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Mente

Parigi di Cédric Klapisch

Dicono cha sia Parigi la protagonista di questo delizioso film francese, delicato come solo i film francesi sanno esserlo, tenero nei confronti di tutti i personaggi, quelli che emergono in figura e quelli marginali, le cui vicende sono solo vagamente accennate.

Parigi è invece lo sfondo, il teatro, lo spazio in cui le cose accadono, in cui le persone si sfiorano, si incontrano e, quando va bene, si amano. Protagonista del film è la vita stessa e forse la nostra incapacità di assaporarla se non quando sta per sfuggirci, quando si scopre che morte e vecchiaia non sono destini astratti, ma incombono su di noi, ineludibili.

E’ ciò che succede a Pierre, che scopre di essere gravemente malato e forse solo un trapianto lo potrà salvare, con un’ atroce probabilità di vita del cinquanta per cento. Non ha più niente da fare Pierre: non può ballare (e lui è un ballerino di professione), non può vivere. Gli resta solo da immaginare le vite degli altri osservati dalla finestra o fantasticare sull’affascinante e misteriosa ragazza della casa di fronte.

E’ ciò che succede a Roland Verneuil, stimatissimo professore di storia, che si sente invecchiare e cade in una inaspettata crisi depressiva. Splendido Fabrice Luchini in questo ruolo; splendida la sequenza dallo psicanalista!

Due poltroncine simmetriche, una di fronte all’altra alla giusta distanza terapeutica. Il professore inizia con uno sproloquio in cui svilisce il setting e la seduta, abitudini idiote, a suo dire, come è idiota sedersi di fronte ad una persona e raccontargli la propria vita. Ancora di più sdraiarsi sul divano, che si intravede alle loro spalle. Continua poi interpretando i pensieri dell’analista:

“Certo lei pensa che io sono una persona che si difende”.

Lo psicoterapeuta lo osserva, lo ascolta. Ripete, con discrezione, la formula a noi nota: se il paziente è arrivato fin lì, metà del lavoro è già fatto.

E lui ancora:

“Io sono una persona pratica, che crede solo ai fatti”.

“C’è un fatto recente che l’ha portata qui, oggi?”.

“Sì, è accaduto qualcosa, ma non vedo cosa possa c’entrare. Un mese fa è morto mio padre. E poi mi sono innamorato”.

A questo punto il professore piange. E la psicoterapia ha inizio.

Abbiamo già visto Luchini confrontarsi con la psicanalisi in Confidenze troppo intime nella parte del consulente involontario e pure estremamente efficace. Sappiamo che è stato lui a suggerire al regista Leconte come posizionare il setting, data la sua reale esperienza di psicoterapia.

Chissà se anche questa scena l’ha suggerita lui al regista di Parigi! Certo chi ben conosce l’analisi sa tutti i tranelli, le difese, i tentativi di fuga, così come ne riconosce il valore. Lo psicoterapeuta di Parigi ha intuito l’emergenza spirituale del professore e solo con la sua presenza attenta, senza giudicarlo, riesce a farlo piangere e a provocare un contatto finalmente autentico con se stesso, con le sue emozioni.

Altra scena che sembra un po’ la continuazione di Confidenze troppo intime è quella in cui Luchini si concede di ballare. Nel film di Leconte lo ha fatto per poco e noi ci siamo divertiti per il contrasto tra quel personaggio così rigido e la scompostezza della danza (è solo in casa, dopo che Anna ha dato segno di interessarsi a lui. E lui è felice, eccitato, sopra le righe).

Citazione di Leconte? E ancora di più: citazione di Leconte che cita se stesso nel film Il marito della parrucchiera? Lì uno strabiliante Jean Rochefort balla su un ritmo arabo facendo sorridere la moglie (Anna Galiena), ammaliando un bambino recalcitrante al taglio dei capelli, e soprattutto ammaliando il pubblico per la sua originalissima performance.

Insomma, Verneuil/Luchini è davvero il personaggio più riuscito. Condivide con quello del ballerino Pierre anche un forte rimpianto per il passato. Succede a chi si sente condannato a invecchiare, succede a chi si sente condannato a morire. Pierre guarda commuovendosi le foto dell’infanzia, il professore chiede al fratello di regalargli qualche immagine del passato, perché lui finora non ne ha conservate.

Simmetrica poi tra le due figure di uomini (uno nel fiore degli anni, l’altro non più) la voglia di ricomporre alcuni rapporti in sospeso, chiudere con tutto ciò che di inconcluso è rimasto nella vita, soprattutto nelle relazione familiari.

Pierre riesce ad avvicinarsi alla sorella Elise (l’affascinante Juliette Binoche, molto femminile nel suo rifiuto della femminilità): non si vedono da un po’, ma dopo la malattia lei si dedica a lui, trasferendosi con i figli a casa sua, per offrirgli un po’ di calore. Sono molto diversi Pierre ed Elise: lui ha vissuto finora sotto le luci dei riflettori; lei si è mortificata nei ruoli ingrati di madre e di assistente sociale. Piano piano sarà lei a lasciarsi finalmente andare, a valorizzare la lezione del fratello che non potrà più concedersi l’amore, la leggerezza, la fiducia nei confronti del domani.

Anche il professor Verneuil tenta di avvicinarsi al fratello, e inizialmente non viene capito, perché il suo comportamento è a dir poco bizzarro: inizia a corteggiare una sua studentessa (la stessa giovanissima ragazza che Pierre osserva dalla finestra) e le manda messaggi anonimi sul cellulare con i versi di Baudelaire. Chiede le foto dell’infanzia. Pretende all’improvviso complicità. Contatti più veri, proprio lui che ha sempre preso in giro il fratello, fragile, sensibile, troppo emotivo.

Insieme a Pierre e a Roland Verneuil (e ai loro fratelli) altre figure vivono la loro fragile vita a Parigi, osservate dalla finestra o viste comunque nella loro quotidianità: il fruttivendolo che corteggia Elise, la giovane rivenditrice di pane maghrebina, con cui Pierre scambia lunghi sguardi d’intesa, l’immigrato del Camerun con i suoi sogni di realizzazione.

Insieme a Pierre anche noi osserviamo tutte queste persone. “Anche noi vediamo il mondo attraverso quella grande finestra che è lo schermo del cinema…cogliamo attimi di vita qui e là, vite che sono spesso assai distanti dalle nostre, che noi non vivremo mai. Gli attori vivono per noi delle esistenze per procura”. (Gian Lorenzo Masedu,da Il Cinemante: http://www.ilcinemante.com/dettaglio.asp?id=2688)

Il mondo ordinario diventa straordinario quando lo si guarda più da vicino. Se Flaubert diceva che ogni vita merita un romanzo (e chi scrive è oltre modo affezionata a questa citazione!), perché ogni vita non deve essere meritevole anche di un film?

Grazie a Cédric Klapisch che ci ha offerto un affresco di esistenze parigine in cui ogni persona, con la sua realtà e con i suoi sogni, con i suoi affetti e con le sue solitudini, è degna di tutta la nostra attenzione.

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Margherita Fratantonio

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