Se è vero che la tavola è lo specchio di una cultura è possibile dire che quella occidentale sta vivendo un nostalgico ritorno al passato. Si tratta di una forzatura, ma osservando le nostre abitudini alimentari, sembra che convivano due correnti contrastanti: il fast food e i prodotti tipici.
A tavola la tipicità sembra essere diventata la nuova parola d’ordine.
Ma cosa s’intende per tipicità? Cosa è tipico e di che cosa? Questi i temi di una ricerca sociologico-cognitiva che l’autore ha compiuto sotto la supervisione di Alessandro Bertirotti, docente di Teoria delle Relazioni pubbliche, presso l’Università degli Studi di Catania, i cui risultati sono presentati, in parte, in questo testo.
L’originalità della ricerca consiste nell’impostazione teorica che vi è alla base. Il punto di partenza è la mente di chi fruisce i prodotti tipici. Secondo la teoria cognitivista la mente crea significato, costruisce la realtà, attribuisce di volta in volta un senso a ciò che percepisce. A differenza delle teorie comportamentiste, che pongono l’accento sulla funzione stimolo-risposta per spiegare la formazione delle conoscenze, il cognitivismo focalizza l’attenzione sull’analisi dei processi conoscitivi e sullo studio delle possibili forme di rappresentazione del percetto[1]. La tipicità è strettamente connessa ad elementi culturali e ad esperienze sensoriali, e risulta molto interessante scoprire come ogni individuo elabori corticalmente (nel nostro caso in riferimento ad un alimento) il concetto di gusto e di tipicità.
Ad un campione eterogeneo di fruitori è stata veicolata un’indagine predisposta in formato elettronico. Attraverso un questionario è stato possibile studiare quali fossero le differenze di percezione della tipicità, in relazione ai fattori presi in considerazione. La popolazione intervistata è stata un campione di duecento soggetti equamente distribuiti per genere e per la presenza di reddito più o meno indipendente. Chi ha indicato di avere un alto livello di formazione è in quantità doppia rispetto a chi dichiara di avere livelli di formazione più bassi; la fascia d’età più numerosa è risultata essere quella compresa tra i 26 e i 35 anni. L’intero corpo di domande è stato predisposto per il perseguimento di diversi obiettivi a carattere sia teorico che tecnico. Nel primo blocco di quesiti, volto a rilevare associazioni di tipo semantico, è stato chiesto di scegliere fra una serie di termini ed espressioni[2], cinque fra quelli che configurano, nella loro mente, un prodotto come tipico. Le preferenze, appartenenti a due categorie ricondotte l’una al territorio l’altra ai metodi di lavorazione, sono state dunque strutturate allo scopo di verificare se, nel configurare un prodotto come tipico, la mente del consumatore facesse più riferimento al territorio (natura) o ai metodi di lavorazione (cultura). I quesiti successivi sono stati volti a verificare l’incidenza del Marketing sul territorio sempre chiedendo al pubblico di scegliere fra diversi termini e locuzioni riferite all’uno o all’altro concetto. La tabella riassuntiva sotto riportata descrive il risultato dei quesiti ordinati e distinti per sesso, presenza di reddito, livello di formazione ed età.
Come si nota, la variabile territorio gioca un ruolo molto importante ai fini della definizione di tipicità con dei valori percentuali nettamente più alti rispetto alle aree con cui è stata confrontata. Nello specifico, i metodi di lavorazione incidono solo per il 29,1% rispetto al territorio che rivela un 70,9% di preferenze. La popolazione maschile lega maggiormente la tipicità a fattori territoriali (+2,1%) rispetto a quella femminile. La variabile reddito non sembra influenzare il campione, mentre si rilevano 2,2 punti percentuali in più di chi ha conseguito la laurea rispetto a chi dichiara di possedere un livello di istruzione inferiore a quella universitaria. Per quanto riguarda la fascia d’età, i più sensibili al territorio risultano essere i giovani dai 26 ai 35 anni con una percentuale pari al 73,3%.
Nel rapporto Marketing/Territorio, in riferimento alla tabella riassuntiva si nota come il Marketing influisca solo per il 27% contro il 73% della variabile territorio.
