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Psicoterapia e Psicoanalisi

Pensier’azione: Take Care conversazionale nella storia di malattia

Rammento….
Nulla più rammento. Quanto
Tempo, quanta distanza, quante mura
Dritte   , e che inferno attorno, scatenato…
(780, Poesie disperse, Eugenio Montale. L’Opera in versi)
 
 
 
 
Guarire.
Il processo di guarigione, diagnosi e cura secondo un linguaggio medico, coinvolge la necessità di   rapportarsi con  un’alterità offerta dalle varie professionalità sanitarie.
Ovvero è supportato affettivamente e cognitivamente dal confronto con l’altro/professionista.
La qualità dei  contenuti affettivi e cognitivi  che concorrono tra sanitario/paziente sono legati alla qualità della comunicazione nel suo gradiente sintattico, semantico, pragmatico, metacomunicativo.
Il sanitario prima di essere identificato come professionista della salute è “the other”: l’altro da me (paziente) che mi aiuterà (aspettativa del paziente). La domanda intima principale è: capirà? E capirà anche ciò che non so spiegare (io-paziente), e cioè portare in superficie?
La capacità di rispondere funzionalmente ai bisogni personali degli utenti, definita responsiveness secondo definizione OMS (Murray CJL, Evans DB, 2003)è un elemento che caratterizza la qualità della relazione fra operatore –sanitario/paziente/famiglia.
Dalla declinazione pragmatica di questo complessissimo rapporto io-sanitario/io-paziente e dal processo di reciproca conoscenza dipende in gran parte la qualità del take-care responsiveness e la narrazione della personale storia di malattia del paziente.
La comunicazione è l’essenza del take care ed è la rete attraverso cui gli operatori sanitari trasferiscono le cure.
Ma come rispondere in modo specifico ai bisogni relazionali  del paziente?
 
L’altro non è estraneo, mai, a noi stessi. Lo riconosciamo perché è avvenuta una corretta differenziazione primaria e secondaria. Lo riconosciamo , eppure/quindi , perché ci appartiene. 
Proprio perché “differenti” ci “conosciamo”. Ovvero ogni processo di conoscenza trasformativa ha per assunto la consapevolezza della “differente conoscenza” delle cose che conosciamo già. Perciò spesso è costoso in termini cognitivi e affettivi. Non solo impariamo qualcos’altro ma dobbiamo imparare ad impararlo, perché gli strumenti che abbiamo sono superflui o insufficienti, se va bene.
La responsiveness non prevede  solo  pazienti in grado di capire ma desiderosi di  partecipare e comprendere, crescere e trascendere la malattia.
Si concretizza perciò da parte dei sanitari la necessità di lavorare all’insegna della biosingolarità, con mappe mentali singolari e specifiche, è necessario imparare ad imparare la flessibilità per sintonizzare la comunicazione su frequenze via, via diverse.
La conoscenza perciò non è nell’uno, totale e immediata ma   duale, duale in sé e perciò legata alla proposta dell’esperienza dell’altro.
 Ogni conoscenza trascende l’io e permette la sua evoluzione. La malattia come storia è un atto evolutivo.
 
Come conosciamo?
Attraverso la continua e faticosa esperienza dell’altro semplicemente perché altro da noi. Perciò è necessario sostenere “colui che guarirà” nelle fasi di costruzione di una relazione con “colui che lo guarisce”.
Che cosa condividiamo? Che cosa comunichiamo?
 
E in particolare che cosa può offrire il professionista dedicato all’aiuto? E aiuto a cosa?
Sostanzialmente i nostri malesseri sia essi fisici, psicologici o sociali ci portano a esplorare  lati  sconosciuti e minacciosi.
 All’interno del labirinto in cui si perdono   le certezze è presente la possibilità di esplorare  re-l’azioni ovvero azioni in rete che recuperano e fanno approdare a riva l’esperienza dell’altro.
Egli, l’operatore conversazionale, di aiuto,   a questo scopo, può utilizzare schemi di comportamento o pensierazioni.
I “pensier-azione” sono frammenti intuitivi, insigth, canali attraverso cui  distinguere e stagliare dettagli d’azione, più che sequenze, da “mettere in scena” con l’altro per offrirgli l’occasione di rintracciare significati nuovi e dettagliare affettivamente e cognitivamente l’esperienza, una sospensione, una virgola, una lunghezza di silenzio su ciò che viene dato per scontato.
Dare significato alla ragnatela del ragno, dare significato alla geometria delle emozioni. Dare significato all’esperienza del perdersi.
Rintracciare la strada in quell’”inferno scatenato”.
Qual è l’innesco?
Banale, perché la grammatica della comunicazione è il mezzo principale ed è scontata e conosciuta, perciò  sottovalutata nel suo valore intrinseco e nella sua capacità trasformativa.
Il take –care conversazionale recupera l’utilizzo della grammatica umana del comportamento (sorriso, tocco, suono) come  dimensione familiare (la conversazione), conosciuta da sempre e abitabile, confortevole, tappeto d’incontro fra l’operatore e Colui che stà guarendo, perché il processo di guarigione è sempre in atto.
Il take –care conversazionale considera l’utilizzo del sorriso/tocco/suono “tecnologie” fondamentali per approcciare l’altro proprio perché appartenenti alla grammatica umana del comportamento.
 
