L’istituto della Mediazione viene erroneamente fatto risalire a tempi piuttosto recenti ma, in realtà, in alcune parti del Mondo si ricorreva ad esso per risolvere numerose tipologie di controversie già cinque secoli prima di Cristo. Il termine Mediazione deriva dal latino mediatio-onis, che letteralmente tradotto vuol dire “stare nel mezzo”: quindi la mediazione consiste proprio in questo, nel farsi assistere in una controversia da uno o più soggetti terzi e imparziali, mantenendo un atteggiamento collaborativo volto a ricercare la soluzione più accettabile per le parti.
Tra le varie tipologie di Mediazione, ad oggi assume particolare rilievo la Mediazione Familiare, ancor più alla luce delle modifiche introdotte dalla recente Riforma Cartabia (L. n.206/2021).
L’intervento di Mediazione Familiare è un percorso volto a riorganizzare le relazioni familiari in vista o a seguito di una separazione/divorzio, dove i genitori, alle prese con una situazione di crisi, riescono a parlarsi e comunicare in un contesto strutturato per individuare soluzioni e intese condivise nell’interesse proprio e dei loro figli con l’aiuto di un professionista terzo, qualificato, neutrale e imparziale, nella garanzia del segreto professionale.
Ma c’è un lato della crisi/conflitto che spesso non viene preso in considerazione, ed è quello legato alle emozioni. Le emozioni nel conflitto sono spesso sottovalutate nonostante giochino un ruolo tutt’altro che secondario: sono determinanti tanto nell’attivare come nel superare i conflitti. Queste, non sono di per sé giuste o errate, buone o cattive ma sono semplicemente segnali importanti che aiutano a conoscere meglio se stessi e gli altri e ad orientarsi nella vita. Divenire consapevoli del proprio stato emotivo aiuta ad acquisire la guida dei propri comportamenti e parole evitando di essere in balia di emozioni distruttive. Per inquadrare meglio la questione, è necessario partire dalla formazione della coppia. Il passaggio da individuo a coppia si prefigura come uno degli eventi che la società si aspetta avvenga, prima o poi, nella vita di un individuo, quasi a definirlo come una delle transizioni chiave prevedibili. La coppia non solo è l’unione di partner, ma porta con se un bagaglio di culture e di reti formali ed informali nel quale deve trovare la propria identità. Se questa ricerca fallisce per i più svariati motivi ecco la nascita della crisi. La consapevolezza della disfunzionalità della relazione è accompagnata da uno stato di disagio, pesantezza del clima relazionale e dalla sensazione di impotenza. Da entrambe le parti la crisi viene vissuta come un qualcosa che non è stato scelto, ma sono stati costretti a vivere dalle circostanze o dalla condotta dell’altra parte. Le persone si sentono portate e costrette ad agire in modalità che ritengono inadeguate. Questo perché si vive il conflitto come una reazione alla condotta altrui e non come se fosse un’azione scaturita dalla persona stessa. In quel momento si pensa a ciò che si sta perdendo e non a come la relazione stava evolvendo. Viene percepito un forte senso di impotenza, frustrazione che può derivare da una mancata affermazione di un diritto, dalla mancata realizzazione di un interesse o di uno scopo più o meno importante, ci si sente portate e perfino costrette ad agire in modi che si ritengono inadeguati, e per cui si arriva addirittura a provare un senso di repulsione. L’esperienza conflittuale produce alienazione: la consapevolezza della propria forza interiore si allontana e così il senso di connessione con gli altri. Solitamente nei conflitti c’è la tendenza a considerare poco il peso delle emozioni. Questo è un atteggiamento errato considerando quanto la nostra componente irrazionale sia presente nelle situazioni conflittuali. Infatti, non è la stessa cosa quando ci si trova in situazioni “normali”, lucidi e sereni, dove i nostri comportamenti sono governati in modo equilibrato sia dalla “testa” (ragione) sia dalla “pancia” (emozioni, sentimenti). Prendere, quindi, in considerazione le emozioni è utile al fine di avere informazioni più complete che facilitino la comprensione e la risoluzione del conflitto. La domanda a questo punto da porsi è: gli attori del conflitto da che cosa sono spinti per andare così “fuori controllo”?
