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Moda

L’immagine e il Ruolo della Donna nelle Copertine dei Periodici Femminili

L’immagine femminile rappresentata nei mezzi di comunicazione è spesso corredata di stereotipi culturali tipici della società patriarcale, e legati ad una visione maschile del mondo. Nel concetto di visione di questa cultura, tipicamente occidentale, si riflettono interpretazioni socialmente stabilite e codificate della differenza sessuale.
Il piacere generato dal vedere si collega al concetto freudiano di scopofilia, che indica il piacere che deriva dal guardare un’altra persona, rendendola oggetto di desiderio sessuale. Nella cultura della nostra società questo piacere della vista è un privilegio dell’uomo, mentre la donna, relegata ad un ruolo passivo, è l’oggetto della visione. I media utilizzano questo modello nella costruzione dei rapporti e delle identità, e contribuiscono a rafforzare ulteriormente la spettacolarità e l’oggettivazione del genere femminile. Le donne rappresentano un decoro piacevole alla vista oppure un adescamento, sfruttato, soprattutto in pubblicità, a vantaggio di prodotti o marchi.
Il modo in cui le donne vengono rappresentate non è neutro, ma traduce una visione determinata da ruoli sociali convenzionali; da questo punto di vista, il significato che emerge dalla maniera di figurazione degli elementi plastici, cioè l’insieme di disposizioni spaziali, andamenti lineari e scelte cromatiche, è un discorso trasportato in immagini.
Le riviste che trattano argomenti come la moda, la bellezza, il lifestyle e le tendenze che troviamo in edicola, e che sono indirizzate ad un pubblico di donne, mostrano sempre nell’immagine di copertina una figura femminile: la modella è destinata allo sguardo femminile, non a quello maschile. L’immagine instaura quindi con le lettrici un rapporto di uguaglianza sessuale: esse si trovano davanti agli occhi una rappresentazione in cui possono identificarsi come donne, e diventano loro stesse spettatrici della visione.
La posizione di spettatrici offre alle donne due possibilità. In primo luogo, lo sguardo femminile si caratterizza per la vicinanza psicologica e per una sovraidentificazione con se stesse in quanto immagine e in quanto oggetto di desiderio; iscritte in una precisa identità di genere, le donne si adeguano ai criteri di una femminilità imposta, e adottano una posizione masochista. La donna, attraverso l’immagine della modella, si vede essere vista dallo sguardo maschile.
In secondo luogo, il ruolo di spettatrici di una visione può anche portare le donne ad adottare una posizione narcisistica, dovuta ad un riconoscimento ideale di se stesse. Secondo Lacan (1949), il momento in cui un bambino vede la propria immagine riflessa in uno specchio coincide con l’inizio del riconoscimento della propria individualità; quello che vede è comunque un’immagine, e quindi una rappresentazione del sé, che non coincide con la persona reale riflessa. L’immagine restituita dallo specchio è più perfetta e completa dell’io che vi si guarda, e in quanto tale il vedere se stessi e il riconoscersi in un’immagine è un misconoscimento, e non un riconoscimento in cui il soggetto coincide pienamente con se stesso. Colui che si specchia riconosce ciò che vede come un riflesso corporeo di sé, e lo introietta per utilizzarlo in futuro come modello identificativo. Da qui nasce la posizione narcisistica che le donne possono adottare al momento della visione, e che le porta a divenire oggetto del loro stesso desiderio.
Il soggetto che compare nelle copertine è per il pubblico femminile una visione che provoca effetti apparentemente contrastanti: da un lato, le spettatrici avvertono la separazione tra la loro identità e l’immagine della modella; dall’altro, nel momento della visione si attiva un processo di riconoscimento con la figura femminile, che, basandosi su uno scarto ed essendo una rappresentazione, è comunque un misconoscimento.
