Abstract
L’identità personale può essere considerata come l’organizzazione dell’esperienza umana, una sorta di classifica dei bisogni, degli obiettivi da raggiungere, della modalità comportamentale. Un ordinamento conoscitivo del mondo e la personalizzazione della sua classificazione comprese le scelte degli obiettivi e della modalità di azione. L’uomo nasce e si identifica attraverso la separazione. Il neonato prende coscienza di sé quando si distingue dalla madre; l’uomo prende coscienza di sé in quanto diverso dalla donna … per poi tornare a farne parte attraverso un senso di appartenenza.
Simbiosi, distinzione dell’altro da sé, distaccamento, creazione dell’identità e scoperta del senso di appartenenza sono tutti argomenti comuni e altrettanto personali sia dell’uomo che dell’organizzazione, per questo chi conduce deve stare attento a non usare un controllo ossessivo compulsivo.
L’identità personale cresce e cambia durante l’intero percorso di vita, può essere considerata come l’organizzazione dell’esperienza umana, una sorta di classifica dei bisogni, degli obiettivi da raggiungere, della modalità comportamentale. Un ordinamento conoscitivo del mondo e la personalizzazione della sua classificazione comprese le scelte degli obiettivi e della modalità di azione.
In tutto questo caos, però, la formazione dell’identità personale per verificarsi ha bisogno del riconoscimento dell’altro come diverso da sé, altrimenti si crea un sentimento di unicità simbiotica con il tutto. Di questa dualità si parla nella teoria degli opposti, bene e male sono due facce della stessa medaglia e non esiste l’uno senza l’altro, conosco il male perché lo distinguo dal bene e viceversa. Ne parla la bibbia; è stato creato Adamo che ha avuto bisogno della creazione di Eva per prendere coscienza di sé (uomini concedetemi questo pensiero senza troppo inveire!). L’essere umano cosciente, dunque, nasce e si identifica attraverso la separazione. Il neonato prende coscienza di sé quando comincia a distinguersi dalla madre; un gruppo etnico prende coscienza di sé perché si distingue da un altro gruppo etnico; un gruppo religioso prende coscienza di sé perché si distingue da un altro gruppo religioso; l’uomo prende coscienza di sé in quanto diverso dalla donna … per poi tornare a farne parte attraverso un senso di appartenenza.
L’uomo che ha bisogno di distaccarsi dal tutto per affermarsi, lo sappiamo è un essere sociale, non appena si afferma singolarmente torna a cercare un altro diverso ma simile da sé per unirsi e sentirsi uguale, per condividere: unico ma non solo. A questo proposito rubo un’idea al grande e ineguagliabile Paolo Quattrini, uno dei miei maestri di gestalt counseling all’Istituto Gestalt Firenze di Roma, il quale con fare ironico ci proponeva l’idea di un universo unico e infinito e … composto da un’infinità di multiversi unici e infiniti che ne formano uno, ancora una volta direi unico: “se era facile noi che si studiava a fare?”
Nelle organizzazione avviene esattamente lo stesso processo. L’azienda nasce in un stadio di simbiosi con il suo creatore e ideatore, il tempo di formarsi un’esperienza personale e l’azienda prende una vita indipendente; dall’iniziale stato di simbiosi impara a distinguere il suo ideatore da sé e comincia ad avere delle necessità proprie, si prefigge obiettivi e sceglie la modalità di azione e interazione verso e con il mondo circostante. Prende coscienza di se stessa e di ciò che la circonda. E’ un passaggio questo quasi immediato per l’azienda ma, spesso, ignorato dal suo ideatore e creatore. La stessa difficoltà che ha un genitore ad accorgersi e ad accettare il fatto che un figlio desideri cose diverse dalle sue, parli un linguaggio diverso dal suo … e speriamo glielo lasci usare! Così l’uomo, che ha bisogno di sentirsi il più simile possibile al suo Dio, si aspetta lo stesso desiderio dalla sua creatura e con un senso di appartenenza così grande da sfociare quasi in una mania di possesso ci risponde “l’azienda è MIA, l’ho creata IO, la conosco bene, IO so di cosa ha bisogno la MIA azienda. Lei si preoccupi “solo” di risolvere il problema, al resto ci penso IO!!”.
