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Psicoterapia e Psicoanalisi

Il Club come forma di prevenzione e protezione sociale

Esordi dell’approccio ecologico-sociale
Nel 1954 all’interno della Scuola Alcologica di Zagabria, l’approccio medico-psico-sociale proposto da Hudolin, psichiatra e direttore della Clinica di Neurologia, Psichiatria, Alcologia dell’ospedale di Zagabria, inseriva il problema dell’alcolismo all’interno del programma di “salute sociale”. L’intento era quello di non concentrarsi più solamente sull’alcolista, ma prendere in considerazione anche la famiglia coinvolta nella problematica e il contesto nel quale entrambi erano inseriti. Secondo Hudolin il trattamento andava esteso a tutta la comunità locale poiché era da qui che prendeva avvio la problematica, data l’elevata sponsorizzazione e accettazione nei confronti dell’alcol, pertanto doveva essere sensibilizzata a prendersi la responsabilità del malessere creato.
L’alcolismo era inizialmente considerato un vizio, conseguente ad una libera volontà di ubriacarsi per cui non ci si preoccupava di fornire delle cure, piuttosto sanzioni e rifiuto. Solo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dietro l’influenza dell’OMS, l’alcolismo ottiene lo “status” di malattia e negli ospedali vengono istituiti reparti apposta per il ricovero, cure adeguate, specializzazioni e ricerche nel campo. Gli alcolisti in questo modo non venivano più stigmatizzati, ottenevano il diritto alla protezione della loro salute, alla previdenza sociale e sanitaria.
Ben presto la medicalizzazione dell’alcolismo mostrò i suoi limiti poiché forniva una giustificazione al comportamento dell’alcolista che così si deresponsabilizzava e utilizzava le cure solo per ristabilirsi, riprendere a bere ed evitare di impegnarsi a cambiare la sua dipendenza.
Secondo l’approccio medico-psico-sociale invece diventava necessario avvalersi del contributo medico non solo per la ristabilizzazione dei processi psicofisici, ma anche per indirizzare l’alcolista verso un programma rieducativo di crescita personale. Dunque veniva richiesta ai medici una maggiore informazione sulla necessità della partecipazione attiva dell’alcolista al programma di trattamento. Tale approccio vedeva nel lavoro integrato tra le strutture sanitarie e quelle territoriali extraistituzionali uno strumento indispensabile affinché l’alcolista uscito dall’ospedale potesse dedicarsi alla sua salute evitando così di richiedere ulteriori ricoveri in seguito.
Nascita dei Club degli Alcolisti in Trattamento
I Club degli Alcolisti in Trattamento (CAT) nacquero in concomitanza al movimento rivoluzionario nella psichiatria degli anni ’50, che con il metodo delle “porte aperte in psichiatria”, metteva in primo piano la comunità terapeutica, il lavoro in piccoli gruppi, l’approccio familiare e la terapia.
Tale metodologia fu adottata anche da Hudolin nel Reparto Neuropsichiatrico dell’ospedale di Zagabria, dal momento che un’alta percentuale di ricoveri psichiatrici era rappresentata da casi di alcolismo che dopo aver ottenuto le cure necessarie ed essere stata imposta la sospensione del bere, venivano dimessi. Tale approccio si rivelava fallimentare visto che le stesse persone tornavano in cura non molto tempo dopo. Hudolin propose agli alcolisti un modo nuovo di essere curati inserendoli all’interno di una comunità terapeutica e costituendo piccoli gruppi formati dagli alcolisti, dalle loro famiglie e da un terapeuta. C’era così la possibilità di condividere le stesse difficoltà avvalendosi della reciprocità e sviluppare un cammino personale di responsabilizzazione della propria salute, riscoprendo in se stessi le risorse.
Nel 1964 in Croazia, grazie all’attività di Hudolin, venne inaugurato il Reparto dell’alcologia per il ricovero degli alcolisti, il day-hospital, l’ospedale del fine settimana, il servizio di disintossicazione, l’ambulatorio alcologico e il centro per la studio e la lotta contro l’alcolismo e altre dipendenze. Sempre nel 1964 venne inaugurato il primo Club degli Alcolisti in Trattamento che in breve si diffusero nei vari quartieri di Zagabria e in altre parti della Croazia. Al Reparto di alcologia intanto arrivavano persone dalle varie repubbliche jugoslave: Bosnia ed Erzegovina, Serbia, Slovenia, Montenegro e Macedonia e all’inizio del 1991 a Zagabria erano attivi circa trecento CAT, in Croazia circa mille, in tutta la Jugoslavia circa duemila.
