fbpx

Psicoterapia e Psicoanalisi

Le Immagini Oniriche

Riflessioni su un percorso terapeutico di dreamwork dalla Gestalt al mondo infero di Hillman
“Se sognare un poco è pericoloso, la sua cura non è sognare meno, ma sognare di più, sognare tutto il tempo”. Proust
Se i sogni sono, come sosteneva Freud, l’accesso preferenziale verso l’inconscio, il lavoro sui sogni che ho approfondito in terapia mi ha regalato un’apertura verso una dimensione prima di allora temuta che si faceva, da un’esperienza onirica all’altra, sempre più seducente. Ho collezionato sogni miei e di altri, intuizioni mie, suggestioni altrui, meticolosamente.
Freud sosteneva di non poter raccontare i sogni dei suoi pazienti – ma poi lo farà – e di doversi accontentare dei propri, quelli “di una persona pressoché normale”; anche Jung ha lavorato sui propri sogni, lamentando di non avere uno Jung che li interpretasse.
Ridimensioniamo. Io che non sono né Freud, né Jung, con molta modestia e un po’ di sfrontatezza ho registrato tutto il materiale e scritto un lungo lavoro intitolato La casa dei sogni (di cui questo testo è solo una sintesi).
La casa dei sogni perché la casa è stato il filo che legava tra loro i sogni importanti. Abitazioni del passato, trasfigurate, ambienti improbabili del futuro. Penombre e luci artificiali. Stanze museo affrescate e logorate dal tempo. Pareti spoglie/spogliate o con tappezzerie stranamente chiassose. Bianchi e neri o colori vivaci. Contorni netti; confini indefiniti. Forme squadrate o armoniose, tondeggianti .
Il sogno iniziale risale a due notti dopo la prima seduta con la mia terapeuta ed è ancora molto vivo durante il secondo incontro, a distanza di quasi due settimane. Ho urgenza di raccontarlo. Pur non conoscendo ancora le definizioni di “sogno iniziale “ e “grande sogno” di Jung, arrivo in seduta con il desiderio di condividere questa sorta di malia, d’incantamento. Grata a questo sogno così intenso; lo tratto come un dono. Sento calore ed eccitazione solo nel comunicarne l’esistenza. La prima frase “Avevo una stanza tutta per me che non sapevo di avere” viene pronunciata senza un respiro, dopo aver letto nel sorriso della terapeuta il permesso alla narrazione.
Lei invece mi interrompe e mi invita a chiudere gli occhi, respirare profondamente, entrare in contatto profondo con le immagini e gli elementi del sogno.
“Datti il tempo che ti serve. Quando sarai pronta, racconta il sogno”;
“Ecco, sì, avevo una stanza che non sapevo di possedere”
Il suo secondo invito – non ce ne sarà più bisogno, in seguito – è quello di raccontare il sogno al presente.
Nella pratica gestaltica il sogno viene raccontato al presente perché ha senso riviverlo, anziché ricordarlo, senza dimenticare che la situazione è quella della seduta.
Si sa che il sogno, di per sé, è vissuto in una dimensione atemporale: elementi del passato del presente e del futuro si mescolano in maniera completamente arbitraria.
Questo è un aspetto che rende il sogno molto affascinante e sempre più oscuro, perché scardina tutte le categorie di tempo e di spazio a cui siamo avvezzi.
Nel raccontare il sogno al presente se ne ricostruiscono sceneggiatura, scene e scenografia; alcune immagini sono più in figura, altre più sullo sfondo, come in una vera e propria sequenza teatrale. Che poi sia una commedia o una tragedia ciò che rappresentiamo nel rivivere il sogno, dipende proprio dalle emozioni che emergono nel qui e ora e nella relazione terapeutica.
Nella pratica gestaltica il paziente, guidato, si immedesima a tal punto con gli elementi del sogno da poter dar voce ad ognuno di loro, parlando in prima persona. La casa dei miei sogni era il contenitore di ciò che avveniva al suo interno; parlare in prima persona come se fossi stata la stanza, descrivermi e poi descrivere la scena al mio interno era un’esperienza davvero emotivamente molto forte.
