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Psicoterapia e Psicoanalisi

Proposta di un protocollo strategico per la depressione

Abstract

La sistematizzazione di un protocollo di intervento per la depressione è nato dal quesito se il Sistema Percettivo Reattivo (SPR), come modalità di costruzione e persistenza del problema, fosse unico o esistessero delle tipologie diverse e delle varianti delle stesse. Altra ipotesi di lavoro era verificare se le ipotetiche varianti modulassero e differenziassero in modo significativo sia l’approccio al problema sia il trattamento. Partendo dall’individuazione della Tentata Soluzione (TS), che nella Depressione è stata identificata nella Rinuncia, è emerso il ruolo di Vittima in 3 diverse tipologie: Vittima di Sé (con una variante), Vittima degli Altri, Vittima del Mondo. Nella Rinuncia si sono evidenziate tre sotto- modalità: la delega, l’arrendersi, la pretesa. A ognuna di queste corrispondono le tre tipologie di Vittima. Attraverso il processo di Ricerca-Intervento si è delineato un punto, secondo noi fondamentale, e cioè l’esistenza di un Mito. Un costrutto rappresentativo della realtà che nell’esperienza del paziente si è frantumato manifestando la sua disfunzionalità, portando il cliente alla sensazione di aver perso il controllo di quella realtà o, di non averlo mai posseduto, con la presunta, unica, soluzione di rinunciare. L’identificazione e contemporanea modifica del Mito, costituisce colonna portante della diagnosi e del trattamento. Il percorso terapeutico passa attraverso l’uso di selezionati stratagemmi, e ristrutturazioni metaforiche, nella prima fase; prescrizioni nella seconda e consolidamento nella terza.
Questo nostro lavoro, ancora “in fieri”, nasce in un primo momento dalla generica necessità di sistematizzare un protocollo per i pazienti depressi, con i quali ci sentivamo inefficaci. Ma, fin dall’inizio ci siamo chieste e ne abbiamo fatto l’ipotesi di ricerca, se nel S.P.R. del depresso, che saremmo andate a ricercare, vi fosse un’unica modalità di costruzione e persistenza del problema o ci fossero delle varianti. Infatti, identificare delle varianti avrebbe permesso di costruire protocolli d’intervento estremamente efficaci, capaci di permetterci di intervenire, fin dall’inizio della terapia, in modo veramente “chirurgico”. Nella scelta della casistica abbiamo utilizzato i criteri diagnostico-descrittivi del DSM IV, per la necessità di uniformarci ai canoni attuali di ricerca.
Abbiamo impostato il nostro lavoro secondo il principio della RICERCA/INTERVENTO, che caratterizza la costruzione dei protocolli in Terapia Strategica andando a ricercare la tentata soluzione. Questa ci permette di capire COME il problema si mantiene, per giungere poi a individuare il sistema percettivo reattivo.
Abbiamo individuato, in tutti i ns. pazienti depressi (una cinquantina circa) una tentata soluzione tipica: la RINUNCIA.

