Saper interrogare significa saper attendere, anche tutta una vita.
Un’epoca tuttavia per la quale non è reale se non ciò che va in fretta e si lascia concretamente afferrare considera l’interrogare “estraneo alla realtà”, qualcosa per cui “non torna conto”. Ma non è il conto l’essenziale, l’essenziale è il tempo opportuno, ossia il momento giusto e la debita perseveranza (M.Heidegger, , 1935)
Ad aprile di questo anno l’autore, in qualità di membro dei Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva (CEMEA), ha tenuto un ciclo di tre incontri con una decina di insegnanti elementari di una cittadina vicina a Lucca.
Argomento dei nostri incontri era la possibilità di proporre nella scuola momenti di riflessione che servano esclusivamente ai bambini e che siano organizzati come laboratorio.
I padri della attuale riforma scolastica infatti dividono l’attività didattica in “auditorium”, dove gli allievi ascoltano, e “laboratorium”.dove gli allievi attraverso l’azione imparano a porsi e a risolvere problemi di varia natura. La riforma assegna un valore preminente al momento in cui si ascolta, mentre io e le persone con cui ho fatto questa esperienza volevamo dare la precedenza al fare e abbiamo cercato insieme un “fare filosofico” che possa aiutare i bambini a rispondere insieme e attivamente a quella domande di senso che hanno a che fare tanto con la psicologia quanto con la filosofia
Trattandosi di un lavoro sull’educazione attiva, non potevo limitarmi a dire agli insegnanti cosa proporrei io ai loro alunni, perché sarebbe stato un inutile e tedioso “auditorium”, perciò ho preparato tre proposte di attività da fare con gli insegnanti, che a loro volta potranno prenderle come base di partenza per proposte rivolte agli alunni.
Prima Proposta
Abbiamo intitolato gli incontri “laboratori sul pensiero riflessivo” e, dopo una rapida introduzione, abbiamo cercato di esplorare gli strumenti di cui la nostra cultura si avvale per riflettere e che in certa misura sono anche alla portata dei bambini:
- leggere qualcosa sulla lettura
- Scrivere qualcosa sullo scrivere
- Parlare sul parlare
- Ricordare un ricordo (rievocare il momento in cui è avvenuta una rievocazione)
- Raccontare una storia sulla narrazione
Gli strumenti più adatti ci sono sembrati anche quelli che la storia della filosofia ha utilizzato più diffusamente nel corso dei secoli, a conferma dell’ipotesi secondo cui la psicofilosofia non è divulgazione filosofica ma filosofia in azione, anche se chi la pratica è nuovo al contatto con la filosofia e non può dirsi filosofo.
Quando gli insegnanti si sono misurati in prima persona con queste attività (scrivere, parlare, leggere, ricordare), abbiamo confrontato i prodotti e abbiamo cercato di evidenziare elementi comuni, in questo caso affermazioni sul pensiero e sul pensare che, anche se espressi in una forma particolare a proposito di quella particolare forma di espressione (scrivere,. pensare in silenzio..), potevano sembrare familiari a chi era giunto a conclusioni analoghe per altre vie (discutere, raccontare…). Una volta individuati, gli elementi comuni sono stati trascritti come segue e integrati dalla lettura di alcuni testi:
- Il pensiero, qualunque forma assuma, non segue un andamento lineare ma segue vie tortuose e di volta in volta si discosta dall’oggetto principale e vi torna arricchito di idee, metafore, immagini che spesso permettono una riflessione più profonda. Se da questo vogliamo trarre delle indicazioni didattiche, si dovranno mettere a loro agio gli allievi nel fare questo, in modo che queste oscillazioni imprevedibili e ineliminabili siano vissute come una risorsa e non come una perdita di tempo.
- Nella riflessione il ricordo è centrale: riflettere significa interpretare le esperienze passate in una luce nuova. Spesso i ricordi più vivi hanno a che fare con sapori, odori, timbri… Il pensiero riflessivo ci appare perciò strettamente legato all’esperienza personale e allo scorrere del tempo. La riflessione perciò non si arresta: si può rievocare a più riprese una stessa esperienza e attribuirle significati sempre nuovi tenendo conto di tutto ciò che abbiamo sperimentato nel frattempo. Il pensiero riflessivo si muove sempre tra un oggetto particolare che si impone alla nostra attenzione (un ricordo, una parola, un brano…) e la totalità di cui l’oggetto fa parte (una serie di ricordi, un dialogo, un libro..). Questo movimento circolare del pensiero prende il nome di “circolo ermeneutico”.
- Il pensiero riflessivo si lega alla tranquillità in due modi: da un lato, esige che ci sia serenità, calma, silenzio intorno; d’altra parte, chi riflette entra in una dimensione dove regnano la calma, la serenità e il silenzio anche se intorno c’è rumore.
