In teoria la creazione di valore della marca presuppone l’esistenza di una struttura operativa che sia in grado di rispondere alle promesse fatte dalla marca stessa. Non sempre però, soprattutto nel mondo della moda, la marca può essere connessa esclusivamente all’impresa che le ha dato origine. Infatti, come abbiamo potuto constatare negli ultimi anni, i cambi di proprietà, le fusioni di aziende e la conseguente nascita di gruppi dimostrano come la vita di un marchio possa continuare con strutture e gestioni differenti. A riguardo abbiamo assistito al fenomeno di gruppi finanziari e industriali che, attraverso operazioni di fusione e acquisizione di marchi, hanno dato vita ai cosiddetti “poli della moda”.Queste strutture, guidate da una holding e composte da imprese-satellite dotate di marchi affermati, sono in grado di realizzare sinergie in differenti aree strategiche, pervenendo a formule gestionali che possono essere accostate al modello di impresa-rete. Le imprese collegate, infatti, rimangono autonome nell’ambito delle loro specifiche competenze e della marca, ma usufruiscono, quando necessario, di mezzi finanziari e di supporto nella distribuzione, nella logistica, nella gestione delle informazioni e, soprattutto, nel marketing.
Nel periodo tra il 1997 ed il 1999 ci sono state 212 operazioni di concentrazione, che hanno dato luogo ad un fenomeno soprannominato “mergermania”.
Nei “poli della moda” il leader assicura ad ogni marca l’attuazione dell’intera linea di prodotto secondo quelle che sono le indicazioni dello stilista. L’obiettivo è quello di mantenere ben distinte le marche, evitando contaminazioni che potrebbero provocare la perdita d’immagine delle stesse. Ad ognuna di esse infatti viene assicurata una comunicazione pubblicitaria che evita sovrapposizioni. Allo stesso tempo ognuna segue finalità che rientrano in un’ottica di coerenza con l’intero sistema. Inoltre in questo caso non assistiamo a conflitti tra industria e distribuzione, in quanto vi è perfetta coerenza tra l’immagine del prodotto promossa dallo stilista, quella comunicata dalla pubblicità e quella percepita nel punto vendita.
Nella competizione globale e nei cambiamenti sociali possiamo ritrovare le ragioni che hanno portato alla nascita di realtà in grado di gestire le nuove dinamiche concorrenziali.
In uno scenario in cui il mercato mondiale della moda risulta essere controllato da pochi gruppi, occorre considerare il pericolo di una trasformazione della moda da fenomeno sociale a mero fenomeno economico. Queste operazioni di acquisizione fanno pensare che in futuro la moda non sarà più guidata dagli stilisti, ma dagli imprenditori dell’alta finanza che controlleranno la maggior parte del mercato.
Effetti della dematerializzazione della marca sul “made in Italy”
Negli ultimi anni il fenomeno della delocalizzazione produttiva sta mettendo in evidenza la tendenza della marca a svincolarsi dal mondo materiale del Prodotto-Moda.
L’esternalizzazione di parti importanti della produzione sottolinea come la cultura della fabbrica, degli stabilimenti e della produzione, che un tempo era indissolubilmente legata alla marca, stia venendo meno. Se prima la marca si faceva carico direttamente della produzione tramite stabilimenti propri, oggi la marca è proiettata oltre i luoghi di produzione. In pratica una parte consistente della produzione viene affidata ad appaltatori che si prendono la responsabilità dell’intero processo produttivo, attenendosi sempre a standard produttivi rigorosi.
In questo modo la marca si concentra sullo specifico della creatività, dell’innovazione e del controllo qualitativo, aumentando così il distacco dalla materialità del prodotto.
Questo processo sta portando ad una dematerializzazione della marca, che è quindi “in grado di trasformare in materiale prezioso le merci a cui si giustappone”.
Un aspetto importante di questa trasformazione consiste nel fatto che, se il mondo della produzione si allontana dalla marca, il punto vendita vi si avvicina. Quest’ultimo si trasforma in uno strumento privilegiato per la comunicazione della marca, ed è quindi facilitato nell’attività di vendita, dal momento che la marca, alleggerita dai compiti produttivi, si può esprimere al meglio.
Proprio in questo processo di dematerializzazione, derivante dalla delocalizzazione produttiva, è riscontrabile il rischio per il “made in Italy” di perdere la propria ragione d’essere. Infatti questo marchio si è sempre fondato sul legame tra marca e luogo di produzione. Il fatto che un capo di abbigliamento italiano riportasse l’etichetta di fabbricazione in Italia contribuiva alla creazione del valore aggiunto. Ed è in questo modo che si è sempre potuto giustificare l’elevato livello del prezzo.
Sempre a causa della dematerializzazione della marca il Sistema Moda italiano sta attraversando un periodo di crisi che la sta costringendo a riconsiderare il modello del “made in Italy”. Questo infatti non è più in grado di contrastare la concorrenza dei gruppi stranieri, che non godono di un tale patrimonio genetico, ma che sono riusciti ad intuire per primi le nuove tendenze del mercato.