La vittima

La rinuncia pone il paziente nel ruolo di vittima.
Il paziente RINUNCIA in quanto crede o è convinto di NON avere i mezzi (di non averli PIU’ o di non averli MAI avuti) o che la situazione è, per sua natura, immodificabile (ad esempio a causa della sfortuna, del destino avverso, ecc.).
Sono molti gli studi che hanno dimostrato come un evento incontrollabile o inevitabile produca negli esseri umani (ma anche negli animali) una serie di eventi psicologici: passività, ritardo cognitivo, abbassamento dell’autostima, tristezza, ansia, ostilità, diminuzione della giusta spinta aggressiva, modificazioni biochimiche a livello cerebrale. Questi eventi rendono conto di una vulnerabilità, più o meno evidente.
Le persone ricercano una causalità negli eventi della vita, anche in quelli incontrollabili o inevitabili, perseguendo con estrema facilità una logica causale e non circolare. In questo modo, il costrutto che essi hanno nel momento dell’episodio depressivo si sviluppa come credenza, piuttosto che come costrutto epistemologico. La causa può allora essere attribuita all’esterno (altri-Mondo), e comporta, come vissuto emotivo, l’assenza di speranza, o a se stessi e in tal caso comporta disistima e autobiasimo. Le risposte trovate, in questa ricerca causale, rendono conto della manifesta vulnerabilità e della posizione di vittima.
Ma vi è anche un altro “link” logico tra la posizione di rinuncia e quella di vittima: il “link” emotivo rappresentato dalla rabbia: se la rinuncia, per il modo o il contesto in cui si realizza, consente di esprimere la rabbia che l’accompagna, la situazione non è disfunzionale (ad es.: se sono in grado di arrabbiarmi e di esprimere la mia rabbia nei confronti di chi si frappone tra me e il raggiungimento di un obiettivo o di miei “desiderata”).
Ma, nel momento in cui la rabbia non può essere espressa o nemmeno riconosciuta, la persona si sente CONDANNATA, quindi VITTIMA. Il paziente depresso è profondamente arrabbiato, anche se spesso non è in grado di dichiararlo o nemmeno di riconoscerlo.
Il paziente depresso si sente Vittima in quanto la condanna è avvertita come ingiusta (ad es.: “…con tutto quello che ho fatto per loro!). E può essere Vittima di sé, degli altri o del Mondo, in quanto a se’, altri o Mondo vengono attribuite le responsabilità dello stato di fatto.
Talora, invece, il paziente riconosce la meritorietà della condanna, in quanto egli è, ai suoi stessi occhi, spregevole e giustamente condannato ad una vita miserevole: è questo il caso di certe vittime di se stesse con una forte spinta autopersecutoria.
Per comprendere la specificità della Tentata Soluzione più generale: “IO RINUNCIO, perché NON SONO IN GRADO”, è necessario, però, scoprire il modo in cui la persona rinuncia. Infatti, da un punto di vista operativo fa differenza aver a che fare terapeuticamente con sentirsi “vittima di se’” piuttosto che “degli altri” o “del mondo”. Si arriva ad essere rinunciatari = vittima attraverso diverse modalità:

– La “vittima di se stessa” DELEGA (“Io sono sbagliato, perché sono incapace o perché è nella mia natura. E poiché il mondo è giusto e sono io quello incapace, devono fare gli altri”). E’ rinunciatario in assoluto. Oppure SI ARRENDE (Pensavo di essere in un certo modo… di poter fare… invece non sono più in grado).
– La “vittima degli altri” SI ARRENDE (“Credevo, ma gli altri mi hanno deluso. Io vado bene, ma sono gli altri che non mi apprezzano”). Pensando di essere nel giusto, si è illuso e poi deluso perché le cose sono andate in modo diverso rispetto alle aspettative.
– La “vittima del Mondo e della Natura PRETENDE (“Io sono nel giusto, è il Mondo ad essere sbagliato. Io HO dei principi, ma il mondo non funziona secondo quei principi”). E’ attivissimo a livello teorico, inattivo a livello pratico in quanto le cose non sono come dovrebbero essere.

Il mito

A questo punto abbiamo inserito un elemento per noi determinante e discriminante: l’esistenza di un costrutto rappresentativo, spesso sconosciuto al soggetto, che viene intaccato: IL MITO.
Il Mito fa parte di una rappresentazione di cui il soggetto non è sempre consapevole, che presuppone un’adesione fideistica.
Watzlawick, Weakland e Fish parlano a tale proposito dell’UTOPIA, che può essere:

negativa = un mondo senza soluzioni;
positiva = un mondo senza problemi, e che, introiettata o proiettata porta all’assunzione di determinati comportamenti.

