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Salute

La Nevrosi della Medicina

A chiunque abbia frequentazioni ospedaliere, per professione o in vece di malato, non può sfuggire un aspetto che ormai sembra far parte di una normale e consolidata organizzazione: la specializzazione della scienza medica. Specializzazione che a sua volta ha indotto la progressiva istituzione di “microspecializzazioni”. Così dalla costola di un reparto di medicina anni fa nascevano la gastroenterologia, l’epatologia, la nefrologia, l’ematologia e così via. Attualmente esistono specialisti che limitano la loro attività alla diagnosi e terapia di patologie specifiche. Potremmo, ad esempio, trovare in un reparto l’esperto esclusivo di tiroide o della malattia di Chron. Tutto ciò a sostentamento delle esigenze di studio e perfezionamento. Un iperspecialista dovrebbe quindi essere in grado di individuare e curare la patologia di competenza in modo più efficace ed efficiente di colui che specialista non è. Viene spontaneo il confronto con l’antico medico di famiglia che a fronte di una scarsità di mezzi tecnologici era in grado di cogliere patologie al loro stadio iniziale in virtù di una profonda conoscenza dei propri assistiti. Medico che entrava anche nell’ambito familiare, che sapeva empaticamente cogliere qualunque cambiamento di umore o atteggiamento nei propri assistiti. Medico che diventava il riferimento di intere famiglie. L’iperspecializzazione è frutto della dicotomia cartesiana che ha focalizzato il sapere medico quasi esclusivamente sul biologico-molecolare lasciando il resto ad altri settori (psicologia, filosofia ecc.). La realtà dell’uomo non è però dicotomica ma unitaria. La persona non è costituita da sole molecole, ma anche da emozioni, pensieri e spiritualità, intesa quest’ultima, quale domanda di senso. Se così non fosse perché a fronte di una diagnosi una persona si pone la domanda “perché proprio a me?” La risposta a tale domanda può determinare il decorso di una patologia e contribuire a migliorare la compliance terapeutica. D’altra parte, come affermato da Viktor Frankl, la persona che non si pone una domanda di significato va incontro a quella che viene definita dallo stesso Frankl nevrosi noogena che si estrinseca nella noia, nel senso di vuoto e nella ricerca forsennata del piacere su uno sfondo di passività. Nevrosi noogena che oggi appare impermeare gran parte della nostra società e che verosimilmente si identifica nella ricerca assoluta dello sballo.
La frustrazione di molti medici oggi la si ritrova nel dover sottostare a regole che originano da esigenze economiche che richiedono doti di managerialità. Per carità, evitare gli sprechi è doveroso, ma l’atto medico dovrebbe avere come primum movens la persona. La frustrazione attuale impone una nuova ricerca di significato dell’essere medico, significato già in origine ricercato da Ippocrate di Kos. Se non si compie questa operazione la medicina andrà incontro ad una nevrosi noogena e diventerà sempre più succube di un potere politico ed economico. Nevrosi che è palpabile nella mancanza empatica, nelle visite della durata prestabilita, nel non dare spazio alla parola dei pazienti, nella ricerca da parte degli stessi delle cosiddette medicine alternative. La nascita di alcune specializzazioni segna una marcia a ritroso. La nascita della psiconeuroendocrinoimmunologia ad esempio, riflette il tentativo di dare l’originaria unitarietà all’intervento medico. Non dobbiamo mai dimenticare che l’uomo tende sempre all’unitarietà. Lo possiamo scindere in vari pezzetti, studiarlo per settori ma l’unica vera risposta è dentro quell’unitarietà, inscindibile ed irripetibile.

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Luciano Berti

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