Cosa può spingere il consumatore a decidere di acquistare un prodotto piuttosto che un altro nella attuale congiuntura storica, segnata da mercati maturi, saturi, affollati da prodotti praticamente identici?
Non possiamo comprendere questi meccanismi se ci riferiamo solo a percorsi razionali ed a logiche di utilità. La componente puramente razionale risulta in genere di scarso peso già nei primi livelli di approccio al prodotto, cioè nelle fasi di percezione delle loro componenti tecniche, organolettiche, prestazionali. E riveste, in genere, un ruolo ancora più modesto nelle fasi critiche della vera e propria scelta di acquisto. Le componenti di quel percorso di percezione, interesse, desiderio, scelta sono di norma molto complesse.
E’ nato alla fine degli anni Novanta un filone del marketing detto esperenziale, che si affianca al marketing tradizionale e che prende in considerazione una gamma di aspetti apparentemente meno legati alla dimensione della razionalità.
Nella visione più convenzionale del marketing, infatti, la ricerca sul comportamento di acquisto del consumatore, poneva al centro dell’attenzione il cosiddetto principio addizionale, in base al quale la somma degli attributi di un prodotto può spiegare l’esito positivo del processo di scelta.
La prospettiva esperenziale, invece, considera, oltre alle mere caratteristiche del prodotto, le sensazioni, le immagini, i sentimenti, il piacere e le altre componenti simboliche ed edonistiche che, insieme, formano un’esperienza e che tendono a diventare reciprocamente evocative.
Quindi, sebbene la soddisfazione scaturita dalla valutazione oggettiva degli attributi del prodotto costituisca un elemento chiave dell’esperienza, il flusso di associazioni che si produce durante l’atto di acquisto rappresenta un elemento altrettanto importante. Le conseguenze delle scelte del consumatore sono analizzate non nei termini di utilità del prodotto, ma sulla base del piacere provato dal consumatore stesso.
Per fare un esempio, la scelta di un prodotto, invece di essere dettata da logiche di utilità che soddisfano il rapporto costo-beneficio, può essere determinata da un’emozione, da uno stato d’animo, da una particolare sensazione che si è provato o attraverso il prodotto stesso, o attraverso l’esperienza di acquisto.
In questo tipo di approccio, definito sensoriale, i cinque sensi, attraverso le sensazioni captate nell’ambiente o evocate dal prodotto stesso, possono agire ad un livello profondo del nostro stato d’animo, che colpisce in modo diretto le nostre emozioni.
Negli ultimi decenni si è assistito ad un mutamento delle strategie di marketing, non più focalizzate sul prodotto, ma sullo stile di vita del consumatore. I consumatori, infatti, non fanno più scelte basate solo sul valore del prodotto, ma valutano se il prodotto stesso sia adatto al proprio stile di vita e se rappresenti un’esperienza desiderabile.
La strategia del marketing esperenziale si spinge ancora più avanti: per indurre il cliente all’acquisto, è necessario utilizzare una comunicazione fatta di stimoli.
Infatti, attraverso vista, udito, olfatto, gusto e tatto, abbiamo l’opportunità di percepire, in un modo completamente diverso, il prodotto che abbiamo davanti, riuscendo ad evocare, nel nostro immaginario e magari a rivivere, anche solo per un attimo, sensazioni, ricordi, esperienze passate, che contribuiranno in modo determinante alla scelta di quel prodotto che ha stimolato i nostri sensi.
L’olfatto
Tra tutti e cinque i sensi l’olfatto è uno tra i meno utilizzati nel marketing, nonostante le forti potenzialità. Agisce in un modo che si può definire quasi magico, colpisce direttamente nell’animo, ha qualcosa di primitivo ed emozionale che la razionalità non può domare e rimanda in un istante a situazioni già vissute e a sensazioni già provate, è un qualcosa di sottile che ci disgusta o ci fa innamorare, si insinua silenziosamente nelle nostre preferenze e diventa la pedina essenziale nel giudizio su un ambiente, un indumento, su una portata al tavolo di un ristorante, su una persona.
Un messaggio odoroso può causare una reazione istantanea di piacere, disgusto, eccitazione, senza che il nostro cervello sia cosciente di ciò. E’ per questo motivo che un odore è sempre carico di emotività.