A noi è sembrato che, il costrutto rappresentativo ritrovato nelle posizioni depressive, contenga in effetti degli elementi utopici, ma sia molto più prossimo a ciò che Weakland, altrove, definisce come mito: “…..dal mio punto di vista i miti sono schemi esplicativi, ovverossia modi di utilizzare il linguaggio per correlare, ordinare e dare un senso a ciò che si osserva a proposito della natura e della vita. ….. Pertanto i miti sono come le mappe; danno forma e ordine alla nostra comprensione di un determinato territorio e guidano i nostri passi nell’attraversarlo piuttosto che nell’evitarlo, e come le antiche carte geografiche talora ci mettono sull’avviso:”da questo punto in poi ci sono i mostri!”.
Ciò che differenzia l’utopia dal mito è che l’utopia rappresenta uno stato ideale a cui tendere, mentre il mito è contestuale al presente e fornisce le indicazioni per orientarci sul territorio. Se, come J. Weakland sostiene, il Mito è la mappa, allora l’Utopia è l’isola del tesoro!
Il Mito orienta, in maniera rigida, il paziente a muoversi sul territorio della vita. Il suo infrangersi e l’impossibilità di ricostruirlo può portare il paziente alla RINUNCIA come ultima possibile tentata soluzione: io non sono in grado quindi rinuncio pertanto sono vittima.
Il Mito caratterizza, di conseguenza, anche i diversi modi in cui il paziente rinuncia, e si dispone trasversalmente a questi.
Il mito è una rappresentazione comportamentale e ideativa con una sua specificità.
Nel lavoro con i pazienti depressi abbiamo identificato tre miti fondamentale, quindi 3 diverse tipologie di mappa usate dalle persone per orientarsi nel “territorio” della quotidianità:

– il Mito, che potremmo chiamare “della forza mai posseduta o della forza perduta”. Un Mito, quindi, con due varianti.
Nella versione che chiamiamo “della forza mai posseduta”, il Mito ci rimanda alla figura dello “svantaggiato biologico” (“non sono in grado in quanto è nella mia natura”). Ciò rappresenta l’eccezione. Non è infatti identificabile un evento di “rottura” del Mito; è sempre stato così.
Colui il quale utilizza questo Mito (=mappa), rinunciando, si pone come vittima di se stesso. E’ la persona che pensa o crede di dover essere in un certo modo, ma di non aver mai avuto gli strumenti di realizzazione e si sente, quindi, impotente. Il S.P.R. è basato sul CONTROLLO mai avuto; S.P.R. che possiamo chiamare del DEPRESSO RADICALE.
Il paziente pensa di avere un problema così difficile, che non può fare altro che portarne il peso tutto da solo (=Sisifo).
Relativamente ai correlati emotivi, la sua rinuncia è connotata da autocommiserazione, sentimento lamentoso, che degenera spesso in una petulante lagnanza. E’ un lamentarsi fine a se stesso.
Nella versione “la forza perduta”, il Mito ci rimanda alle figure di Sansone e Achille. Nel momento in cui il Mito si rompe e la persona si accorge di non possedere PIU’ gli strumenti e la forza che credeva di avere, si sente impotente, rinuncia e si pone, anch’egli, come Vittima di se stesso, ma il S.P.R. è diverso dal precedente, in quanto c’è un’illusione che si frantuma: è l’ILLUSO-DELUSO, che constata di NON possedere PIU’ il CONTROLLO, che credeva di avere.
A livello emotivo è forte la componente aggressiva, rivolta verso se stesso, nella consapevolezza di non avere altra scelta se non quella di impiegare tutte le sue forze a sacrificare se stesso nella posizione di vittima, per avere però un’identità forte, che esprime una posizione chiara: “io non posso fare http:\\/\\/psicolab.neta, sono gli altri che devono fare.”

– Il Mito del “tradito”, quello che si pone quale vittima degli altri. Quello che ha messo in atto delle strategie o ha creduto che gli altri …il Mondo… fossero in un certo modo, finendo con il constatare il fallimento delle proprie aspettative, credenze o strategie. Le cose hanno funzionato, ma solo fino ad un certo punto: “…io ho dato il massimo, credevo negli altri o in lui/lei; … non doveva accadere.”
Il S.P.R. è basato sulla perdita del controllo, controllo che pensava di avere e ora non c’è più.
La rinuncia avviene per paura di non avere le armi per riconquistare la posizione iniziale. L’aggressività inibita viene espressa come disistima verso se stesso: si percepisce incapace. Ma nutre, nel contempo, risentimento verso gli altri, che lo hanno tradito.
Si comporta, quindi, in tutto e per tutto da ILLUSO-DELUSO.
E’ questo il caso in cui possiamo trovare correlati neurovegetativi di tipo ansiogeno, con tutta la gamma sintomatologia relativa alla reazione d’allarme.