Tutto è innescato dall’amigdala, la parte centrale del sistema limbico, il centro delle emozioni e quartier generale delle azioni a risposta rapida. Quando l’amigdala considera uno stimolo come pericoloso scatta l’allarme generale inviando stimoli al cervello che risponde con l’attacco, il darsi alla fuga o restare immobili. L’esperienza del conflitto compromette la capacità di impiegare al meglio la nostra intelligenza, in particolare la cosiddetta intelligenza emotiva. Nella dimensione conflittuale, l’intelligenza emotiva non viene ridimensionata, ma viene ad essere condizionata in uno specifico spazio occupato dalla persona con cui si è in conflitto. La capacità empatica verso se stessi e verso gli altri viene inficiata dal conflitto che diventa controllore selettivo delle emozioni provate durante l’esperienza conflittuale. All’interno di questa cornice dove le emozioni prendono il sopravvento sull’aspetto razionale, il partner cessa di essere una persona con la quale si dialoga divenendo un acerrimo nemico. Da soggetto umano, dotato di pensieri, interessi, sensibilità e sentimenti, diventa qualcosa di assai poco concreto, l’entità che ci infligge sofferenze evitabili, ingiustificate e crudeli. Gli adulti che si separano spesso si chiedono perché le loro emozioni siano così incostanti, se i loro sentimenti siano normali. Sono attraversati dal senso di colpa nei confronti dei figli per il fatto di non riuscire a garantire loro un ambiente familiare stabile a causa della rottura della relazione, dalle preoccupazioni riguardanti il loro possibile sperimentare vissuti di abbandono, dai timori e dalle critiche da parte della famiglia allargata per il fallimento del progetto di coppia. I genitori che si separano non possono appoggiarsi nella sofferenza l’uno all’altro e non possono/devono nemmeno affliggersi troppo con i figli che hanno bisogno di ricevere supporto da loro genitori e non di darglielo. È importante considerare che spesso non riescono a condividere il dolore con gli amici e la propria famiglia. Ancor prima di divenire una relazione conflittuale, la relazione instaurata da una coppia è, dunque, prima di tutto affettiva, caratterizzata da vissuti emotivi intensi. È necessario trovare una sede dove i partners possano dar voce alle proprie emozioni e riprendere la comunicazione ormai interrotta. La stanza della mediazione familiare è un luogo in grado di accogliere l’aspetto emotivo ed intimo che la coppia trattiene dentro di sé, di ripristinare le libertà che il sequestro emozionale ha sottratto alle persone coinvolte nel conflitto e di fornire uno spazio dialogico costruttivo. È proprio all’interno di un simile contesto che la mediazione può intervenire al fine di dare e trovare un senso al conflitto. Vivere un’esperienza conflittuale spinge gli individui a riesaminare le proprie posizioni, a chiarire e riconsiderare le proprie necessità in modo tale da riuscire a guardare con chiarezza ai propri valori fondamentali. Tutto questo è possibile solo se non si sceglie di avere una totale chiusura verso l’altro. La mediazione è quel processo finalizzato a restituire alla coppia il potere di gestire il conflitto, facendo riemergere quelle capacità che sono state sopraffatte dalla rabbia e dal rancore, che hanno interrotto i canali comunicativi. La mediazione diventa uno strumento per valorizzare le componenti positive e creare un ponte di comunicazione, evitando la cronicizzazione delle situazioni di conflitto e la delega a soggetti terzi dell’esito degli accordi. La mediazione aiuta a superare il senso di alienazione da se stessi e dagli altri e a riscoprirsi interconnessi.