La contemporaneità sembra ancora fortemente segnata dalla divaricazione nella concezione del mondo a seconda che ci si situi sul piano delle scienze naturali o biologiche, oppure su quello delle scienze umane; e diciamo: “ancora”, perché secondo alcuni questa spaccatura deriva già dalla concezione tardo scolastica, anche se per altri si sarebbe affermata nell’epoca moderna e poi esasperata con l’avvento del pensiero scientista e quindi a partire dall’ottocento in poi. Un pensiero più attento potrebbe invece trovare proprio nell’estremo del risultato scientifico l’aporia che apre alla dimensione antropologica, e mi spiego meglio. Le teorie evoluzioniste già nella seconda metà del ‘900 conoscono la svolta cognitivista; negli anni settanta infatti Konrad Lorenz, riprende quanto aveva già elaborato negli anni quaranta insieme al filosofo Eduard Baumgarten, una rilettura critica, se non proprio trascendentale, dell’apriorismo kantiano[1]: l´etologo affermava che la capacità umana e animale di relazionarsi concretamente ad altri enti manifesta sempre una capacità reale di conoscenza e una conoscibilità positiva degli enti reali. Il fatto che gli organismi riescano ad interagire con altri enti, in modo da preservare o modificare le condizioni della propria esistenza, manifesta, già di per sé, la capacità di cogliere alcune proprietà e potenzialità reali delle cose. Esistono cioè delle forme a priori della sensibilità e dunque della conoscenza le quali “risiedono” nel corpo organico; Lorenz in questo modo poneva le basi per un evoluzionismo cognitivista, che quindi riconosce inscritte nella stessa corporeità delle leggi che presiedono alla conoscenza organica, ammettendo sostanzialmente una forma se pur primordiale ed imperfetta di “legge naturale”. Lorenz definirà poi la storia del vivente[2] come “storia naturale della conoscenza”; la differenziazione in specie è cioè l’effetto di un processo cognitivo. Concludendo che l´intera storia organica è un processo di conoscenza, Lorenz ne deduceva che essa, proprio per questo, può essere compresa senza ricorrere ad alcun tipo di determinismo, né finalistico, né genetico, né ambientalistico. L´evoluzione è spiegabile soltanto come processo cognitivo, e non come effetto meccanico della selezione e delle mutazioni. Essa è un processo di conoscenza che trova i suoi elementi direzionali non solo nella selezione reciproca tra gli organismi e nella variabilità genetica, ma anche in quell´attività di esplorazione e conoscenza del proprio ambiente interno ed esterno, in quella ricerca e costruzione di determinate condizioni interne e esterne, che tutti gli organismi svolgono attraverso la sensibilità, la reattività fisiologica e il comportamento.Rupert Riedl introducendo il concetto di “selezione interna”, per cui le variazioni genetiche sarebbero influenzate ancora più che da agenti esterni all’organismo, “dalle condizioni sistemiche interne all’organismo stesso”, apre ulteriormente la strada alle possibilità di un intervento della libertà antropologica sul dato biologico e perciò scientifico-naturalista[3]. La relazione tra l’ambiente interno e il nuovo organismo in formazione rappresenta, perciò, il primo momento di confronto selettivo con un ambiente che ogni essere vivente si trova ad affrontare. Dunque a selezionare gli organismi, prima ancora dell´ambiente esterno, è l´ambiente al cui interno si compie la loro morfogenesi. Riedl si schierava, assumendo questa ipotesi, sia contro il dogma ambientalistico, difeso dal neolamarckismo e dai comportamentisti, che descrive l´organismo come puro prodotto di fattori selettivi esterni, sia contro <
Questa separazione di carattere metodologico non pregiudica certo, proprio perché nessuna delle due discipline ingloba l’altra, l’espressione dell’etica e dell’esercizio di una libertà antropologica da parte del pensiero scientifico, e d’altro canto fornisce alla filosofia elementi utili a cercare i presupposti di tale libertà. Attualmente sembra piuttosto che le due metodologie d’indagine si richiamino costantemente a vicenda, senza per questo confondersi reciprocamente. Una cosa sembra certa, la scienza non può confutare l’esistenza della libertà (ed eventualmente neppure l’esistenza di una libertà creatrice), mentre il pensiero non può prescindere dalla propria biologia[7].
[1] K. Lorenz, La dottrina kantiana dell’a-priori alla luce della biologia contemporanea, 1941.
[2] K. Lorenz, Evoluzione e modificazione del comportamento, tr. it. Torino 1971; K. Lorenz, L´altra faccia dello specchio, tr. it. Milano 1974; K. Lorenz, Natura e destino, tr. it. Milano 1985.
[3] R. Riedl, Die Ordnung des Lebendigen, Hamburg-Berlin 1975.
[4] F. Nietzsche, Genealogia della morale, tr. it. Milano 1983.
[5] E. Oeser, Psychozoikum. Evolution und Mechanismus der menschlichen Ekenntnisfähigkeit, Hamburg-Berlin 1987.
[6] Robert Spaemann, docente emerito di Filosofia presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera, in occasione dell´Incontro di Norcia sul tema “Religione, scienza e la prova della ragione” organizzato dalla Fondazione Magna Carta nei giorni 13 e 14 ottobre 2007.
[7] Edelman G. M – Tononi G., Un universo di coscienza, Einaudi, Torino 2000.