– Il Mito dell’ “inquisitore sconfitto”, vittima del Mondo e della Natura.
E’ colui il quale vuole che gli altri siano come lui pensa debbano essere. Sono le cose ad essere sbagliate. Se fossero come lui pensa debbano essere, tutto andrebbe bene. Qui la depressione è solitamente conseguente ad un evento traumatico, che fa crollare la sua visione del mondo.
Il S.P.R. è basato sul fallimento del controllo.
Tra i correlati emotivi possiamo ritrovare un controllo ansioso su se stesso e su gli altri, contrapposto al concetto di tolleranza per se stesso e per gli altri. L’aggressività è fortemente inibita, in quanto non può incrinare la rigida immagine di se stesso, di colui, cioè, che non cede agli impulsi. La rabbia e il rancore diventano allora irritazione, delusione, frustrazione, continua insoddisfazione. E’ il MORALISTA.

Abbiamo quindi tre Miti:

– la forza mai posseduta o la forza perduta;
– il tradito;
– l’inquisitore sconfitto,
che, nel momento in cui si infrangono e non possono essere ricostruiti dal paziente, portano ad assumere comportamenti, atteggiamenti, ideazioni, correlati emotivi, ciascuno nella sua specificità, che definiamo, per nostro uso e comprensione:

– depresso radicale;
– illuso-deluso;
– moralista.

Questi indicano i diversi Sistemi Percettivo-Reattivi correlati ai Miti.
I singoli Miti presentano anche delle varianti: ne abbiamo identificate alcune, altre si scopriranno in “corso d’opera”.
L’utilizzo del Mito non è stato, per noi, un vezzo letterario, quanto piuttosto una chiave di lettura, che diviene nel contempo una potente leva di sblocco terapeutico, attraverso la forte risonanza emotiva del linguaggio metaforico, peraltro facilmente accessibile a tutti. Il linguaggio metaforico,infatti, permette di cogliere la natura essenziale di un’esperienza.
Non dimentichiamo che il cambiamento si realizza non su un piano razionale, ma “facendo sentire” delle cose al paziente.
“…Le metafore corrispondono in un modo speciale all’esperienza originale che descrivono per mezzo di un isomorfismo. … Poiché esse utilizzano le cose concrete … per illustrare gli aspetti intangibili, complessi e relazionali della vita, sono vivide e indimenticabili. Le metafore racchiudono e definiscono l’intangibile e l’astratto, ma questo processo limita e seleziona le percezioni e le azioni, limitandole a quelle che hanno senso all’interno della logica della metafora. Le metafore sono quindi sia DESCRITTIVE, che PRESCRITTIVE.” (J. Lawley, P. Tompkins: Mente e metafore, 2003, Infomedia).
(Un inciso curioso, ma significativo: abbiamo constatato come, l’identificazione di un mito di riferimento e le ristrutturazioni conseguenti, abbiano un importante effetto di sblocco molto rapido anche in quelle situazioni, che potremmo definire depressioni “in fieri”. Si tratta di quei pazienti che non presentano un umore depresso e che non possiamo considerare tali, ma che si sentono seriamente smarriti per il recente infrangersi del Mito. Costoro potrebbero arrivare alla RINUNCIA e quindi alla depressione).

Logica delle manovre e delle mosse

Nella fase iniziale della terapia il nostro obiettivo non può essere smuovere il paziente dalla sua posizione di rinuncia. Il paziente depresso è lì per dimostrarci che http:\\/\\/psicolab.neta è possibile e, anche se ce lo sta chiedendo, noi non possiamo essere più capaci di lui. Per il terapeuta prospettargli possibili soluzioni o vie d’uscita può essere una trappola. I suggerimenti espliciti sono di solito fallimentari.
Piuttosto, attraverso domande strategiche e successive parafrasi, cerchiamo di delimitare il territorio su cui muoverci. Attraverso le stesse definizioni delle situazioni, date dal paziente, ridefiniamo lo scenario, fino ad arrivare all’identificazione del Mito.
Delineiamo un nuovo disegno, che deve apparire a lui prima ancora che noi lo definiamo: non “sveliamo”, ma conduciamo alla “scoperta” .
Dovremmo arrivare in questo modo, già nella prima seduta, a ristrutturare il problema in modo nuovo, ma in cui il paziente si possa riconoscere e possa riconoscerne, di conseguenza, la disfunzionalità. Il cambiamento a questo punto è già in atto.
Solo dopo aver creato questa breccia nelle rappresentazioni del paziente, possiamo fargli fare esperienze, e di rappresentazione e concrete, che gli consentano di assumere una prospettiva diversa. Questa diventa il “trampolino di lancio” per modificare il SPR e quindi il ruolo di vittima.