I CAT cominciarono a diffondersi anche nelle fabbriche e imprese: nel 1984 ne erano attivi 700. Ma questa proliferazione è stata interrotta dalla guerra nella ex-Jugoslavia che ha provocato un totale sconvolgimento del tessuto socio-demografico oltre alle svariate tragedie personali, favorendo il diffondersi di disturbi psichici, l’uso massiccio di farmaci psicoattivi e di bevande alcoliche. Molti CAT hanno interrotto la loro attività e alla fine della guerra ne sono sopravvissuti in Croazia 140, poiché, come scriveva Hudolin, senza pace non può esistere salute e tutela della stessa.
Lo sviluppo dei servizi extraospedalieri interessò molti professionisti anche all’estero, cominciarono collaborazioni con organizzazioni internazionali che si occupavano di problemi legati al consumo delle bevande alcoliche ed insigni professionisti come Franco Basaglia direttore dell’Ospedale Psichiatrico di Gorizia, Joshua Bierer padre della psichiatria sociale che a Londra aveva istituito i Club sociali per pazienti psichici, William Gray che lavorava all’applicazione pratica della Teoria generale dei sistemi, introdotta da von Bertalanffy, anche lui interessatosi a tale metodologia.
In Italia il primo Club nacque nel 1979 a Trieste, grazie alla famiglia Pitacco che si era recata da Hudolin per problemi alcolcorrelati e da lui stimolata a diffondere la metodologia anche nel loro paese.
Dal 1985 in seguito al Congresso di Psichiatria sociale dei Paesi del Mediterraneo, vengono messi in discussione concetti quali dipendenza, bere moderato e alcolismo ed emerge la proposta di non considerare più l’alcolismo come una malattia ma come uno stile di vita che può essere cambiato a patto di un grosso lavoro su se stessi e con i propri familiari.
Club degli Alcolisti in Trattamento
Il Club degli Alcolisti in Trattamento è una comunità multifamiliare, inserito nella comunità locale, autogestito e autonomo, con lo scopo di cambiare il comportamento e lo stile di vita dell’alcolista e della famiglia, promovendo anche un cambiamento della cultura sanitaria della comunità.
Rappresenta dunque una forma di prevenzione terziaria poiché tenta di evitare peggioramenti e ricadute nelle persone con forti problemi alcolcorrelati; secondaria poiché può aiutare gli individui, tempestivamente individuati, a fermare o rallentare la problematica emergente; primaria poiché può stimolare nell’ambiente circostante “sano” un ripensamento sul valore culturale del bere ed una effettiva partecipazione dei servizi sanitari, delle organizzazioni pubbliche e professionali, dell’iniziativa dei cittadini alla protezione e promozione della salute. Le ricerche dimostrano che se l’1% degli abitanti è coinvolto nelle attività dei Club, è presente un cambiamento del comportamento alcolico della comunità.
Ai Club degli Alcolisti in Trattamento partecipano persone di differenti età, sesso, educazione, professione, comuni a tutti sono i problemi alcol-correlati, non entrano persone che non siano coinvolte in questo senso. Il Club lavora secondo un approccio sistemico, inquadra dunque il problema all’interno del sistema più significativo per la persona: la famiglia e considera alcolista tutto il nucleo familiare. Viene chiesto a tutti i familiari di partecipare, soprattutto quando non c’è una situazione di crisi. Capita spesso che l’alcolista voglia frequentare da solo per evitare di confrontarsi con loro e forse per il desiderio di non cambiare niente e riprendere un bere moderato superata la fase iniziale. Altre volte sono i familiari che non vogliono partecipare poiché non si considerano alcolisti e non sentono il problema come loro. Ai membri della famiglia viene richiesta l’astinenza totale e l’eliminazione dell’alcol da casa, dunque una modifica anche del loro stile di vita, che può indurli a difendere il diritto al bere moderato. È dunque importante formazione e aggiornamento per sgretolare molte resistenze di chi non si sente alcolista. Quando è il familiare a chiedere aiuto al Club e l’alcolista non è minimamente interessato, il Club lo accoglie perché fa parte di un sistema familiare interessato da problemi alcol-correlati, sta chiedendo aiuto e c’è la speranza che il cambiamento del suo comportamento possa stimolare tale necessità anche nell’alcolista. Se i familiari non sono rintracciabili o non vogliono prendere parte alle sedute, il Club deve occuparsi di rinvenire una famiglia sostitutiva (un amico o chi dia disponibilità) che possa fornire effettivo sostegno.
Il Club si propone di stimolare il cambiamento del comportamento dell’alcolista e della famiglia, partendo dal presupposto che il consumo e l’abuso di alcolici sono una scelta del singolo, pertanto anche il voler uscire dalla condizione di dipendenza deve essere una scelta. È opportuno che il Club sia attivo nella zona in cui i membri vivono, proprio per incoraggiare il reinserimento nel corpo sociale delle persone che si sono emarginate e stimolare il coinvolgimento della comunità locale. I Club si mantengono indipendenti da organizzazioni private o pubbliche e tale autonomia rappresenta una condizione preliminare per la loro attività.
