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Neuroscienze

LETTERA alla curatrice della rubrica PNEI

Gentile Dott.ssa Bossolasco,
sono uno studente del sesto anno di medicina dell´Università del Piemonte Orientale, sede di Novara. Mi permetto di scriverLe perché spero possa e voglia darmi delle coordinate nel mio peregrinar di pensieri che tra poco Le esporrò.
La cosa che più mi stupisce (e delude) è che nessuno dei professori a cui mi sono rivolto ha saputo darmi una risposta soddisfacente. Mi sembra incredibile che persone che sono a contatto da anni con uomini e donne malati sembra non abbiano mai cercato risposte al di fuori di quelle riguardanti la propria scienza.
Ad ogni modo, la questione (apparentemente banale) che Le pongo è la seguente: che rapporto c´è tra mente e anima? Ragione o mente: cervello, neuroni, sinapsi, neurotrasmettitori, talamo,
>ipotalamo, ipofisi, ormoni. E molto altro. Anima o cuore o psiche: amore, affetto, odio, solitudine, calore. Emozioni.
Il professor Borgna inizia il suo libro “L´Arcipelago delle emozioni”, (ed. Campi del sapere/Feltrinelli), così: “Si conoscono molte cose con l´intelligenza: gli enigmi biologici della vita, i segreti degli universi stellari […] gli universi di discorso delle filosofie del passato e del presente;[…]. La tecnica […] è nutrita d´intelligenza, certo, di ragione astratta e calcolante, e non ha http:\\/\\/psicolab.neta a che fare con l´altra parte della realtà umana e della conoscenza delle cose che è rappresentata dalle emozioni, dagli stati d´animo, dai sentimenti, dagli affetti, dalla vita affettiva: dizioni diverse di una comune regione della vita psichica >estranea alla volontà e all´intelligenza, e indirizzata alla comprensione delle esperienze che nascano dalla vita interiore.”
I testi del professor Borgna commuovono, perché le sue parole sono sintesi di umanità, passione, esperienza. In una parola sono poesia. Cosa non certo comune, purtroppo, in persone che, più o meno consapevolmente, decidono di fare del metodo scientifico la propria unica fede.

Non posso davvero non sentire anche mio il testo del prof. Borgna, anche se percepisco la presenza di una contraddizione. Sintetizzabile nelle due parole in corsivo: “altra” ed “estranea”.
La mia professoressa di neurologia lo scorso semestre tenne una lezione sull´innamoramento. Riuscì perfettamente (almeno così parve a me, enormemente più ignorante della docente) a trovare una giustificazione in tutto ciò che caratterizza l´interesse di un ragazzo per una ragazza: dalla tachicardia all´erezione, passando per paure, gioie, ansie, sogni. Stimoli visivi, neuroni, sinapsi, mediatori chimici, aree cerebrali, ormoni. Allora mi chiesi: che la psichiatria esista solo per ciò che non può spiegare la neurologia? Il metodo scientifico ha regole ben precise: alcuni eventi possono essere: esistenti e spiegabili, esistenti ma non ancora spiegabili o inesistenti.

Ma siamo sicuri che solo perché la scienza non dimostra o non dimostrerà mai un evento, questo sia “inesistente”? Non voglio mettere in dubbio l´ utilità del rigore scientifico nelle scoperte e nelle applicazioni mediche. Avrebbero libero accesso mendicanti di farmaci miracolosi, cure basate sulla superstizione, e molti altri abusi ancora. Ma è davvero “inesistente” l´oggetto di un´allucinazione? Si riduce davvero solo ad “un `alterazione della funzione percettiva”? Non è “inesistente” e “sfuggente” e “ineffabile” (ma certo infinitamente più intenso) quanto le emozioni che noi, persone “sane”, proviamo? Non è “inesistente”, ad esempio, quanto l´immagine che i miei genitori hanno l´uno dell´altra dopo 35 anni di matrimonio? La differenza tra una persona che vive soffrendo per i suoi deliri, le sue allucinazioni, e me, da cosa è data se non dalla diversa capacità critica
>nei confronti delle emozioni provate? Cioè dalla ragione?
Non è dunque questo l´esatto punto d´incontro tra “mente” e “anima”? Non è qui che l´una non è più “estranea” all´altra? Non è a questo livello che la ricerca scientifica può dare il suo contributo a spiegare la psichiatria?
D´altro canto sento vero il concetto espresso dal prof. Galimberti quando afferma che la scienza richiede “dati oggettivi” e che per questo non può esistere l´emozione come “oggetto” di studio, perché l´emozione come “oggetto” non esiste, ma esiste solo come soggetto, e nel soggetto-persona che la vive. Borgna, pur affermando, con il suo solito coraggio, che la psichiatria oltre che scienza naturale è soprattutto scienza umana, sostiene che anche gli psicofarmaci siano indispensabili nel controllo della sintomatologia psicotica, soprattutto, ma non solo, nelle fasi iniziali. Ma gli psicofarmaci esisterebbero se qualcuno non avesse creduto fermamente nella possibilità della scienza di curare le malattie mentali?
Lo sento anch´io che sia terribile definire, etichettare una persona come “schizofrenica”, o “depressa”, (magari solo dopo esser stato sottoposto ad un test sulla personalità) o molto altro e peggio ancora, ma lo stesso professor Galimberti, del resto, ha scritto un dizionario di psicologia (Garzanti, Milano 1999) utilissimo e necessario alle persone che si interessano di “psiche” al fine, anche, di parlare un linguaggio comune.
Forse, ancora una volta, “la virtù sta nel mezzo”. A patto che chi si pone “nel mezzo” abbia il coraggio e la fierezza di starci come su di una piccola barca da cui provengono onde di due o molti più mari, alla “continua ricerca di un equilibrio dinamico”, come mi suggerì una volta una cara persona.