Protocollo di trattamento

La rilevazione di tre diversi SPR, tutti ascrivibili alla sindrome depressiva, ci ha portato a calibrare con più precisione il protocollo di trattamento.
Come vediamo dallo schema, in corrispondenza ai tre diversi SPR, troviamo gli stratagemmi che orientano il terapeuta nella scelta delle manovre di intervento. Gli stratagemmi vengono utilizzati nella loro doppia funzione: ispirano tanto la logica delle manovre, che della comunicazione.
Alcuni stratagemmi sono risultati essere più efficaci in certi SPR, piuttosto che in altri. Ad es., lo stratagemma: “creare dal http:\\/\\/psicolab.neta”, che sottostà a prescrizioni “solution oriented”, sembra essere più efficace nei SPR “depresso Radicale” e “Moralista”.
Gli stratagemmi “spegnere il fuoco aggiungendo la legna”, “uccidere il serpente col suo stesso veleno”, “storcere per raddrizzare”, sostengono prescrizioni “problem-solving”, che sembrano essere più efficaci nei SPR “illuso-deluso”, tanto nella versione “vittima di sé”, che “vittima degli altri”.
Le manovre, rispetto agli stratagemmi, che ne sostengono la logica, presentano una maggiore specificità.
In particolare, abbiamo una manovra comune a tutti e tre i SPR, la ristrutturazione metaforica. Questa è il risultato della parafrasi successiva alle domande strategiche.
Le domande strategiche ci consentono, chiudendo porte successive, di arrivare in modo quasi inevitabile, come necessaria conseguenza logica, alla ristrutturazione metaforica. Questa si usa per cominciare ad incrinare il mito disfunzionale e servirà poi da trama per tutte le successive prescrizioni, sia problem-solving (come peggiorare, peggiore fantasia, e tutte quelle a carattere paradossale), sia solution-oriented (domanda miracolo, come se, eccezioni positive).

Dagli stratagemmi alle manovre. Esempi

– “Creare dal http:\\/\\/psicolab.neta”, significa creare qualcosa che non esiste, ma che se viene ritenuto esistente può produrre effetti concreti. Il Mito stesso risponde a questa logica. Conduciamo il paziente, attraverso le domande strategiche, le successive parafrasi e la ristrutturazione a riconoscere il proprio Mito (=realtà inventata) e la sua disfunzionalità. Ciò ha per effetto la rottura del Mito e l’apertura di prospettive diverse, più funzionali.
– “Spegnere il fuoco aggiungendo la legna” è l’espressione codificata in aforisma di un principio paradossale. E’ questa la logica che sottostà alla prescrizione, ben nota peraltro, denominata “worst fantasy” con la quale invitiamo il paziente a stare, volontariamente, più male che può, all’interno di uno spazio temporale ritualizzato (cfr. G. Nardone e P. Watzlawick, L’arte del cambiamento, Ponte alle Grazie, 1995).
– “Uccidere il serpente con il suo stesso veleno”. Ritorco il serpente contro se stesso quando dico, ad esempio, al paziente, che lamenta la sua inettitudine e il suo senso di colpa: “Lei ha ragione…. È veramente colpevole. Anzi, è molto più colpevole di quanto creda. E’ addirittura peggio che colpevole: lei ha la presunzione di accollarsi i peccati di tutti …. Di credersi l’Agnello di Dio, che si fa carico di tutti i peccati del mondo!”.
– “Storcere per raddrizzare” significa costringersi a complicare il problema, per poter vedere vie d’uscita. In quest’ottica suggeriamo al paziente illuso-deluso, alla fine della prima seduta, di pensare a tutti i possibili modi per peggiorare deliberatamente la situazione: “Da qui a quando ci rivedremo voglio che, ogni giorno, lei pensi a che cosa dovrebbe fare se fosse così pazzo da voler, deliberatamente, peggiorare la sua situazione anziché migliorarla. A tutto quello che potrebbe fare o non fare, dire o non dire se volesse far andare le cose ancora peggio. Ovviamente deve solo pensarci, non deve mettere in pratica http:\\/\\/psicolab.neta!”.

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