Il tocco/ presenza, il sorriso/poligono espressivo, il suono/ parola, sono funzioni esercitate nella comunità degli esseri umani ma per l’operatore sono i mattoni genetici su cui costruire re-l’azioni e cioè azioni in rete, costruzioni e decostruzioni di realtà che prima che organica è  fantasmatica e creazione virtuale e sfocata della  memoria delle cose piuttosto che dell’esperienza delle cose in quel momento.
Così la Rianimazione è un posto dove si “resuscitano i morti”e gli si rende l’anima e non un “luogo di cura”, sostituendo  il nome ciò che vi accade non cambia, ma cambierebbe la costellazione immaginaria della famiglia e del paziente che modificherebbero l’esperienza (c’è differenza tra sogno e realtà quando sogniamo?).
La consapevolezza che colui che “guarisce” (il paziente) vive sospeso in un tempo/spazio che necessita di essere co-costruito permette, da parte dell’operatore,  l’azione di  frammenti dell’aver cura conversazionale che tutta richiama all’esperienza  della conversazione come tecnologia usata fin dall’antichità per creare habitat relazionali di scambio collocati nel “qui e ora”.
Fanno paura le cose o ciò che immaginiamo che esse siano? Occorre smantellare gradatamente la costruzione fantasmatica orribile e paurosa.
Take care conversazionale significa aiutare l’altro a caratterizzare in modo familiare i tratti che definiscono l’ambiente che li circonda e a stare nell’esperienza, ridimensionare il sogno per vivere livelli e piani di realtà .
Tutto è trasformato dalla paura e tutto assume significato altro, l’operatore , però, può disseminare via, via opportunità di incontro “conversazionale” durante tutte le sue azioni.
 
Il take –care conversazionale ha come dimensione   l’atmosfera adeguata all’incontro con l’altro così com’è, per accettarlo così com’è, come  primo grande traguardo dell’esplorazione.
Intanto: il contatto con colui o coloro che guariscono (professionisti sanitari) ha un sapore “magico” arcano di trasformazione, perciò colorare l’incontro  con “colui che deve guarire” ha già in sé il germe della cura.
 
Ci conosciamo e prendiamo consapevolezza l’uno dell’altro e perciò l’io/io compie  reciproche esperienze visive, tattili, olfattive,  niente di più complesso perchè tessuto di scambio di decine e decine d’ informazioni più o meno consapevoli.
Quindi  ci tocchiamo per darci la mano in segno di saluto, ci guardiamo negli occhi e sorridiamo, udiamo le voci. Registriamo i primi dati sensoriali dell’incontro, riflettiamo che cosa ci suscita l’altro.
In pochi attimi, talvolta inconsapevolmente, decidiamo strategie relazionali e decliniamo i verbi della grammatica comunicativa.
Parliamo e facciamo pause, pause e parole.
“e se fosse nella pausa e non nel fischio che i merli si parlano? Parlarsi tacendo, tacendo fischiando è sempre possibile; il problema è capirsi”[1]
Take care conversazionale, prima che una prestazione, è uno stato d’animo e un’intenzione perché il pensiero sia tutt’uno con l’azione: significa  esercitare capacità comunicative ad alto “peso specifico” di qualità fluida,  elevata mobilità e alta densità, destinata a scorrere i canti, le vie e viuzze che l’altro ci mostra.
Nei sentieri rintracciamo gli elementi  che il malato  utilizza e la dinamica della costruzione dei suoi pensieri. È necessario partire da questo materiale per co-costruire e tinteggiare panorami diversi.
Nel take- care conversazionale la specificità trasformativa si sviluppa a partire da questo impianto. E niente in questo “ambiente” è superfluo alla “cura”.

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