Il fenomeno della globalizzazione colpisce gli individui sia all’interno di uno stesso contesto geografico-politico (nazione) sia nel contesto più allargato che ci riguarda e che è il Pianeta Terra. Persone e popoli vivono un momento di estremo dinamismo sociale e culturale basato sullo scambio, conscio e inconscio, di elementi personali e groupali, legati sia alla sfera personale di un individuo che a quella professionale.
La dinamicità sociale e culturale legata alla dinamicità commerciale a cui ci sta abituando la globalizzazione, dovuta alla forte e sempre più incessante interazione di logiche umane, economiche e politiche, rischia, però, di essere sottostimata e sottovalutata a causa della visione tipicamente focalizzata sul business che l’effetto della globalizzazione può produrre.
Ritengo che il maggiore vantaggio risieda invece proprio nella valorizzazione dei fondamenti sociali, culturali, economici, politici, religiosi, ecc. che diventano sinergia attiva e strumento strategico proprio come leva della globalizzazione ai fini di una migliore comprensione reciproca e consapevole convivenza tra culture, in perpetuo movimento, dei diversi popoli e attraverso i mille luoghi. E ritorno. Senza mai, cioè, rendere vulnerabile la localizzazione e la sua importantissima identità pluri-funzionale ed esistenziale.
Mi sono chiesta, a questo proposito, che impatto avesse la dinamicità a cui mi riferisco sullo sviluppo o sulla crescita di una professione, ed essendo esperta in relazioni pubbliche mi è sorto spontaneo trattare questa disciplina, e da qui decido di partire.
Come molti sanno la disciplina delle relazioni pubbliche nasce negli Stati Uniti ormai più di un secolo fa, ponendo le basi sia professionali che accademiche di questa nuova professione. Qualche decennio più tardi le relazioni pubbliche fanno il loro ingresso in Europa, e precisamente (quasi in maniera anche scontata) in Inghilterra, grazie agli scambi e all’interazione già esistente tra i due mondi di cultura anglosassone. Le relazioni pubbliche, quindi, in Europa esistono in quanto importate dagli Stati Uniti e nate su quei modelli e tecniche applicative. Con il tempo, e grazie al meticoloso lavoro di ricerca, di sviluppo della professione e senso di adattamento allo specifico contesto Europeo, le relazioni pubbliche hanno assunto un ruolo molto importante anche in questo contesto. Allo stato attuale, quindi è possibile sintetizzare che: 1) è possibile individuare relazioni pubbliche come studio e professione di matrice statunitense; 2) è possibile individuare le relazioni pubbliche di matrice e definizione europea.
Ad avvalorare quest’ultima tesi cito Dejan Vercic (professore all’Università di Lubjana) e che, insieme con Betteke van Ruler, si è occupato di stilare il primo Bled Manifesto sulle relazioni pubbliche. Si tratta di un documento che sintetizza lo studio effettuato per BledCom 2002, in collaborazione con l’European Public Relations Education and Research Association e con l’European Association of Public Relations Students, sul tema “Lo stato dell’arte della pratica delle relazioni pubbliche in Europa e nel mondo”. Per Vercic è molto importante la svolta dettata dagli autori europei in questi ultimi anni. Infatti, se prima la letteratura circa argomenti e temi sulle relazioni pubbliche erano quasi esclusivamente di provenienza americana e anglosassone, adesso è apprezzabile notare il susseguirsi di numerose pubblicazioni europee, in cui gli autori fanno riferimento a cosa accade in Europa nell’ambito della professione. La produzione editoriale sta quindi crescendo molto rapidamente dimostrando, in qualche modo, che l’Europa dei PR si sta finalmente emancipando dagli schemi americani.
E’ mportante tenere presente che l’Europa è composta da realtà, identità, culture molto diverse ed in ognuna il contesto delle relazioni pubbliche presenta delle variabili che contraddistinguono alcuni aspetti della professione a seconda del paese in cui ci si trova. A questo proposito Vercic esprime un concetto singolare ma che rende l’idea dello stato dell’arte delle rp in Europa, ossia la presenza di “local flavours”, traducibile in essenze locali che denotano la tipicità delle rp legate al contesto culturale, tradizionale, sociale del luogo in cui il professionista opera.
Oggi, quindi, è possibile individuare chiaramente relazioni pubbliche statunitensi e relazioni pubbliche europee. A questo punto mi piacerebbe tentare di considerare la possibilità che possa concepirsi la professione di relazioni pubbliche legata allo sviluppo e alla crescita dell’area del Mediterraneo in quanto futura potenza economica.
Provocatoriamente, ma mica tanto, si potrebbe parlare di una professione Med Europea o Euro Mediterranea delle Relazioni Pubbliche. In una stessa analisi si potrebbe anche verificare come un simile aspetto professionale sia in grado di influenzare azioni e comportamenti di organizzazioni pubbliche o private e il loro conseguente impatto sulla società.
Se pensiamo all’area del Libero Scambio prevista per il 2010 ci rendiamo conto che quanto accadrà grazie alla liberalizzazione degli scambi commerciali in un diffuso territorio mediterraneo (e non) riguarderà tutto ciò che sarà possibile organizzare sotto la luce del sole. A oggi sono all’attivo dibattiti e convegni che esprimono il parere o la convinzione di sviluppo in diversi settori non solo commerciali e industriali, ma anche di collaborazione fra enti, pubbliche istituzioni e mondo accademico. Insomma, si è proprio parlato di tutto, tranne di comunicazione in senso professionale. Mi chiedo: ma è veramente possibile pensare di attivare tutta una serie di attività e negoziazioni tra i paesi aderenti all’Area del Libero Scambio senza una base professionale che ne curi gli aspetti comunicazionali?
Inoltre, è importante delineare un’identità Mediterranea ai fini di una logica vincente che diventi caratteristica comune (pur mantenendo le diverse peculiarità tipiche) su cui costruire un “Mediterranean pr flavour” contraddistinto da “Mediterranean local pr flavours”. Utopia? Non credo proprio. Piuttosto la necessità di affrontare un’analisi molto delicata e quanto più realistica possibile al fine di fare emergere le caratteristiche peculiari di ogni regione del mediterraneo oltre a individuare quelle similitudini legate anche all’origine e al contesto storico-evolutivo. Da qui si può costruire una vera e propria identità mediterranea volta, infatti, a rafforzarne i legami, a costruire partnership tra i paesi stessi del mediterraneo, a creare quel senso di accettazione e di rispetto tra popoli basato sull’orgoglio di conoscere e conoscersi per vivere in maniera sinergicamente produttiva. In cui le diversità tra i popoli, le culture, le origini, i diversi schemi politici, religiosi, valori e principi di vita sono così differenti che devono essere assolutamente considerati il primo punto di forza e di vantaggio. Ritengo che la mancanza di una consapevolezza di tale genere possa rendere il Mediterraneo solo un’area sfruttabile dalle logiche attualmente vigenti, come sempre. Mantenere una frammentazione reale dentro un’apparente unione è governabile facilmente. Viceversa, un’area mediterranea consapevole e con volontà di crearsi per rafforzare se stessa in vista di una competizione alla pari con le altre logiche territoriali, una volta deboli ma oggi temuti come l’India e la Cina, sarebbe un’azione necessaria anche se faticosa e fitta di ostacoli.