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Psicoterapia e Psicoanalisi

La Funzione Simbolica della Tomba e della Solitudine

Nella pratica clinico-terapeutica è oltremodo frequente dover affrontare la problematica della morte, forse proprio perché le peggiori sensazioni vissute istintivamente nei primi momenti della vita sono quelle legate alla paura della dissoluzione.
Un paziente borderline è riuscito a spiegare questi vissuti come senso di perdere tutto, anche il corpo: svanire nel http:\\/\\/psicolab.neta. Da questo è facile dedurre che il pericolo e la paura della morte possono risultare un vissuto che si affaccia alla coscienza nei momenti nei quali lo spettro della separazione (dai genitori per es.) diventa la conseguenza di una scelta del soggetto e/o dell Altro.
La paura della morte-separazione, però, è solo un aspetto del problema, proprio perché, a volte, l’enigma della vita e della morte si ripropone nel valore simbolico della tomba: nella morte, attraverso il sarcofago, si preserva la vita.

 

Sol chi non lascia
eredità d’affetti
poca gioia ha nell’urna …

(Ugo Foscolo: “I sepolcri”)

 

La morte salvaguarda la vita , quella vera, la affettiva, la trascendente!

Nel disegno di una giovane paziente CAR. la vita è uno spazio bianco, completamente vuoto; la morte, un ambito ricco di personaggi, di prospettive, di emozioni, di luci e di ombre che arricchiscono i vissuti.
Nell’analisi psicodinamica di questo caso, sorse la correlazione tra “Mortizia” (la madre, nella famiglia Addams) e la Dea della Memoria -“
Mnemophis”- che viene classicamente rappresentata come una figura slanciata di donna, con un peplo nero, capelli neri, nell’atto di procedere tenendo al guinzaglio un cane altrettanto nero.
La simbologia evidenzia, nel cane, il valore della fedeltà che, nel nostro caso, si riferisce ai ricordi, ai vissuti personali, intimi, profondi ed al desiderio di preservare le persone care attraverso la memoria di momenti felici reali o, forse i più, illusionati.
Memoria, fedeltà e morte si uniscono simbolicamente nella tomba, fatta scrigno, “tempio inviolabile” di un “estremo atto d’amore”: le cose più care, perché non si perdano, vengono “seppellite” nella memoria; non più vissute nell’ambito del reale, vivono nell’immaginario.

Nel caso ricordato, la ragazza, figlia di un diplomatico che, per motivi istituzionali, aveva dovuto trasferire svariate volte la famiglia da una località ad un’altra, si era trovata a non riuscire più ad avere amici o compagni di gioco. Ad ogni cambiamento di residenza aveva dovuto crearsi un giro di amicizie nuovo e questo aveva portato a sentirsi perfida, malvagia, mostruosa: “. se mi vedessero come realmente sono scapperebbero immediatamente, inorriditi!”
È evidente che per lei la memoria dei momenti “felici” era diventato uno scrigno che teneva ben nascosto, nel quale si immergeva in solitudine, nella sua stanza, lontana da tutti (ricerca della solitudine).
La morte, simboleggiata dallo scrigno-tomba, non era più un pericolo, non generava paura, era diventata, anzi, “un’amica” perché permetteva una “.seconda vita, nella quale ri-vivevano le soddisfazioni personali, le amicizie, gli affetti”: tutto ciò di cui valeva la pena di vivere.
Per spiegare questo stato di “vita personale” disegnò se stessa come seduta in un cimitero, circondata dalle tombe e dai vermi derivanti dalla decomposizione dei corpi.

Questa immagine non generava paura, ribrezzo, senso di disagio, era anzi una visione familiare nella quale riconoscersi con una certa “tenerezza”.
Da qui derivava la sua rappresentazione della vita divisa in due:
– a destra un vuoto bianco, pieno di luce e di sole, ma vuoto di vita;
– a sinistra, uno spazio pieno di croci, di gufi, di rami che si stagliano contro la luce lunare e lei seduta tranquilla a “rimembrare”.

Automaticamente la realtà si divide, come nel disegno; l’ Io non può più realizzarsi nello spazio della luce, del giorno, della vita e si nasconde o rinasce nell’ombra, nelle tenebre, nel cimitero: nella solitudine.