La forza dell’olfatto è la memoria olfattiva, capace di trasportarci in un passato a volte molto lontano, richiamando memorie caratterizzate da una forte connotazione emotiva. La memoria olfattiva, infatti, ha un potere tale che i primi ricordi olfattivi, che si rifanno all’infanzia, sono i più forti nella loro capacità di provocare emozioni piacevoli e anche più facili da riattivare. Alla base della percezione degli odori vi è l’apprendimento associativo: gli odori diventano ricchi di significati per le persone, attraverso le esperienze e le associazioni con altri eventi, cose, persone; quindi l’accettazione o l’avversione verso un odore è legata anche ad eventi specifici collegati ad esso. E’ questa la caratteristica che oggi molti esperti di marketing prendono in considerazione, consci del fatto che legare il prodotto o l’evento che si intende promuovere ad odori dal forte significato emotivo, può sicuramente risultare una mossa strategica.
La domanda è allora legittima: perché non impiegare scaltramente gli odori nel marketing per convincere il cliente a comprare un prodotto facendone sentire la bontà attraverso il naso?
E’ noto a tutti il potere delle immagini sui nostri sensi, ma non tutti conoscono il potere persuasivo dell’odore. Eppure l’olfatto riveste sempre più importanza: la lenta e faticosa ascesa dell’odorato a livello degli altri sensi è testimoniata, oltre che dalla storia, anche dalla filosofia. Il Sensismo premia l’olfatto vedendolo come il principale ingrediente della felicità poiché capace di provocare gioie e sentimenti.
Sell with smell è la nuova filosofia nata negli USA che vede l’odorato il protagonista nel campo delle vendite; è l’ultima delle strategie sensoriali utilizzate dalle grandi imprese commerciali al fine di attirare la clientela e, dopo un periodo di monopolio del senso della vista e dell’udito, oggi è il naso ad interessare gli studi degli ideatori del marketing.
Una cosa è certa, l’olfatto lavora su un canale meno affollato, quindi più recettivo e maggiormente vicino all’istinto.
La potenza dell’olfatto
Gli odori sono dei potenti media grazie alla loro capacità di imprimersi a lungo nella memoria. La loro elaborazione perviene alla parte emozionale del cervello, ed essi vengono quindi registrati sotto forma di emozioni, strettamente legate alla situazioni in cui sono stati percepiti per la prima volta.
E’ noto, come afferma De Martino, che vista ed udito producono effetti più limitati sulla motivazione e l’emozione rispetto all’olfatto e si basano su un diverso sistema di analisi degli stimoli: le percezioni visiva e uditiva producono risposte allocentriche, cioè centrate sull’oggetto, a differenza della percezione olfattiva caratterizzata da risposte autocentriche, cioè centrate sul soggetto. Nell’olfatto la percezione è caratterizzata dal modo in cui l’oggetto viene sentito da colui che lo percepisce. Confrontata alla memoria visiva, quella olfattiva interessa strutture cerebrali diverse e si pensa che le regioni del cervello legate al sistema olfattivo e alla memoria siano le stesse inglobate nei processi emozionali. L’informazione olfattiva può essere trattata più rapidamente e con minore elaborazione dell’informazione visiva ed auditiva e la memoria degli odori può durare più a lungo, grazie ad una maggiore quantità di connessioni a parti diverse del cervello, che rendono possibili più associazioni.
Secondo gli studiosi, la percezione olfattiva è basata su principi organizzativi differenti rispetto alla modalità visiva. E’ provato, infatti, che la percezione olfattiva sia legata all’emisfero destro, separato funzionalmente dalle aree del linguaggio dell’emisfero sinistro. Gli esperti di marketing sono convinti che da questa “unicità” scaturisca la vera forza della percezione olfattiva: se è vero che l’olfatto ha un legame oltremodo debole con le parole poiché legato all’emisfero destro del cervello, è anche vero che è proprio questa l’area più direttamente legata alle emozioni, una peculiarità sicuramente da considerare e da sfruttare nella comunicazione.
