tresca amorosa tra la “Michilìna laida assà, nìvura di pelli, con le gamme torte, i baffi, che non arrinesci a trovare manco uno zito, che, al punto in cui è arrivata, non le farebbe ‘mpressione manco un cinìsi, e “l’atleta dell’inganno” (A. Camilleri, ibidem) …Oddio, Gesù, ohio, così, sì, ancoraancoraancoraancoraancoraancora … un piacere sessuale che spingerà i due amanti alla fuga … Volatizzati … e i misteri s’infittiscono … Si scopre, intanto, che il Principe era già sposato in patria sin dall’età dei quindici anni con la tredicenne figlia del potente Ras Makonnen, che … che … che … Un romanzo, insomma, che tiene il fiato sospeso fino alla fine, “invoglia alla lettura, cattura come un cesto di ciliegie. Assaporata la prima non ci si ferma finchè non si arriva al fondo del contenitore” (A. Parlati, www.libreriauniversitaria.it, nov. 2010).
“Il nipote del negus” lascia una scia pessimistica, non solo perché condanna, con graffiante derisione, la retorica fascista, ma, soprattutto, perché dimostra come, sostanzialmente, “il tuffo nel passato faccia sentire l’eco dell’attuale incerto presente” (M. Mondini, Camilleri rilegge la retorica fascista, www.lafeltrinelli.it, nov. 2010), quasi cogliendo, nell’età contemporanea, “un’assuefazione tanto lenta da non accorgersi della perenne recita a soggetti che spinge a sbandierare apparenze e deformare verità, facendo vivere una sorta di sogno infantile il cui risveglio potrebbe tramutarsi in incubo” (R. Montagnoli, www.ibs.it, giugno 2010).
Tali connotazioni, però, costituiscono specchio rinfrangente per i giovani studenti, i quali, con la successione delle scene apparentemente lineari, fortemente sintetiche, dense di informazioni, riescono a far luce sui nodi problematici di un’epoca e sulle incognite a essa correlate” (Matilde Perriera, Lo Specchio ne La Vita è Bella, Psicolab marzo 2010). Esse rappresentano momento di grande formazione perché, contrastivamente, attraverso esegèsi approfondite, dimostrano all’ “uomo che se ne va sicuro e l’ombra sua non cura” (Montale, Non chiederci la parola, 1925) la necessità di lottare per “liberarsi dalla trappola del qualunquismo, conservare l’istintiva avversione verso ogni forma di sopraffazione” (Matilde Perriera, L’esempio come fonte di crescita interiore: La vite rigetterà, Psicolab, gennaio 2011), “far trionfare i propri ideali attraverso una lotta tenace” (Sciascia, Porte aperte 1987), impossessarsi di un efficace “punteruolo” (Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia, 1941), stimolare la propria vivacità percettiva, mettersi alla prova, sempre e comunque, per abbattere i muri di acciaio tra i propri simili.