 

La lettura psicodinamica di questa storia si riallaccia a profondi sensi di colpa e ad atteggiamenti autodistruttivi: l’ Io si vede “orrorizzante”, spaventoso e richiede “una maschera” per potersi presentare al mondo, per affrontare gli altri.
Nelle dinamiche di CAR. emergeva l’immagine di un Padre-Arcaico onnipotente, castrante e distruttore, dal quale non ci si può difendere, bisogna solo subirlo. Su queste immagini, quelle riguardanti il rapporto con il padre-reale erano sempre di opposizione, di aggressività, di un rifiuto che coinvolgeva anche la madre ed il fratello (seppure quest’ultimo risultava piuttosto lontano e poco significativo).
Di fronte a questo “odio”, i genitori non trovavano una maniera valida per guidare i loro comportamenti e diventavano “sempre più preoccupati per una figlia giudicata infantile”.
La personalità della ragazza era dominata da una profonda anaffettività che portava all’impossibilità di stringere legami con i coetanei o con i compagni di scuola. Si presentavano spesso crisi di ansia e atteggiamenti distruttivi.
Le esplosioni emotive sembravano il segno della lotta tra il Super-Io e l’Io e rappresentavano i tentativi di mettere fuori di sé gli “oggetti d’amore” diventati ormai cannibalici e distruttivi.
Il supremo atto d’amore conduceva inesorabilmente alla distruzione del soggetto, all’annichilimento della volontà, del desiderio, del pensiero, della presa di coscienza: l’oggetto d’amore introiettato si era trasformato in Super-Io- cannibalico.
La giovane CAR. per liberarsi da questo persecutore interno, già oggetto d’amore, non aveva altra via che quella di relegarlo nella “memoria del cimitero”. In questa dimensione, l’ Io continuava la sua lotta impari spostando drammaticamente fuori di sé gli oggetti d’amore che andavano formando: non poteva più amare in una dimensione paritetica e di valorizzazione scambievole; l’amore si trasformava in atto riparativo: una rinuncia di sé per aiutare gli altri.
E’ evidente che questa “elaborazione del trauma” si sviluppava:
1. attraverso processi inconsci;
2. senza utilizzare meccanismi razionali;
3. utilizzando meccanismi emotivo-istintivi perché quelli affettivi risultavano comunque compromessi.

Il tema sin qui analizzato, presuppone altre riflessioni che riguardano:
– la esiguità della vita,
– la solitudine,
– la morte come meccanismo tragico che permette l’immortalità.

A ) I versi della poesia di Quasimodo:

 

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera
.

(Salvatore Quasimodo: “Ed è subito sera”)

 

ci parlano della solitudine e della poca importanza della vita che, appena accesa, già sprofonda nell’oscurità. Il senso dell’esiguità del tempo che ci è destinato per vivere contrasta con l’immensità atemporale della notte: il giorno è un “baleno”, mentre la notte perdura nel tempo.
Proprio questo elemento è la riprova di quanto abbiamo scoperto, nei vissuti dei pazienti, come modello irrinunciabile e forse anche come memoria congenita o dell’inconscio o “memoria collettiva”. Evidentemente lo scambio della vita con la morte diventa un meccanismo logico ed estremamente efficace per sopportare il senso dell’ineluttabilità della morte e l’angoscia della fine e della perdita irreparabile.

B ) Il tema della solitudine risulta anch’esso particolarmente complesso e ricco di simbolismi e di valori. Se è vista superficialmente come frustrazione e dimensione anti-umana (l’uomo è un animale sociale), nell’ambito filosofico ed etico, invece, si trasforma in modalità riflessiva necessaria per la “crescita”.
Ritornano alla memoria gli esegeti, gli eremiti, i santi che si sottoponevano a periodi di solitudine per poter “abbracciare la luce”. La “andata al deserto”, di biblica memoria, è qualcosa di creativo, un “cammino esoterico” per raggiungere la “saggezza”. Anche le visioni o prove sataniche che riempiono il mondo della solitudine non fanno altro che mitizzare e glorificare lo “spirito umano”.
L’ascesa in solitudine di Mosè simboleggia, ancora una volta, la dimensione etico-trascendente della conquista da parte dell’uomo di quegli elementi che l’avvicinano a Dio. Le tavole della legge poi, si contrappongono misticamente e simbolicamente, al “vitello d’oro”, conquista della moltitudine, del sociale, della intelligenza che, senza la spiritualità della conquista ascetica, non raggiunge il “valore mistico della ragione”.
La conquista mitica della saggezza che ci avvicina a Dio, risulta come ricomposizione nella memoria di una presenza che si trasforma in “legge” capace di dare senso e significato al “libero arbitrio”.
La solitudine, come scelta personale, diventa l’atto riparativo che conduce alla vera unione e, ancora una volta, all’unione incorrompibile ed eterna con il proprio oggetto d’amore: l’immagine mitica del “seno-materno”.