Il modello proposto dalle ragazze di copertina corrisponde ad un ideale di femminilità che si adegua e oltrepassa elementi sociali e culturali: le modelle sono sempre bellissime, curate, eleganti, giovani, toniche, impeccabili, e rappresentano un ideale iperbolico degli attributi della femminilità. In questo senso si avvicinano al concetto di mascherata, elaborato da Joan Riviere e ripreso da Cristina Demaria (2001), che indica una esasperazione degli attributi della femminilità: si crea appunto una maschera costituita da elementi sociali e culturali stereotipati che duplicano la rappresentazione, sovraccaricandola. La spettatrice della copertina si trova davanti alla rappresentazione di una donna reale che vive in una situazione immaginaria: la figura femminile diventa un modello idealizzato al confine tra il mondo reale e il mondo possibile delineato dalla rivista.
Indipendentemente da ciò che rappresentano, comunque, queste immagine femminili sono innanzitutto, per se stesse, delle presenze: ci mettono cioè in contatto non con un discorso su un referente presupposto, ma con la presenza dell’immagine in quanto tale, in quanto realtà plastica. Agli “spettatori dallo sguardo ingenuo” (Landowski, 1990) appare prima di tutto un gioco di forme e di colori, come se si trattasse di un album di foto da sfogliare, inesauribile e continuamente nuovo. L’immagine del mondo sensibile viene ridotta dalla fotografia a due sole dimensioni, e fissata tramite una certa disposizione di forme, superfici, luci, ombre, colori. La foto, nella sua immediatezza, riesce a rendere figurativo qualcosa di inafferrabile e di istantaneo.
La comunicazione visiva che si attua in questo rapporto implica che i soggetti coinvolti siano due, uno che vede, l’altro che viene visto; in questo caso colui che vede, il pubblico, è un soggetto i cui componenti sono persone reali, ma la cui sostanza collettiva è una somma di identità singolari e uniche che può fondarsi soltanto sul riconoscimento di un certa quantità di idee, interessi e gusti comuni; colui che viene visto, la modella, è un soggetto singolo e precisamente identificabile, ma che partecipa alla comunicazione solo proiettando l’immagine di se stessa su un foglio di carta.
In quanto discorso trasportato in immagini, i dispositivi che organizzano i rapporti di visibilità possono essere considerati traduzioni sul piano figurativo di dispositivi del livello narrativo, relativi alla comunicazione di un sapere tra i soggetti: la visibilità si collega quindi alla dimensione cognitiva. Nella definizione di Greimas e Courtés (1979) l’osservatore è un soggetto cognitivo incaricato di esercitare funzioni interpretative: una funzione percettiva, legata al punto di vista da cui riceve la visione; una funzione valutativa, che implica un investimento di valore e un orientamento di giudizio; una funzione propriamente cognitiva, che consiste in un investimento della sfera del sapere.
Le figure femminili delle copertine possiedono una determinata realtà visuale e un’organizzazione estetica propria; esse si impongono per un certo modo di presenza specifico di ognuna di esse, determinato dalle caratteristiche plastiche. Ma queste stesse immagini, considerate insieme come un gruppo omogeneo, utilizzano uno stesso modo di rappresentazione: questo fa sì che gli spettatori siano sottoposti ad una modalità di ricezione predeterminata.
Il soggetto che è rappresentato nella foto di copertina non coincide con l’emittente della comunicazione: si distinguono nettamente due soggetti, uno identificato dal nome della rivista, l’altro dalla modella. Il nome della testata identifica la rivista come produttore dell’istanza enunciativa, e dietro ad esso è presente una redazione di persone che ha contribuito alla creazione della copertina e alla scelta dell’immagine rappresentata. La rivista viene quindi identificata dal suo nome scritto, che rappresenta l’enunciatore dello spazio testuale, mentre la modella è rappresentata dall’immagine di sé. I rapporti in cui si trovano tra loro questi due soggetti dipendono dalle strategie di enunciazione adottate dalle testate. Nel momento della visione i due soggetti vengono percepiti insieme, ma il loro ruolo nella comunicazione dipende da elementi plastici e strutturali. La rivista è un prodotto commerciale che si presenta all’interno del mondo testuale come narratore empirico, simulacro di un autore reale; la modella costituisce una presenza, una realtà fisica: ha un corpo, ma soprattutto ha un volto con cui può gestire rapporti e ruoli con l’interlocutore.