Per studiare quali valori apporta il concetto di tipicità ad un determinato prodotto, si è chiesto agli utenti quanto sono disposti a pagare in più per l’acquisto di un prodotto tipico, rispetto ad uno industriale. Le preferenze, come rilevabili dal grafico, si attestano maggiormente intorno ad un plus di spesa del 20-30% in più, con una preferenza media sul totale di 52 punti percentuali.
Figura 1: Plus di spesa per acquisto prodotto tipico
Il 24% ha dichiarato di voler spendere non più del 10%, il 15,5% spenderebbe tra il 31% ed il 60%, mentre solo l’8% supererebbe il plus del 61%. Apprendere che il prodotto che si acquista è tipico conferisce maggiore fiducia verso quel prodotto per il 17,2% della popolazione; maggiore qualità per il 26,5%; costo superiore per il 14,8%; gusto più raffinato per il 13,7% e sapore più genuino per il 26%. È interessante notare lo scarto rilevato fra gusto e genuinità con addirittura 12,3 punti percentuali di superiorità della genuinità sul gusto. Tale scarto tuttavia non è confermato in una delle domande successive in cui gusto e genuinità sono state osservate in un confronto diretto dove hanno riportato preferenze similari (17,5% contro 18,2%). Un’interpretazione che si può dare è che la differenza rilevata dipenda da associazioni mentali relative al significato dei termini utilizzati per porre le rispettive domande: mentre le preferenze sono similari se si usano semplicemente le parole “gusto” e “genuinità”, il rapporto cambia di parecchio nel momento in cui si chiede di scegliere fra le locuzioni “gusto più raffinato” e “sapore più genuino”. Associare al termine “gusto” l’aggettivo “raffinato” sembra evocare, nelle menti di chi ha risposto, la percezione di trattamenti industriali che raffinino un cibo grezzo fino a modificarne artificiosamente il gusto. Al contrario, le produzioni tipiche, essendo legate a elaborazioni semplici e naturali, sembrerebbero più legati a sapori forti e meno raffinati. Questo spiegherebbe la differenza di risultati ottenuti per i due caratteri.
L’aggettivo “tipico”, dunque, nasce da una serie di valutazioni intersoggettive derivanti dal coinvolgimento di diversi fattori. Per cercare di comprendere quali siano i significati che il pubblico associa a tale concetto si è approntata una ricerca su diversi vocabolari ed enciclopedie al fine di raccogliere e confrontare diverse definizioni. Dall’analisi dell’insieme delle definizioni raccolte si è notata la presenza di caratteristiche similari che sono state selezionate e utilizzate per impostare un questionario utile allo scopo della ricerca oggetto d’analisi. Mentre alcuni elementi si riferiscono ad una natura astratta del concetto di tipicità, altre ne indicano caratteri di specificità, altri ancora rilevano un legame col territorio o con il tipo di cultura in cui si sviluppa tale produzione. Si è, dunque, predisposto un differenziale semantico al fine di chiedere al pubblico di graduare il livello di attinenza di ogni termine o locuzione con il concetto che si sta studiando. Dall’indagine il concetto di tipicità risulta essere più legato a significati che implicano un aspetto di specificità e particolarità del contesto cui si riferisce. Il livello di preferenze verso questo tipo di definizioni è risultato, come è facilmente rilevabile dal grafico in figura 1, dall’alto al molto alto.
Figura 2: Associazione Semantica
Partendo dal basso verso l’alto, è possibile notare come la media dei valori che riconducono ad un concetto astratto della parola “tipicità” hanno ricevuto una preferenza di livelli di associazione bassa (la media dei valori bassi si attesta intorno al 44,75%). Salendo di un gradino si nota, invece, come le espressioni semantiche che danno l’idea di un concetto di specificità e particolarità, vengono associati a livelli di preferenza alti (la media dei valori alti si attesta intorno al 60%). I significati che riconducono ad un’idea di ecologia o ambiente, presentano un certo equilibrio fra preferenze di livelli d’associazione bassi e livelli alti (nello specifico si tratta di livelli bassi: 34%; livelli medi:26,5%; livelli alti 39,5%), anche se risulta una certa preferenza per quelli medio-alti. Le locuzioni che legano il concetto di tipicità con il sistema della cultura presentano una netta preferenza per livelli d’associazione alti (62%) rispetto ai livelli più bassi (14%).