Ho scoperto da poco la PNEI e solo oggi il sito in cui è presente la Sua rubrica. Lei crede che possa essere la strada che mi permetterà di rispondere alle mie (talvolta quasi ossessive) curiosità?
Quasi tutti i miei compagni hanno già il titolo della tesi e da tempo hanno iniziato la corsa in reparto per raggiungere il traguardo del posto in specialità prima degli altri. Io no. Ho, per fortuna, molte passioni: la psichiatria, la neurologia, il mondo femminile. Quest´ultimo mi affascina in maniera sorprendente: le donne (o, più in generale, la femminilità) sono, all´interno di un reparto (e, certo, non solo), ciò di cui c´è più bisogno. Sono isola di emozioni e passioni all´interno dell´oceano di tecnica, iter diagnostici e terapeutici. Molto più vicini all´ingegneria che all´estro (incredibile analogia semantica per indicare gli ormoni femminili) dell´arte medica. Ecco dunque la ginecologia. Ma può un organo (in questo caso riproduttivo) permettermi di avvicinarmi all´intera persona? Non certo seguendo la scuola e la mentalità ospedaliera, ma quale strada allora? È possibile scegliere una visione “olistica” dei pazienti e non solo “organica”?
Mi rendo conto (frequentando il reparto di clinica medica) che la cultura medica “solo” internistica che un medico dovrebbe avere è infinita. Così forse per le altre specializzazioni.
Mi rendo conto che sarebbe impossibile per chiunque riuscire a sapere tutto su tutte le patologie del corpo umano tanto da permettere una visione “olistica”. Finirei dunque col sapere un poco di tutto ma http:\\/\\/psicolab.neta a sufficienza?
La medicina tradizionale cinese, ad esempio, che ha la pretesa di curare il corpo umano nel suo insieme e mai organo per organo è una scorciatoia approssimativa nella cura dell´uomo rispetto alla medicina occidentale o valida alternativa alla vincolante rigidità del nostro metodo scientifico?
Ciò di cui Lei, gentile e paziente dottoressa, si occupa sembra riassumere ciò di cui vorrei occuparmi in futuro, ecco perché mi sono permesso di disturbarLa.

La ringrazio per l´attenzione che so che mi ha dedicato, indipendentemente dalla Sua risposta, che comunque spero tanto di leggere presto.

Giovanni Lorenzoni

* * *

Gentile Lettore,
Le esprimo un vivo apprezzamento per la Sua lucida capacità di analisi, non disgiunta da un´altrettanto ferma esigenza di sintesi.
Entrando poi nel merito dei contenuti della Sua lettera, ritengo che per molto, troppo tempo, la nostra Medicina ha considerato mente e corpo come due entità distinte e ha privilegiato il corpo nelle sue attenzioni diagnostiche e terapeutiche, ricordandosi dell´esistenza della mente e della
sua influenza sullo stato di salute/malattia soprattutto in presenza di fenomeni non spiegabili in termini puramente organicistici, come in una sorta di ripiego.

È verosimile che con il procedere delle indagini sperimentali alcuni fenomeni che oggi sono considerati in termini mentalistici avranno una loro spiegazione organicistica, ma è altrettanto probabile che la mente continuerà a presentarsi a noi con un quid indefinito.

Concordo con Lei sul fatto che non è corretto considerare “inesistente” un fenomeno solo perché non è spiegabile attraverso la metodologia sperimentale. Individuare la linea di confine tra mente e corpo è impresa complessa e in quanto tale potenzialmente arbitraria, ma soprattutto non è operazione necessaria. Al contrario è proficuo sia in termini diagnostici che terapeutici, oltre che auspicabile, riconoscere dignità ad entrambe gli aspetti, psichico e organico, della nostra individualità e degli eventi che accadono in noi . La prospettiva specialistica rischia infatti ldi eccellere in analisi, ma idi manifestare poi il suo limite sul piano della sintesi.