L’istanza enunciativa si svolge, quindi, tra un soggetto collettivo formato da singole individualità e un soggetto enunciante che si installa come simulacro nel discorso. Questo soggetto dell’enunciazione proietta al di fuori attori diversi da sé, tempi diversi dal momento dell’enunciazione, luoghi diversi dallo spazio dell’enunciazione. Il testo si costituisce quindi come un’operazione di débrayage, che non ci riporta all’istanza enunciativa reale, ma solo ad un simulacro di essa.
L’immagine della modella fa parte dell’enunciazione debrayata di tutta la copertina; essa però, pur essendo una rappresentazione femminile, con le conseguenze accennate prima, non è soltanto l’elemento decorativo della pagina, ma costituisce una presenza reale. Tramite meccanismi della rappresentazione, la modella passa dall’universo visibile a quello sensibile, dal foglio di carta alla percezione del suo corpo: diventa il simulacro di una presenza. A livello narrativo non è un oggetto inerme del discorso, ed il suo ruolo è funzionale alla costruzione del significato e alla messa in scena dei valori.
Su quasi tutte le copertine la modella guarda in camera, e il suo sguardo è rivolto allo spettatore; Il rapporto faccia a faccia che si instaura tra la modella e la potenziale lettrice implica una ridefinizione dei ruoli: lo sguardo diretto fa vivere l’immagine femminile donandole corpo e anima, l’oggetto della visione non è statico, ma compie un’azione, seppure immobile e fissata in un momento dalla macchina fotografica. La modella ha in tal modo la funzione di un soggetto del fare, e la sua azione è quella di interpellare la spettatrice, chiamandola direttamente in causa nel discorso. Lo sguardo porta chi lo incrocia a seguire la direzione degli occhi, e da questo scambio inizia una comunicazione intersoggettiva.
Lo sguardo della modella provoca un embrayage interno al discorso, perché ridefinisce i termini dell’enunciazione: l’io, il soggetto enunciante, non è più la rivista ma la modella stessa, presenza reale e visibile; il qui e ora corrispondono al tempo e al luogo in cui gli occhi della spettatrice si posano sulla copertina.
Una volta che lo sguardo si posa sul volto della modella, e viene catturato dagli occhi che contraccambiano la veduta, l’attenzione di chi guarda si concentra su questa parte della pagina. A livello narrativo, si hanno due importanti conseguenze: il soggetto all’interno dell’istanza enunciativa si trasforma (non più un oggetto di visione, ma un soggetto attivo); il piano dell’enunciazione cambia, costringendo la spettatrice a modificare il suo sguardo in funzione di quello che, a sua volta, è rivolto verso di lei (si passa da una situazione di débrayage ad un situazione di embrayage). L’immagine femminile incarna un soggetto del fare; fissato sulla pagina, lo sguardo della modella è rivolto verso la macchina fotografica. Questo volto cerca il suo pubblico e, in un certo modo, lo crea: sapendo che è lì per essere guardata, che fissa perché i suoi occhi incrocino quelli di qualcun altro, la modella evoca nel discorso un simulacro della spettatrice. L’immagine crea un’aspettativa. Le donne guardano la modella e introiettano dentro di sé il meccanismo degli sguardi, adattandolo alla propria identità: si pensano al posto della ragazza di copertina e si pensano guardate non solo dalle altre donne, ma dal pubblico maschile. Lo sguardo della modella guida la potenziale lettrice a essere e a sentirsi in un determinato modo.

Picture of Irene Sara Del Ministro

Irene Sara Del Ministro

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