Gli incontri si svolgono una volta la settimana per un’ora e mezzo, ognuno parla delle sue esperienze e ascolta quelle degli altri, comunica le proprie emozioni e accoglie quelle degli altri in uno scambio continuo e reciproco. L’alcolista ha così la possibilità di sperimentare una nuova visione di sé e della realtà, comincia a divenire responsabile di se stesso e della propria salute, è incoraggiato a collaborare alla tutela e al miglioramento della salute fuori dal Club, riprendendo anche una posizione nella società.
Nel Club sono previste diverse funzioni: il presidente, che deve cambiare periodicamente e ufficializza il lavoro del Club nella comunità; il segretario, eletto per un anno. che si occupa dell’amministrazione, del registro e dei documenti del Club; l’economo che si occupa della parte finanziaria. Durante le riunioni serve un conduttore che formalmente conduce l’incontro di quella settimana, viene deciso all’inizio della seduta e tutti i membri devono svolgere tale ruolo, lo stesso vale per il verbalista che ha il compito di redigere il verbale della seduta.
Le regole dei Club sono:
1. Divisione dopo l’entrata della tredicesima famiglia, necessaria per garantire il funzionamento del Club: tutti i partecipanti devono poter parlare, ma se i membri sono troppo numerosi può diventare difficile. La divisione può spaventare i membri che hanno sviluppato un legame di amicizia, è opportuno che il servitore-insegnante non alimenti tali paure. L’inserimento di nuove famiglie permette ai “vecchi” di mettersi di nuovo in discussione, di confrontarsi con una parte di mondo fuori che entra nel Club. In più è un’occasione per rinsaldare i rapporti di amicizia che non devono esistere limitatamente al Club, ma maturare soprattutto fuori, obiettivo del Club è infatti anche quello di far crescere la persona nella comunità di cui fa parte rieducandolo alla rete sociale.
2. Puntualità dell’inizio della seduta: indice di rispetto e di interessamento la seduta inizia all’ora prevista, tale pratica favorisce la rieducazione alle regole perse dall’alcolista
3. Regolarità della presenza alle sedute, fondamentale affinché le interazioni del Club possano produrre un cambiamento. Se un membro non può partecipare è richiesto che informi il Club e motivi l’assenza.
4. Divieto di fumare durante la seduta poiché l’approccio del Club è drug free
5. Formazione della famiglia attraverso la partecipazione a cicli di incontri sui problemi alcol-correlati e sull’approccio ecologico-sociale, tenuti dalle Scuole Alcologiche Territoriali, ossia scuole organizzate dai servitori-insegnati. L’aggiornamento della famiglia dovrebbe avvenire ogni due anni.
6. Non portare fuori dal Club le informazioni personali dei membri come forma di tutela e di rispetto del materiale delicato che viene esposto
Ricaduta
Si parla di Alcolisti in Trattamento poiché un alcolista non può mai definirsi “guarito”dalla sua dipendenza, ma deve considerare che la possibilità di una ricaduta e una ripresa a bere è sempre in agguato. Il Club nasce infatti dall’esigenza di fornire la forza e la motivazione necessarie a far fronte ogni giorno a tale eventualità.
Le ricadute si distinguono tra quelle umide, quando si riprende a bere e quelle secche quando vengono ripresi vecchi comportamenti. Nella prima fase dei Club si considerava sufficiente un anno di astinenza per definirsi guariti, poi si è passati a cinque anni, ad oggi è stato visto che anche dopo molti anni di astinenza possono avvenire delle ricadute. È stata l’esperienza stessa di molte persone che sono tornate a bere dopo del tempo, ha far maturare la convinzione che l’autoprotezione è un diritto-dovere della persona da perseguire per l’intera vita. Se il Club diviene un luogo dove le persone hanno piacere e voglia di incontrarsi e condividere esperienze, allora il Club entra a far parte di un nuovo stile di vita, di un nuovo modo di relazionarsi che risveglia le parti positive della dimensione spirituale delle persone, consolidando un continuo cambiamento. Dunque non c’è necessità di porre limiti di tempo a tale partecipazione.
Come molti alcolisti sostengono non è difficile smettere di bere, quanto riuscire a mantenere nel tempo tale proposito, soprattutto una volta venuto meno l’entusiasmo iniziale o la paura seguita a qualche grave conseguenza del bere (coma, attacco epilettico, amnesie alcoliche). Una ricaduta comporta all’alcolista un senso di frustrazione e scoraggiamento e anche il Club può provare sentimenti di aggressività e delusione nei confronti di un membro che ha “fallito”e col suo atteggiamento di discredito aumentare la mortificazione. Pertanto il Club ha il compito di superare tale posizione colpevolizzante e guardare alla ricaduta non come un fallimento, ma come momento ulteriore di crescita nella direzione della sobrietà. La persona e tutto il Club hanno a disposizione questo momento di riflessione per responsabilizzarsi maggiormente e rafforzarsi, poiché certi desideri e bisogni possono risvegliarsi nel corso della vita dell’alcolista.
