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Scuola

Pratiche Filosofiche dentro le Mura

Abstract
La pratica filosofica può ritenersi un’efficace strategia educativa da adottare in situazioni difficili come il carcere. Il senso è quello di una filosofia fatta di domande estreme sulle questioni ultime, di confine, ma cercata fuori dalle mura chiuse e riparate delle accademie, nei luoghi estremi, come le carceri.
Parole chiave: Filosofia, carcere, significato, dialogo, ascolto, parola.
Ovunque c’è collegialità è manifesto il bisogno di strumenti di relazione, di dialogo e regole di ascolto, nei luoghi di lavoro, le amministrazione, le imprese, le scuole, perché non si parli di risorse umane come semplice disponibilità di lavoro, ma come esigenza di valori di sviluppo. C’è bisogno non solo di raccontarsi, ma di “dare la parola” e dialogare, di fermare per un momento la giostra del frenetico affaccendarsi quotidiano, per chiedersi che senso hanno i nostri affanni. Il senso è quello di una filosofia fatta di domande estreme sulle questioni ultime, di confine, ma cercata fuori dalle mura chiuse e riparate delle accademie, nei luoghi estremi, come le carceri. Rispondendo ad un bisogno sociale della filosofia che deve poter valere come il diritto di ognuno di interrogarsi sulla propria vita, occorrerà pensare, nelle carceri, a un tempo interamente dedicato al filosofare perché la filosofia in quanto strategia di problematizzazione dialogica della realtà è pratica di formazione.
La problematizzazione è dialogo: dialogo con la pluralità di letture possibili del reale, con la molteplicità delle modalità di vivere e comprendere il reale. È continua revisione di quei processi di pensiero che sottendono e/o favoriscono i pregiudizi e gli stereotipi.
La rinuncia al dialogo significa la preventiva convinzione di aver già-da-sempre ragione, di non necessitare, mai, di alcuna verifica delle proprie posizioni: l’altro non può darmi http:\\/\\/psicolab.neta. Molti di coloro che entrano in carcere hanno un sistema di valori rigido e una modalità di affrontare la realtà caratterizzata da meccanismi fissi e preconcetti, che derivano dall’esperienza di vita personale.
Contesti familiari e sociali dove la pedagogia dell’esempio, come forma educativa primitiva di trasmissione di atteggiamenti, di approcci al mondo e alla vita, censura la messa in discussione di stili di vita che restano invariati nel tempo nei loro modi essenziali: l’imposizione, la violenza, concetto dell’altrui persona e della cosa pubblica in funzione dei propri interessi.
La pratica filosofica nella scuola primaria di realtà difficili, con un alto indice delinquenziale, si configura come forma di esperimento generale sui criteri del dialogo filosofico nelle carceri.
Nelle scuole dove c’è una situazione emergenziale, dove i materiali, le risorse, sono scarse, le provenienze degli studenti sono le più diverse, la presenza degli stranieri è molto elevata, è come se tutti i problemi della scuola normale si presentassero qui alla massima potenza e dunque in qualche modo finisce per rappresentare anche una sorta di avanguardia di quello che normalmente gli insegnanti si trovano ad affrontare nelle scuole. Quindi, riteniamo che possa esserci una ricaduta del metodo che si acquisisce in queste scuole, dentro le Mura delle carceri.
«È’ mio quello che riesco a prendere», dichiara Milos, un bambino zingaro.
Le parole di Milos ci riportano a un tempo lontano, quando Socrate, condannato ingiustamente a morte, nella notte precedente alla esecuzione, viene visitato da un amico, Critone, che gli fa una proposta: fuggire dal carcere e mettersi in salvo. La cosa è “tecnicamente” possibile: i carcerieri sono già stati debitamente pagati, cioè corrotti: al Pireo c’è già la nave che lo porterà lontano da Atene. Si tratta solo di convincere Socrate. Nasce così una domanda che forse tutti noi ci portiamo da sempre dentro: tutto ciò che mi è consentito di fare perché non farlo?
«CRITONE: Ma, mio caro Socrate, dammi retta e salvati. Perché se tu muori, per me, non sarà soltanto il dolore di aver perduto un amico come te, quale io non riuscirò più a trovare, ma tutti quelli che ci conoscono bene penseranno che io, con i mezzi che avevo, avrei potuto salvarti e che non l’ho fatto per non spendere denaro. Passare per uno che tiene più al denaro che agli amici: cosa mi potrebbe capitare di peggio? Perché la gente non crederà mica che sei stato tu a non voler fuggire da qui, anche se noi abbiamo fatto tutto il possibile».
Roberta: «Perché vogliono uccidere Socrate?»
Milos: «Perché Socrate rifiuta di scappare?»
Raffaella: «Perché Socrate è in carcere e Critone no?»
Dida: «Perché Socrate vuole rispettare a tutti i costi le leggi visto che Critone lo vuole aiutare a fuggire?»
Patrizio: «Fa bene Critone a insistere che deve fuggire, si aiuta un amico fino alla fine».
Roberta: «L’amico deve aiutare ma non deve rimetterci la vita».
Rosa: «Se è disposto a dare la sua vita la da».
Salvatore: «Ma se un amico non è disposto a dare la sua vita per l’altro mica significa che non gli vuole bene?»
Roberta: «Se è un papà la può dare per suo figlio perché pensa “tanto ho già vissuto la mia vita”».
Filomena: «Perché Socrate non accetta di fuggire per i suoi figli?»
Simona: «Ma al papà i figli non gli mancano?»
Giusy: «È importante rispettare la legge».
Raffaella: «Socrate fa bene a rispettare la legge».
Rosa: «Socrate anche se muore ha la coscienza a posto perché ha rispettato la legge».
Milos: «Socrate non vuole scappare perché ha paura».
Il dialogo ha la caratteristica di mettere a confronto schemi, modi di ragionare, presupposti impliciti. Disporsi al dialogo significa mettersi in gioco e disinnescare le proprie difese, lasciando che un messaggio vada a infilarsi in zone protette della propria soggettività. Acquistare consapevolezza di sé in situazione, sentire la problematicità del reale, del sé e dell’altro, consente all’uomo di porsi in modo critico e creativo nei confronti del mondo e della conoscenza.
La pratica filosofica può ritenersi, quindi, una efficace strategia educativa da adottare in situazioni difficili come il carcere. Rimane attuale l’idea socratica secondo cui l’uomo sbaglia per ignoranza, non conoscenza del bene: i malvagi sono quelli che non sanno quel che fanno. Lo specifico della filosofia consiste nell’attivare processi di riflessione e di interpretazione della vita e delle sue manifestazioni, pertanto essa si presenta all’individuo che apprende “significativa in sé” per il grande contributo che può fornirgli nel difficile compito di comprendere se stesso ed il mondo di cui è parte. L’esperienza filosofica induce e legittima un modo di ”essere al mondo”, curioso e problematico, coraggioso e responsabile, i cui fondamenti risiedono nella capacità di pensare in proprio, di confrontarsi con una pluralità di oggetti, problemi, significati; di rapportare la propria personale identità attuale con il passato e con le prospettive future. Non è un problema di comunicazione e informazione. Non basta riformare, informare e comunicare, ma occorre restituire la parola e dialogare.

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