C ) La morte tragica che “illumina d’immenso” è un classico della cultura e ci riporta immediatamente a figure come: lo scrittore novellista Cesare Pavese, il compositore Luigi Tenco, l’indimenticabile Ernest Miller Hemingway, il cantante Elvis Presley, la mitica Marilyn Monroe.
Per questi la morte suicida porta ad immortalare il Sè nel momento del massimo splendore o al culmine della carriera, prima dell’inizio del temuto declino.

La morte tragica e simbolica, nascosta dalla maschera che fa sparire i segni che individualizzano, sembra quasi la trasfigurazione di un mondo nascosto ed inconoscibile, preludio di una vita che non può essere più corrotta dalle esperienze, dalle relazioni, dai compromessi affettivi.
In questo senso l’amore si racchiude su se stesso perché nuovi amori o gli altri amori distruggerebbero l’amore unico ed imperituro per il proprio “oggetto interno”, per quel “buco nero” che “vorace” tutto ingoia: il mondo perde significato di fronte alla realtà che sta dall’altra parte, nella parte nascosta della retina di un “occhio” che guarda all’interno.

*****

Il tema della morte e della tomba richiede una profonda riflessione proprio per dare la possibilità di affrontare le problematiche clinico-terapeutiche che, per altro, si stanno presentando con una certa maggior frequenza.
Spesso si tende a far riferire questi argomenti a situazioni decisamente psicotiche, ma le nostre osservazioni ci spostano più sul versante borderline e, di conseguenza, sulle dinamiche relative allo sviluppo psico-affettivo.

Totem e società

La visione freudiana dello sviluppo psico-sessuale e, soprattutto, quella relativa al superamento dell’Edipo, porta a considerare la costituzione del Totem.
Nell’orda primitiva, dopo la morte rituale del padre che ha perso le prerogative della forza e del potere, la figura paterna viene salvata come “Padre Buono” e torna in forma di Totem costituendosi a “nucleo dell’organizzazione sociale”.
Questo modello ha il suo punto debole nella necessità della ripetizione che porta la costituzione di ogni nuovo livello di organizzazione socio-culturale in balia delle spinte istintive.
Il sistema non riesce ad uscire da una obbligatorietà che impedisce una vera crescita sia individuale (spinte egemoniche aggressive ed un continuo scontro sulla base delle relazioni di forza e di potere), sia nell’ordine sociale.
Per affrontare il tema in maniera positiva la psicoanalisi ha aperto il discorso portandolo ad affrontare argomentazioni diverse da quelle riferite al trauma che sono state il fulcro della struttura teorico-applicativa tradizionale ed ortodossa.
Mettersi a discutere sui temi dello sviluppo in termini di affettività oltre che di pura e semplice cognizione, ha portato a creare una diversità di scuole, basata su principi eterodossi che però hanno sempre più un loro diritto crescita epistemologica.
Non si può più parlare di una unica tecnica psicoanalitica proprio perché questa deve cambiare per poter affrontare la disabilità, il ritardo, il blocco, le complicanze legate alle diversità genetiche, socio-culturali e, soprattutto, quelle derivate dai processi dello sviluppo psico-mentale (psico-affettivo e psico-cognitivo).
Eterodossa non significa quindi più deviazione, ma solamente adeguamento ai bisogni e a quella che viene chiamata “diversa abilità”.
Consideriamo anche l’estensione teorico-pratica per integrare il dispositivo terapeutico verso la famiglia, verso il gruppo, la coppia, le istituzioni, ecc., sviluppando quindi una molteplicità di tecniche necessaria per l’adeguamento al nuovo, costringendo anche l’ortodosso ad una scelta trasformativa di fronte a ciò che viene segnalato come inadeguato e/o superato.
È il contesto socio-culturale che porta a sopradeterminare le scelte, a condurre la ricerca sulla strada del “possibile” perché anche la psicoanalisi inesorabilmente deve tenere conto dei cambiamenti indotti dalla cultura, dalla tecnologia, dalle modalità di vita, dall’impatto con la casualità e con la complessità.
Partendo da queste considerazioni, abbiamo cercato altre letture che apportassero chiarimenti sul tema della tomba e del Totem.