L´approccio PNEI ci consente, in un approccio olistico, di ricucire la complessità, riconoscendo la comunicazione bidirezionale, ormai in larga misura evidenziata anche sperimentalmente, tra il sistema nervoso, il sistema endocrino e il sistema immunitario. Questi sistemi, che nel passato
e in una certa misura anche attualmente, sono stati separati sia all´interno dei programmi di studio che nella pratica medica ordinaria, sono in realtà interrelati da una circolarità, al punto che indifferentemente dal punto del circuito PNEI sul quale lo stimolo agisce, le ripercussioni
interessano anche gli altri sistemi. Facendo l´esempio dello stress, le sue manifestazioni si possono osservare a vari livelli che interessano parimenti la mente e il corpo, e può agire in senso stressante sia uno stimolo puramente mentale, come un´aspettativa o un ricordo, sia uno stimolo chimico, o fisico, o sociale. Stimoli così diversi sono accomunati dalla loro azione di sollecitazione a livello PNEI, con effetti sul corpo e sulla mente che sono comunque sempre filtrati attraverso la valutazione cognitiva che il soggetto opera sullo stimolo, operazione che è in stretta relazione
con la sua individualità.

Questo dato fa riferimento alla psiche o al soma? Il punto è proprio questo: sembrerebbe piuttosto il risultato di entrambi, la loro sintesi che si manifesta come coscienza, come mente, e che è l´espressione della nostra individualità psicobiologica, un prodotto non prevedibile a priori, ed in
costante modificazione dinamica, che scaturisce dall´interazione reciproca dei vari sistemi, delle influenze genetiche, dei sistemi di credenze, dell´ambiente fisico e sociale.

Il modello riduzionista meccanicista della nostra Medicina tradizionale è disease centred perché identifica la malattia con i sintomi e quindi la affronta con un trattamento sintomatico. Purtroppo i sintomi sono spesso una modalità di reazione portatrice di un senso che va intepretato: se questo
non avviene, quando termina l´effetto farmacologico il quadro patologico rischia di ripresentarsi nella stessa o in altre vesti. È allora necessaria e urgente la presenza di una Medicina che agisca sull´individualità, prendendo le mosse più che dal concetto impersonale di disease, malattia
intesa come processo biologico, da quello più personalizzato di illness, l´esperienza vissuta della malattia. In questa visione la malattia diventa altro rispetto a ciò che siamo soliti considerare: è qualcosa di più che la deviazione dalla norma di variabili biologiche, uno “slittamento qualitativo
e/o quantitativo” individuabile con apposite tecniche diagnostiche e trattabile in modo abbastanza standardizzato.

È sempre più avvertita una Medicina di ispirazione olistica, definita negli Stati Uniti comprehensive medicine, che muove dall´esigenza di un meta-paradigma, un modello che permetta l´adozione e l´integrazione di paradigmi diversi, tollerandone differenze e contraddizioni, alla luce delle continue acquisizioni delle Neuroscienze, un approccio che riscopra che mente e corpo non sono entità autonome, ma i due aspetti complementari dell´uomo, che tutta la Medicina è psicosomatica e somatopsichica.

La Medicina tradizionale cinese a cui Lei fa riferimento muove dal presupposto che non sia possibile fare prevenzione e terapia senza passare attraverso la comprensione del malato, e identifica la salute con l´equilibrio e la malattia con lo squilibrio. Ma equilibrio e squilibrio
sono concetti che hanno un senso soltanto in termini relazionali, quindi la malattia non riguarda mai il singolo organo, estratto dal contesto psicosomatico in cui è inserito, e lo squilibrio-malattia “discende da” e “si riflette su” qualcosa di più vasto che abbraccia aspetti mentali e organici.

È pur vero che negli anni ´80 l´OMS ha definito la salute come “condizione di benessere fisico, psichico, sociale” e questo ci permette di intravedere che forse la forbice si sta richiudendo e anche nei Paesi di tradizione occidentale l´uomo vene “ricomposto” nella sua unità di mente e corpo.

Mi congratulo con Lei perché pur non avendo aver perso di vista l´approccio analitico rigoroso nello studio della Medicina, prerequisito che credo indispensabile per una corretta visione sintetica, si dimostra in grado di saperlo trascendere.

Un saluto e un caro augurio perché il sogno relativo al Suo futuro professionale, di medico esponente di una Medicina a misura d´uomo più che di malattia, diventi al più presto realtà.

Dott.ssa Maria Vittoria Bossolasco
Picture of Giovanni Lorenzoni

Giovanni Lorenzoni

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