Lezioni di volo di Francesca Archibugi sa raccontare in maniera leggera e sapiente un viaggio adolescenziale, un percorso verso la fondazione del Sé, una ricerca identitaria.
Al tema principale della narrazione, se ne intreccia un altro, quello della faticosissima separazione tra genitori e figli e della nostalgia che questo distacco si porta dietro.
Sappiamo benissimo che il processo individuativo può avviarsi solo se gli adolescenti escono dagli itinerari tracciati dai genitori (i nostri due protagonisti lo faranno) e che sia dato loro il permesso , la libertà di prendere appunto, lezioni di volo.
E ora brevemente, la storia. Apollonio e Marco sono due amici per la pelle (si sono soprannominati tra loro Pollo e Curry, al punto di perdere i loro veri nomi); hanno diciotto anni e sono stati bocciati a scuola; i genitori di fronte all’evento, non si sa quanto inaspettato, più che arrabbiati, o addolorati sembrano colti da una sorta di spaesamento e incoraggiano i loro figli (figli unici) ad intraprendere un viaggio addirittura in India. L’India non è una meta casuale, ma è suggerita dalle origini di Marco che, adottato da piccolo e cresciuto a Roma, non sa assolutamente http:\\/\\/psicolab.neta della sua terra, della lingua, degli usi e delle abitudini indiane.
In questa avventura nel lato opposto del mondo, si trovano presto immersi nell’altro da noi e il viaggio,che inizia superficialmente, diventa via via un percorso verso la consapevolezza. Apollonio incontrerà l’amore, il sesso, il mistero stesso della vita (sarà costretto suo malgrado ad assistere ad un parto). Incontrerà Chiara, una donna che è stata capace di dare senso alla sua vita ( lavorando come ginecologa in un’oasi del deserto), una donna che crede a quello che fa, anche se adesso le sue sicurezze sembra stiano scricchiolando.
Le lezioni di volo di Apollonio comprendono gli elementi fondanti di un possibile futuro e di una possibile, sana progettualità. Marco invece andrà alla ricerca della sua vera madre, ricerca verso la quale aveva dimostrato sempre una certa riluttanza. La sua più significativa lezione di volo è quella di ritrovare le radici e riappacificarsi con il passato, che, si sa, è una maniera per crescere, per dare solide basi alla nostra identità.
Apollonio e Marco appaiono simili ad uno sguardo frettoloso, ma c’è una profonda differenza tra i due. Apollonio è più portato all’inattività, diremmo quasi alla depressione e il suo corpo, la sua postura, la sua gestualità lo testimoniano. E più rassegnato a vivere un presente che sa di poco, sembra non voler neanche avviare una ricerca di senso, sembra non avere nessuna proiezione verso il domani. Marco è meno rinunciatario, più portato all’azione; inconcludente, è vero, ma perché mancano ancora la forza, la solidità, una base sicura dalla quale poter prendere una qualunque direzione. Comunque appare, rispetto all’amico, se non più consapevole, di certo meno inconsapevole.
All’inizio del film si vedono i due giovani impegnati in una sfida: sputare dal terrazzo e centrare i passanti. Sono ragazzi viziati, indolenti, privi di interessi, di progetti, di desideri, di amor proprio. Esibiscono una svogliatezza che suscita un misto di compassione, tenerezza, rabbia. Marco dirà che lui aspetta sempre qualcosa, “così non è che vivo, ammazzo il tempo (ammazzo il lunedì, il martedì, il mercoledì…e non arriva niente, nessuno). Sono rimasti decisamente indietro e non solo a scuola. Non riescono a strutturarsi, in un’adolescenza che sembra bloccata, irrigidita, un preoccupante modo di essere, più che una stagione di passaggio.
Gli altri personaggi, tutti, sono colti in un momento di transito esistenziale. Anche Chiara, così diversa da loro, eppure così sensibile alla loro fragilità, a quella di Apollonio, a dire il vero, perché con Marco ha subito un rapporto conflittuale. Si lascia sedurre dallo sguardo da adolescente spudorato, da adolescente a tempo pieno di Apollonio, lei che l’adolescenza non ha potuto permettersela e si è costruita una vita fatta tutta di sacrificio. Con Apollonio si concede una storia leggera, ed è come se incontrasse insieme a lui la parte adolescente di se stessa; rinfaccerà al marito di aver scelto una vita dove non ci si diverte mai. Come se intuisse che la scelta estrema del deserto indiano abbia qualcosa a che fare con alcune assenze del passato, che essere sempre seri e altruisti non rende felici, che bisogna anche pensare un po’ a se stessi. Strano, a insegnarglielo è proprio l’ingenuità disarmante di Apollonio.
E anche i quattro genitori dei ragazzi sono descritti nei loro passaggi; quelli dell’età che li accomuna, e fa sì che nonostante la loro assoluta diversità, condividano lo stesso smarrimento.
I più incisivi, nella narrazione e nella vita dei loro figli, sono il padre di Apollonio e la madre di Marco. Il primo –Flavio Bucci – è un antiquario ebreo severo, ombroso, rigido, sprezzante e svilente nei confronti del figlio (lo definisce un parassita, un tubo digerente!), per niente disposto a riconoscersi una qualche responsabilità nel disagio di Apollonio.
Il personaggio forse più riuscito è la madre adottiva di Marco (Angela Finocchiaro) una psicologa che lavora proprio con i genitori, e che esprime tutta la sua fragilità quando il figlio parte, a riprova del fatto che il sapere e le esperienze a http:\\/\\/psicolab.neta servono quando l’adolescenza del figlio esplode in casa propria. Lei, al contrario del padre di Apollonio, si assume tutta la responsabilità , troppa, in maniera eccessiva e colpevolizzante.
Questi due personaggi incarnano stili genitoriali opposti, ma simili per quanto riguarda il controllo sui figli: esageratamente brusco quello di lui, esageratamente materno, avvolgente, quello di lei. E’ proprio lei a mettere nello zaino del figlio, a sua insaputa, i libri di Catullo. Marco li butterà in pattumiera quando arriva in India. “Sono venuto per scappare da Catullo”, il che ci dice che questa partenza non è proprio così inconsapevole come può sembrare. Il gesto di Marco è un gesto simbolico di libertà dal controllo esercitato anche a distanza, distanza tanto temuta dai genitori, che non diminuirà l’affetto, anzi lo accrescerà.
Alla fine, vediamo ancora Pollo e Curry sputare dal terrazzo sui passanti. Perché questa scelta di continuità con i ragazzi di due anni prima? Forse sarebbe stato poco credibile vederli del tutto rinsaviti, all’università, dove sappiamo che si sono iscritti. Forse si vuol dimostrare che le trasformazioni radicali sono poco credibili, e quanto invece siano più apprezzabili i piccoli aggiustamenti, quelli che fanno crescere. In fondo, accettare la scuola, lo studio, l’impegno per trovare un posto nel mondo, fare una scelta consapevole in questa direzione è il segnale più significativo che ragazzi possano fare, quelli del film di Francesca Archibugi e quelli della nostra realtà.