In base ai risultati ottenuti è possibile osservare come il concetto di “tipicità” per il fruitore medio venga considerato come un elemento caratteristico e distintivo di un qualcosa legato alla tradizione di una determinata comunità, e derivante dal rapporto popolazione/territorio in cui la comunità vive ed opera.
Un’interpretazione cognitiva di tale concezione, che è possibile avanzare, è che la tipicità è un concetto che esprime i caratteri specifici e distintivi di una determinata cultura, come risultante di un complesso sistema di interazioni fra lo stimolo del territorio – interiorizzazione di atteggiamenti culturali sviluppati nel tempo – risposta adattiva e creativa dell’uomo. Da tale definizione si evince come la tipicità sia un concetto specifico che deriva da uno stretto rapporto fra uomo e territorio, in una relazione di reciproco adattamento e reciproco sviluppo. Non esiste una cultura che sia in grado di dominare un determinato territorio né un territorio che domini completamente una società rendendola assolutamente succube. Esiste invece una convivenza adattiva e creativa, frutto di elaborazioni mentali operate da un popolo in risposta a stimoli-input ricevuti dal territorio. I prodotti tipici non sono altro che uno dei risultati di tali interazioni, legati a secoli di combinazioni e rielaborazioni di materie prime rese disponibili (o ricavate, nei casi in cui l’azione dell’uomo è risultata più forte) dal territorio.
Considerazioni teoriche
“Il paesaggio è uno stato d’animo”. Questo estratto di saggezza popolare riassume sinteticamente il concetto alla base della ricerca. Dire che il paesaggio è uno stato d’animo significa identificarlo come componente essenziale della cultura di un popolo, quindi della sua tipicità. Studi psicologici dimostrano come il paesaggio sia, dopo il volto materno, il primo imprinting [3]di immagine che il bambino interiorizza e che tale immagine si imprime nella memoria in maniera indelebile (Bertirotti A., Larosa A., 2005:75). È come se esso dettasse i suoi ritmi ai quali si adeguano i ritmi di comportamento degli individui che ci vivono.
È questo uno dei motivi per cui un siciliano è diverso da un lombardo che è diverso da un toscano. Tale meccanismo lavora come un gioco di scatole cinesi, facendo in modo di caratterizzare ognuna delle sotto aria che è possibile identificare. È proprio in questa miriade di sottoinsiemi differenti l’uno dall’altro che consiste la forza dei prodotti tipici. Riescono a caratterizzarsi in maniera tanto forte e specifica, presentando differenze sostanziali anche fra produzioni legate a territori non eccessivamente distanti fra loro. Fatta questa premessa, si cerca ora di approfondire il processo che permette la nascita di un prodotto tipico e degli elementi che permettono a tali produzioni di poter essere apprezzati da quanti non appartengono all’humus geo-culturale da cui provengono.
Per comprendere i meccanismi che permettono la nascita di un determinato alimento considerato “tipico”, occorre introdurre il concetto di margine di programmazione temporale (MPT) che Gavino Musio identifica in quello spazio temporale nel quale un individuo può programmare la propria azione e stabilire col minor margine di errore possibile il proprio limite di sicurezza economica, sociale ed esistenziale (Bertirotti A., Larosa A., ibidem:76). Più semplicemente esso rappresenta la condizione base perché una comunità possa essere in grado di istaurare un qualunque tipo di rapporto col territorio in cui opera. Quando questo margine supera il limite minimo di sopravvivenza, esso renderà possibile la nascita di proiezioni del futuro, dunque di proiezioni sia personali che di gruppo. È proprio in quei momenti che la comunità di un territorio, potendo godere di un minimo di stabilità e di materia prima facilmente reperibile, comincia a sperimentare elaborazioni gastronomiche che, negli anni, diventano tipiche. La raffinatezza di tali elaborazioni gastronomiche è direttamente proporzionale alla larghezza del MPT, in quanto più si gode di stabilità e sicurezza economico/sociale, più si ha la possibilità di implementare le produzioni e sperimentare accostamenti di gusti.
