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Specializzazione flessibile e modello giapponese

Anche Piore e Sabel, negli anni ’80, cercarono di sottolineare la pluralità delle forme industriali. Gli autori, si fecero promotori della cosiddetta “specializzazione flessibile”, ovvero di un sistema industriale costituito da piccole e medie imprese specializzate, da contrapporsi alle fabbriche di stampo fordista ricordate tutt’oggi per le mastodontiche dimensioni.
Questo tipo di sistema organizzativo, strutturato attorno alla variabile della dimensione aziendale, avrebbe avuto le caratteristiche per operare nei settori più disparati, facendo leva sull’articolazione in piccoli lotti grazie alla quale si sarebbe potuto ovviare sia a problemi di carattere economico, sia a problematiche di anonimato e di mancanza di relazioni interpersonali, tipiche dei contesti aziendali di grandi dimensioni.
Gli autori, pur avendo considerato il modello flessibile come il giusto rimedio ad un sistema di produzione che stava subendo una battuta d’arresto sotto il profilo economico, non dimenticarono di sottolineare il miglioramento sociale della qualità della vita che si sarebbe potuto apportare adottando questo nuovo modello industriale.
Negli anni ’80 si diffuse, in Giappone, un altro modello di organizzazione industriale, che rappresentò, anch’esso, una soluzione all’inefficacia del taylorismo e del fordismo sia dal punto di vista della produttività sia dell’intera strategia d’impresa.
Il modello ebbe origine, in realtà, intorno alla fine degli anni ’40, dopo la seconda guerra mondiale, negli stabilimenti dell’allora sconosciuta Toyota il cui direttore, rilevandone i gravi problemi di sopravvivenza, si fece promotore di una nuova modalità di gestione del lavoro, che poi prese il nome di modello giapponese o toyotismo nel momento del suo maggiore sviluppo e diffusione negli anni ’80.
Partendo dalla considerazione dei vincoli che limitavano le capacità produttive su larga scala dell’azienda, Taijci Ohno riuscì a trasformare in risorse quegli stessi elementi limitanti.
Le caratteristiche peculiari del modello giapponese riguardano il “just in time”, cioè l’inserimento sul mercato del prodotto giusto al momento giusto; la “produzione snella”, cioè l’essenzialità delle officine che soddisfacevano esigenze economiche e di destrezza lavorativa; il coinvolgimento dei dipendenti; la collaborazione con i fornitori; la Qualità Totale, cioè la ricerca della qualità durante tutto il percorso di lavorazione senza attendere che il prodotto fosse ultimato per procedere alla revisione e al controllo.
Queste caratteristiche ci fanno inquadrare l’azienda strutturata secondo questo modello in un’ottica di collaborazione e di armonia. Il toyotismo nasce dalla ricerca di un sistema che potesse risolvere problemi di carattere economico ed agisce su una ricostruzione del sistema di risorse umane che costituiva l’azienda Toyota della fine degli anni ’40. Ohno volle promuovere un ritorno alla qualità, non solo del prodotto, ma anche della mansione svolta. Il segreto dell’impresa giapponese era, infatti l’alta capacità intellettuale degli operai, l’abilità dimostrata non solo nelle operazioni di routine, ma anche nella soluzione dei problemi sempre nuovi posti dalle innovazioni tecnologiche.
Ancora una volta si parla, così, di riqualificazione intellettuale, di coinvolgimento che autorealizza, di riscoperta di un benessere individuale senza il quale sarebbe impossibile raggiungere gli obiettivi di produzione.

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Elena Gaiffi

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