Il caso di CAR. che vede nella tomba un luogo-scrigno nel quale si osserva una trasformazione, ci è sembrato un buono spunto.
La dissoluzione del corpo (i vermi dei disegni di CAR.) porta la tomba ad essere un luogo vuoto che, quindi, può riempirsi di sentimenti, di vissuti, di affetti.
È la tomba vuota che sostituisce nell’immaginario il Totem e questo non è sicuramente di poco conto.

-Il Totem rappresenta l’elaborazione simbolica del valore dell’Altro-ex-capo-branco per farlo diventare nell’immaginario come “legge” ed anche come “soggetto del sacrificio” che così diventa “oggetto d’amore”.
-Alfredo Eidelsztein fa delle interessanti riflessioni sull’assassinio mitico di Mosè (il Padre) e di Gesù (il Figlio) che come “offerta” vengono “consumati” su di un altare, per diventare oggetti dell’amore. Si tratta , in questo modo, della distruzione del mito per creare un continuo ritorno del pregresso. Proprio per questo Lacan ricorda che l’inconscio di ognuno rappresenta le rovine del sapere mitico dell’origine dell’umanità.
-Da queste considerazioni possiamo trarre l’idea che non c’è più bisogno del Totem se possiamo avere una tomba che è vuota proprio perché il Padre della Storia è stato “divorato” per acquisirne il potere. Il Totem diventa il “segno” della tomba vuota che però assume un valore nuovo e, per altro, diverso.
-La tomba vuota può diventare lo “scrigno dei ricordi” solo se vuota, ma anche il ricettacolo dei vissuti del soggetto o del gruppo. Il Totem inneggia al valore di chi non c’è più; la tomba vuota il valore affettivo di tutto ciò che si è vissuto insieme. Il Totem è una legge ed una imposizione, la tomba vuota è un ricordo che dà spessore timologico ad un rapporto, alle esperienze, alle epopee che “ci hanno tenuti insieme”.
-Per tutto questo non troviamo Totem che ricordino Mosé o Gesù, ma tombe vuote che liberano dal ritorno del represso sino a quando la civiltà occidentale e cristiana porterà a ridare senso alla “tomba piena” del suo “oggetto naturale” perché quella vuota sarà il “sepolcro del Dio salito al Cielo”.
-Questo nuovo oggetto del ricordo sarà il momento culmine della nostra civiltà come lo ricorda Ugo Foscolo che dà al morto il “senso dell’essere ricordato”: “Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha nell’urna”.

 

Commento e Conclusioni

La solitudine della tomba e la solitudine di fronte alla tomba sono esperienze ricche di pathos, di rincontro e di vicinanza. Questa vive nel ricordo e, come tale, rompe lo schema distruttivo e angosciante della perdita.La storia di CAR. ci insegna quanto sia importante la rievocazione catartica dell’unione, del vissuto insieme, delle epopee riconosciute come tali per creare quello che chiamiamo affetto.Il valore dell’Altro tocca la struttura sublime di vivere con l’Altro e per l’Altro, una dimensione non più diadica (che porterebbe alla disperazione per il distacco), ma triadica, nella quale il polo trascendente e validante è il ricordo.CAR. nella sua solitudine diadica guarda verso la terra, il suolo che si degenera, mentre ritrova il senso della vita guardando in alto, nel trascendere la solitudine per trovare l’amore.Il tema è interessante proprio perché è stato il fulcro della psicoterapia che si è giovata dell’analisi dei simboli e dei miti: Mortizia, Mnemonis, il cane, la maschera. Proprio quando la ragazza è riuscita a togliersela ha potuto riprendere a vivere, una vita di quotidianità, di vissuti, di ricerca del proprio sé.Liberare il sé dall’ombra della perdita (che era una colpa perché sostenuta dall’orrorizzare l’altro) è servito a dare valore:
– a se stessa, nel cercare esperienze nuove ed il senso profondo di volersi bene, di trovare il proprio corpo ricco di esperienze, di piaceri, di sensazioni, di vitalità;
– agli altri, compagni di gruppo, di scuola, di “compagnia”;
– ai genitori che finalmente hanno accettato le sue scelte e le sue determinazioni.
CAR. dopo due anni di psicoterapia ha terminato gli studi medi superiori, ha intrapreso gli studi para-universitari, ha cominciato la sua attività professionale, ha trovato un amore subito sostituito (con sicurezza) da un altro più maturo (il primo era asfissiante per bisogni simbiotici), ha creato una immagine di sé di tutto rispetto, di esempio, ma, soprattutto, di felicità e di autosoddisfazione.
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Romeo Lucioni

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