Tra lo stimolo di un territorio e la risposta dell’uomo, vi è uno spazio occupato da quei processi mentali dominati dalle interiorizzazioni di atteggiamento. Questo suggerisce che, dato un determinato territorio, è possibile studiare come la gente che lo occupa da più di quattrocento anni abbia interiorizzato formule di vita e moduli di esperienza legati al suo modo di adattarsi ad esso (Musio G., 1995). Dunque il rapporto territorio-uomo è filtrato dall’organizzazione della mente, il comportamento dell’uomo e gli stimoli provenienti dal luogo che occupa. Condividere uno stesso territorio significa dunque condividere la stessa cultura, o parte di essa.
Poiché la cultura ricopre un ruolo fondamentale nel processo di formazione del gusto, si sarà in grado di apprezzare un determinato sapore solo nel momento in cui i recettori cognitivi legati al gusto sono pronti ad identificarlo come gradevole. In caso contrario esso sarà rifiutato ed etichettato come non gradevole. Questo accade perché non si è sviluppata la componente culturale del gusto capace di far apprezzare determinati stimoli, considerati eccessivamente lontani dal quotidiano e difficilmente apprezzabili. È lo stesso principio per il quale, pur subendone magari il fascino, in pochissimi sarebbero disposti a vivere nelle regioni polari, proprio perché totalmente distanti da quei significati condivisibili cognitivamente e legati alla cultura in cui ci si è formati. Stimolare la condivisibilità di determinati elementi legati alle produzioni tipiche, risulta pertanto assai strategico ai fini di una maggiore comprensione e un maggiore apprezzamento del prodotto.
Conclusioni
L’indagine condotta ha permesso di pervenire a due interessanti spunti di riflessione legati uno alla concezione che il campione ha mostrato di possedere sul concetto, l’altro ha permesso di delineare meglio i lineamenti del pubblico di tale comparto e degli elementi che giudica più interessanti ai fini dell’approccio.
Si è scoperto che concettualmente il pubblico identifica il termine “tipicità” con significati che rimandano a caratteri di specificità, che riconducono ad una concretezza di valori capaci di permettere un riscontro pratico. Il termine è risultato essere abbastanza legato a significati di natura ecologica ma, soprattutto, socio-culturale. In base all’analisi dei risultati della prima parte dell’indagine si è potuto avanzare una possibile definizione cognitiva del termine tipicità come un concetto che esprime i caratteri specifici e distintivi di una determinata cultura come risultante di un complesso sistema di interazioni fra stimolo del territorio – interiorizzazione di atteggiamenti culturali sviluppati nel tempo – risposa adattiva e creativa dell’uomo. Un qualcosa dunque, che nasce da uno stretto rapporto fra uomo e territorio in una relazione di reciproca veicolazione.
In base a quanto studiato si può identificare un interessante punto di partenza per chi comunica la tipicità nella concezione francese di terroir che racchiude una miriade di significati e spunti comunicativi legati alla cultura e alla tradizione del popolo che abita i luoghi di produzione, concentrandosi sulle risorse che da queste produzioni possono derivare e sul modo migliore in cui presentarle ai potenziali fruitori.
È dunque necessario aver cura di puntare e sviluppare quegli elementi di condivisibilità necessari a stimolare partecipazione e curiosità nel pubblico. Avere come punto di partenza il consumatore inteso come mente relazionale, significa considerarlo come elemento di una rete di relazioni intersoggettive dalla cui interazione nascono i significati. Risulta oltremodo necessario partire dall’osservazione degli atteggiamenti come elementi culturali creati e condivisi da una comunità (Musio, 1966-93). Agire sugli atteggiamenti significa agire sulla cultura. Da qui la grande importanza di creare momenti di conoscenza diretta di tali produzioni in eventi che coinvolgano diversi soggetti stimolandoli a condividere nuove esperienze sensoriali.
È importante indurre le persone a conoscere i sapori antichi, a relazionarsi con chi sa guidarla all’interno di gusti spesso difficili e complessi, e a condividere tale esperienza con altri soggetti, per sviluppare patterns di risposta più favorevoli, sia verso tali alimenti che verso i loro gusti.