Buoni o cattivi che siano, gli odori rimandano a delle emozioni più che a delle conoscenze; Diane Ackerman afferma che gli odori sono i nostri congiunti più cari, ma non possiamo ricordarne il nome. Spesso i soggetti presentano una forte familiarità per gli odori, senza esserne capaci di richiamarne il nome; hanno difficoltà ad accedere agli aspetti strutturali del suo nome (numero di sillabe, lettere), ma sono capaci di fornire informazioni categoriche o immaginative: odori simili, categoria generale dell’odore, oggetto o luogo di origine. Se qualcuno ci chiedesse di annusare il contenuto di una bottiglia si verificherebbe quello che i linguisti definiscono come “concetto sfuocato” ovvero saremmo sicuri della notorietà dell’odore, ma non saremmo in grado di nominarlo. E’ questo il fenomeno che Lawless e Engen definiscono “della punta del naso” (tip of the nose state) poiché ci si trova in uno stato simile a quello della “punta della lingua”. In quest’ultimo caso una persona può ricordare una lettera o due, il numero delle sillabe o forse l’accento tonico della parola, ma non la parola stessa. Il fenomeno della punta del naso è dovuto al fatto che i soggetti tendono, per gli odori, ad utilizzare delle etichette povere, idiosincratiche e basate su esperienze personali. Ciò porta gli individui, nell’associazione parola-odore, a produrre risposte onomatopeiche e fortemente emozionali “ ah, sì, è piacevole, sembra l’odore dello zucchero filato che si compra durante le fiere paesane…”.
Da numerosi studi sull’olfatto emerge che la sensazione che induce al gusto e al disgusto non è semplicemente meccanica o innata, ma dipende anche da altri fattori legati all’esperienza, alla familiarità, alla psicologia e alla cultura. Nella sensibilità agli odori sgradevoli influisce moltissimo la componente sessuale (le donne sembrano essere più sensibili dell’uomo) e l’età (i meno sensibili risultano essere i più giovani, quelli invece più preoccupati degli odori ritenuti sgradevoli sono i soggetti fra i 25 ed i 35 anni). Le preferenze olfattive si acquistano in uno stadio relativamente tardivo dello sviluppo: nel corso di interessanti ricerche si è osservata nei bambini una sorprendente tolleranza agli odori che per gli adulti sono considerati molto sgradevoli. Ad influire nel giudizio relativo ad un odore entrano in gioco diversi aspetti:
L’esperienza
Un odore può assumere valenza positiva o negativa in seguito alla situazione in cui viene esperito: si pensi all’importanza assunta dal profumo indossato dal proprio partner soprattutto nel momento in cui si è all’inizio del rapporto. E’ dimostrato che ciò che per la maggior parte delle persone è un buon odore può diventare, a seguito di particolari esperienze e associazioni, facilmente spiacevole per una persona e viceversa. In realtà gli odori non contribuiscono a nessun comportamento o prestazione specifici, ma danno inizio ad una risposta nel sistema olfattivo. Gli odori possono essere considerati non come componenti funzionali degli oggetti, ma piuttosto come elementi scatenanti che diventano stimoli influenti attraverso l’associazione con esperienze, ricordi e stimoli. Ciò che è innato è rappresentato sia dalla propensione ad imparare a fare tali associazioni, sia lo stretto legame tra il sistema olfattivo e le parti del cervello che mediano le risposte emotive. Gli odori che non sono associati ad eventi significativi possono essere ignorati tramite il meccanismo dell’abituazione.
La familiarità
Anche il grado di familiarità di un odore entra a far parte degli elementi che costituiscono una preferenza. Pur essendoci alcune differenze individuali riguardo alle preferenze per specifici odori è evidente una forte tendenza a giudicare come sgradevoli odori non familiari. Il sospetto di ciò che non è familiare deriva dalla funzione dell’odorato di mettere in stato di allerta nei confronti di ciò che non è conosciuto.
La psicologia
Tra i fattori che influenzano le preferenze olfattive compaiono anche gli elementi psicologici e i pregiudizi collegati agli odori: un’inchiesta sull’opinione pubblica riguardo agli scarichi dei motori diesel rivela che si potrebbero giudicare tali odori più ripugnanti di quanto essi non sono realmente, a causa di pregiudizi che riguardano l’inquinamento in generale. Il colore del fumo, per esempio, può influenzare un osservatore e spingerlo a riferire che dà cattivo odore.
La cultura
Per quanto concerne, invece, il condizionamento culturale sulla formazione del gusto olfattivo, è importante valutare che ognuno di noi è stato inconsapevolmente condizionato, già dall’infanzia, da determinati odori appartenenti alla nostra cultura olfattiva. E’ facile, per esempio, prevedere che gli aromi evocatori di vacanze avranno un effetto de-stressante, quelli che ricordano la casa e la famiglia saranno rassicuranti. In pratica è possibile prevedere l’effetto di un gran numero di odori che appartengono al comune bagaglio di cultura di un determinato popolo. Ogni popolo ha la sua personale idiosincrasia verso gli odori. E’ confermato che in occidente sono preferiti i profumi più freschi e floreali, invece in oriente i profumi sono penetranti, inebrianti e moderatamente tossici.