Questo egocentrismo soffoca l’dentità dell’organizzazione la quale, in ogni modo, tenta di sfuggire da questa presa e si sa, più una cosa ci sfugge più la stringiamo a noi per paura che voli via. Se vola torna il senso di frustrazione e di solitudine. A questo punto, però, proprio quando c’è bisogno di capire che l’organizzazione ha un sua personalità che va curata o rischia il collasso, la persona tira fuori tutte le sue forze per mantenere il suo personale equilibrio interno che, di solito, non coincide con quello dell’organizzazione.
A questo equilibrio ci si aggrappa attraverso un coordinamento di tipo controllore compulsivo: “http:\\/\\/psicolab.neta deve uscire da questa sede senza che IO l’abbia visto prima, se non ci fossi IO a controllare tutto non funzionerebbe http:\\/\\/psicolab.neta, vorrei che tu fossi in grado di lavorare autonomamente ma poi quando fai qualcosa che non ti ho detto IO per filo e per segno tu la fai diversamente da come la farei IO e non va bene” l’organizzazione piano piano crolla, il personale è scontento, le risorse materiali scarseggiano, la tecnologia non è funzionale … “è tutta colpa di quelli che non fanno come dico IO!” Il controllo per alcune persone è sinonimo di stabilità, una sensazione al giorno d’oggi che vale più dell’oro, più rara dei diamanti, più preziosa del petrolio.
Per mettere in piedi un’impresa che guarda al futuro immaginando il successo e la stabilità, in un momento storico in cui l’unica costante è l’instabilità, è molto importante creare una sinergia tra i vari fattori organizzativi, in particolare formare un gruppo lavoro affiatato, persone che partecipano all’attività lavorativa in modo organizzato e collaborativo, un rapporto di fiducia. Il controllo non avviene attraverso l’ossessiva pretesa di essere l’unico, irresistibile, affascinante sole dell’organizzazione ma avviene attraverso degli appositi report compilativi e di confronto dialogativi, chiarezza nella distribuzione dei compiti, nelle competenze e metodicità nelle riunioni informative e di condivisione, feedback e relazioni mirate.
Un team di lavoro funzionale è composto da persone competenti sia tecnicamente che socialmente ovvero, in grado di stabilire e mantenere delle relazioni interpersonali funzionali. In questa società , dove la velocità e la tecnologia e i cambiamenti sono pane quotidiano, non c’è più posto per i lavoratori solitari; non è più possibile raggiungere un obiettivo da soli. L’egocentrismo è fuori moda. La presenza di un gruppo lavoro efficace è fondamentale e per questo la capacità di gestire la relazione umana, soprattutto per chi coordina e guida, è fondamentale per creare la squadra di lavoro.
Il gruppo lavoro è il collante che rende l’organizzazione funzionale, l’anima dell’azienda che la rende diversa da tutte le altre. La buona sinergia all’interno del gruppo lavoro e con gli altri fattori organizzativi crea soddisfazione personale in ciascuna persona e quindi nell’intera azienda. Un sentimento di lealtà e appartenenza all’azienda, che la rende solida agli occhi esterni, e la passione nel proprio lavoro sfociano in un clima aziendale positivo di entusiasmo.
Quando si parla di formazione per la gestione emotiva e della relazione perché, ci si rivolge in primis alla classe manageriale e dirigente, perché se non c’è questa capacità da parte di chi coordina e prende le decisioni, è impossibile che un clima tanto positivo si riscontri nei gruppi operativi. Anche laddove inizialmente una persona è propositiva, empatica con il gruppo, collaborativa ed entusiasta, con il tempo diventa assuefatta al clima aziendale e se questo non è positivo, e se le speranze e i desideri non vengono colti, e se non c’è possibilità di sognare e di credere nel futuro, presto si tenderà a sopravvivere stimolati solo dallo stipendio di fine mese … a volte!
Una persona produttiva che lavora bene ed è soddisfatta di se stessa e dei risultati che raggiunge crea un’atmosfera soddisfacente e positiva che diventa “esantematica” ovvero è un sentimento che si contagia come la febbre. Per questo è molto importante saper gestire le emozioni e le relazioni umane. Purtroppo ancora oggi, molte persone, hanno la convinzione che saper gestire le emozioni e le relazioni umane significhi “sapersi controllare” nel senso di non far trapelare alcuno stato emotivo se non qualcosa di buono (altrimenti detto buonismo ad ogni costo). Il controllo ossessivo è uno dei meccanismi più distruttivi di cui si può infettare un’organizzazione e una persona.