L’idea portante di Perls (il fondatore della gestalt) è che il sogno è l’insieme delle proiezioni delle parti del sognatore. “Tutti i differenti elementi del sogno sono dei frammenti della personalità. Essendo il fine di ciascuno di noi divenire una personalità sana, vale a dire unificata, si tratta quindi di mettere insieme i diversi elementi del sogno. Dobbiamo riappropriarci degli elementi proiettati, frammenti della nostra personalità e recuperare quindi il potenziale presente nel sogno. Come al solito raggiungeremo il nostro compito a tappe e la prima è la consapevolezza delle proiezioni”.
E siccome noi sappiamo che l’insieme è più della somma dei suoi elementi costitutivi, alla fine di un lavoro esperienziale va colta la gestalt del sogno, nella sua interezza. E con l’interezza, l’essenza.
E’ frammentario limitarsi ai singoli elementi di un sogno, se poi se ne perde la globalità e se sfugge il ruolo che esso ha nella fase esistenziale del sognatore. Il sogno dà anche precisi messaggi se ci si sofferma ad ascoltarne i rimandi e soprattutto se ne cogliamo (meglio se guidati) il senso; d’altra parte lo stesso Perls sosteneva che i sogni, soprattutto quelli piacevoli, altro non sono se non situazioni inconcluse.
Per Hillman invece è del tutto assurdo tradurre il sogno nelle immagini del mondo diurno; si può fare l’operazione inversa: tradurre l’io nel linguaggio del sogno. Egli nega, inoltre, che le persone che incontriamo nei sogni possano essere parti di noi o proiezioni. Sono immagini, ombre, maschere che svolgono ruoli archetipici. Simulacra.
Mantenendo sempre fermo il presupposto che l’interpretazione può uccidere il sogno, Hillman è molto critico nei confronti della pratica gestaltica. Il sogno va mantenuto così com’è, nella sua immagine enigmatica. Addirittura bisogna “rompere il legame con il mondo diurno. …dobbiamo attraversare il ponte e lasciare che crolli alle nostre spalle e, se non dovesse crollare, lasciamo allora che bruci”. Lasciare quindi crollare o bruciare il ponte alle nostre spalle, per inoltrarci in una dimensione infera, sulla quale insiste per tutto il suo libro, appunto Il sogno e il mondo infero.
Ribatte Serena Foglia, e già questa strada mi piace di più, che “la discesa agli inferi ha un’opposta e altrettanto simbolica meta: il viaggio verso il Paradiso, verso il Nirvana, verso la beatitudine, verso l’ineffabile tripudio dell’anima e del suo congiungimento con il divino”. Inferno e paradiso sono le due tentazioni estreme dell’uomo. Basti pensare ai funerali dell’anima di Baudelaire e alle sue esperienze di elevazione. Inferno e Paradiso esistono nell’inconscio così come esistono nella vita reale.
A me piace pensare al sogno (e alle immagini che non ci vogliono lasciare) come un mondo altro, ma non necessariamente l’ altro mondo. Anzi, come la soglia, il luogo di confine, lo spazio di frontiera tra mondo diurno e mondo notturno; di più, direi un nuovo mondo che è più vasto della somma degli altri due, così come un sé integrato è un sé più ampio rispetto alla somma delle due parti. Solo così forse si spiega la felicità di quando si intuiscono tra i due mondi rimandi reciproci , prestiti, rispondenze.
Dice Deena Metzger: “Il sogno è un processo di creazione artistica universale che ci rende simili agli dei, impegnati nel magico gioco attraverso cui ciò che è separato e incompleto è reso uno”.
Contributi bibliografici
Foglia S: “Il sogno e le sue interpretazioni”, Tascabili Economici Newton
Freud S: “L’interpretazione dei sogni”, Bollati Boringhieri
Hillman J: “il sogno e il mondo infero”, Adelphi
Jung C.G: “Ricordi, sogni, riflessioni”, Bur Saggi, Rizzoli
Metzger D: ”Scrivere per crescere”, Casa Editrice Astrolabio
Perls F, Hofferline R.F, Goodman P: “Teoria e pratica della terapia della Gestalt”, Casa Editrice Astrolabio
Von Franz M. L: “Il mondo dei sogni”, Edizione RED

Riflessioni su un percorso terapeutico di dreamwork

dalla Gestalt al mondo infero di Hillman

Picture of Margherita Fratantonio

Margherita Fratantonio