Ogniqualvolta la cronaca riporta episodi di violenza sessuale, si riapre prepotentemente il dibattito pubblico sul tema della castrazione chimica.
Sull’onda emozionale creata dalla commissione di spregevoli delitti di stupro o di pedofilia, la maggior parte dell’opinione pubblica è favorevole all’applicazione di misure coercitive che hanno la funzione di inibire il desiderio sessuale, e si spinge addirittura ad invocare l’introduzione nel nostro sistema penale della pena di morte per chi provoca con questi delitti la morte della vittima, in particolare quando essa è un bambino.
Queste tecniche di sterilizzazione vengono in genere giustificate con l’argomento secondo il quale esse garantirebbero un’efficace difesa sociale nei confronti di soggetti rei di crimini a carattere sessuale e sarebbe possibile sottrarre alle tradizionali sanzioni detentive questi individui che, privati della potenza sessuale, perderebbero in aggressività.
Però, per sgombrare il campo da falsità o ignoranza e per non scivolare in semplicistiche affermazioni, ritengo opportuno far un po’ di chiarezza sul fenomeno in questione.