Seconda Proposta
Una volta affinati gli strumenti, ho proposto un tipo di indagine più impegnativo: si trattava stavolta di rispondere a una domanda precisa attraverso la narrazione e il confronto di storie,. Ci siamo così disposti come attorno ad un focolare e ho tirato fuori l’oggetto della nostra indagine, lo sp0ecchio, metafora e archetipo del pensiero riflessivo.La domanda a cui si doveva rispondere in modo indiretto, con le storie, era: “Cosa fa uno specchio?”
Le narrazioni, relative a Lucida Manzi, Biancaneve, Narciso, la Regina di Saba e alcuni film horror, mettono in evidenza i rischi legati alla riflessione: il rischio di scostarsi troppo dall’azione, il rischio di restare intrappolati nella riflessione e, per contro, il rischio di evocare forze incontrollabili; la consapevolezza che la riflessione ci mette di fronte ad immagini parziali, talvolta ingannevoli, su cui vale comunque la pena di riflettere ancora.
Questo è forse l’aspetto dei laboratori sul pensiero riflessivo che interessa di più la psicologia dell’apprendimento: emergono le paure che spesso sono di ostacolo all’approfondimento di una materia e all’esercizio di certe attitudini. I pedagogisti parlano da molti anni dei timori legati alla matematica e ad altre discipline che apparentemente non mettono in campo immagini ed emozioni; molto meno si sa sulle inquietudini legate alle discipline umanistiche e, se miti e leggende sugli specchi ci rivelano paure irrazionali e sagge precauzioni nei confronti della filosofia, non è escluso che un lavoro del genere possa essere portato avanti con profitto per chiarificare le insidie della storia, delle lingue e del disegno.
La discussione con gli insegnanti però metteva anche in luce il divertimento e il piacere provato nel riflettere con gli altri attraverso la narrazione, un piacere che in larga misura appare sganciato dai fatti raccontati (che possono essere anche inquietanti o spiacevoli) e che appare invece connesso alla rievocazione di un tempo in cui riunirsi e raccontare era centrale nella vita delle persone.
Proposta Conclusiva
Dopo aver esplorato le possibilità della narrazione di storie come strumento di chiarificazione del pensiero, ho pensato che fosse venuto il momento di proporre un tipo di indagine più coinvolgente sul piano personale perché poteva mettere in discussione abitudini, gusti e scelte individuali.
Poiché commentando le proposte precedenti gli insegnanti dicevano che sono divertenti, restava da chiarire che cosa significa “divertirsi” a partire dalla propria esperienza. Ogni partecipante, facendo riferimento alla propria esperienza personale, doveva scrivere su un biglietto la sua risposta alla domanda “quando mi sono divertito?”.
Dal confronto tra i biglietti emergono molte differenze ma anche alcuni significativi tratti in comune.
- si fa qualcosa che non impegna troppo il pensiero o che comunque non è fonte di preoccupazioni
- si fa qualcosa che presenta elementi di novità
- si fa qualcosa che si scosta dalla routine e la bilancia
Apparentemente l’ultima affermazione contraddice l’assunto iniziale, secondo cui attività di riflessione possono essere divertenti: se l’ideale delle pratiche filosofiche è “una vita esaminata”, bisognerà pure rendere conto a se stessi e agli altri di quello che la riflessione ci lascia, sarebbe assurdo riflettere e poi fare finta di niente. La riflessione dunque impegna.
Questo implica che non può essere divertente?
Storie come quella di Lucida Mansi illustrano i rischi di un certo tipo di riflessione, l’ossessione di chi perseguel’ideale di una vita specchiata, immune da macchie e da rughe;questa riflessione non è divertente e non è neppure filosofica, perché l’esigenza di restare fedeli all’immagine di se stessi spinge al rifiuto delle acquisizioni che la riflessione permette: lo specchio non deve riservare sorprese.
Filosofica è invece la riflessione che, pur impegnandoci a rendere conto a noi stessi e agli altri di ciò che pensiamo, ci permette di prendere le distanze dall’immagine di noi stessi e di divertirci con dimostrazioni per assurdo, facendo l’avvocato del diavolo e lasciando che ci vengano in mente idee che non condividiamo.
Resta una domanda: dove trovare nella scuola la libertà necessaria al divertimento? La scuola infatti non solo può essere vissuta come un obbligo, ma è un obbligo. A questo interrogativo non abbiamo trovato risposte soddisfacenti e forse, come nel Carmide di Platone in cui Socrate discute di educazione e di saggezza con gli allievi di una palestra, la risposta non è arrivata, ma è in cammino (Wouters, 1999).