Molto più rischiosa è la ricaduta secca che implica una ripresa del vecchio stile di vita, di vecchi comportamenti, su cui il Club ha minore capacità di influenza, dal momento che implica un ripiegamento della persona su modalità che ha praticato a lungo e che le risultano meno faticose di un continuo cambiamento. La ricaduta comunque può interessare anche il Club stesso o il servitore-insegnante: possono capitare momenti di stanchezza e di perdita di motivazione che fanno stagnare il processo di crescita. È molto importante, dunque, non tralasciare la stretta relazione che ci può essere tra una di queste ricadute e quella più evidente dell’alcolista, in quanto tutti parte di una stessa comunità multifamiliare. Pertanto è necessario estendere la riflessione a tutti i membri e non focalizzarsi solo su chi è ricaduto.
Il servitore-insegnante
Il servitore-insegnante può essere un professionista così come un alcolista o un familiare, che in questo caso devono occuparsi di un Club diverso da quello che frequentano. Si tratta comunque di un volontario a cui è richiesta una formazione di base, conseguita attraverso un Corso di sensibilizzazione di cinquanta ore e un aggiornamento continuo.
I primi Club erano gestiti da un terapeuta, poi definito operatore e dal ’93 servitore-insegnante. In seguito alla considerazione che il bere è uno stile di vita, si è preferito questo termine per dar risalto ad una figura che si mette al servizio degli altri sulla base di una solidarietà reciproca, per cui tutti sono responsabili di tutti e la cui funzione non è quella di curare ma di servire le famiglie. Spesso è emersa la critica che l’assenza nei Club di metodologie più terapeutiche non permettesse di aiutare adeguatamente quelle famiglie con problemi complessi. Ma il Club non ha finalità strettamente terapeutiche, per cui esistono i luoghi preposti, quanto creare una rete di sostegno e di presenze costanti intorno alla solitudine di persone, che hanno bisogno di sentirsi circondate e accompagnate da altre persone capaci di comprensione e di supporto nel faticoso cammino dell’astinenza.
Le capacità richieste al servitore sono empatia, ascolto, non giudizio, apertura al contatto umano, ma oltre a queste è necessario un costante aggiornamento così da catalizzare il cambiamento delle famiglie. Il servitore-insegnante deve seguire corsi di formazione, seminari, convegni sui problemi alcol-correlati, leggere e scrivere e può accedere più tardi alla Scuola Nazionale di Perfezionamento in Alcologia per svolgere a sua volta la formazione nelle Scuole Alcologiche Territoriali (per questo è chiamato insegnante).
Il servitore partecipa regolarmente agli incontri settimanali, non fa il verbale, né conduce la discussione, se per qualche motivo è assente il Club funziona regolarmente. I suoi compiti sono di stimolare la comunicazione e l’interazione tra i membri del Club, in particolare per chi ha maggiori difficoltà, aiuta i membri a comprendere i loro problemi, fa attenzione che nessuno venga accusato e non siano dati giudizi, che ognuno parli della sua esperienza personale e la discussione non superi l’ora e mezzo pattuita. Ha il dovere di scoraggiare le tendenze del Club a richiudersi in se stesso e distaccarsi dall’esterno, incentiva lo sviluppo di relazioni di solidarietà e amicizia. In più si occupa di condurre un primo colloquio di 10/20 minuti con la nuova famiglia, di assicurarsi che non siano presenti più del 20%di membri con problemi complessi, di partecipare alle riunioni mensili dei servitori , di insegnare nelle Scuole Alcologiche Territoriali.
Una famiglia presenta problemi complessi quando oltre all’alcol sussistono problematiche di droga, illegalità, carcere, prostituzione, problemi psichici o somatici. Ai membri è richiesto in questo caso un tipo di interazione e di legame quantitativamente e qualitativamente maggiori, attraverso un sostegno più forte che stimoli tali famiglie a riscoprire le loro doti positive. Pertanto il numero di membri con problemi complessi deve essere limitato per evitare l’impossibilità del Club di lavorare.
La scelta del servitore non dipende da una selezione, ma dalla disponibilità che la persona dà a partecipare ai Club, in seguito al Corso di sensibilizzazione di 50 ore. La motivazione dunque ad occuparsi di un Club implica la volontà anche di un proprio cambiamento personale, non tanto inteso come smettere o meno di bere, quanto di confrontarsi con una crisi del proprio sistema di valori, a cui è difficile non andare incontro. È opportuno che il servitore stia nel Club come tale e non per il ruolo che riveste, sia che lavori nel settore socio sanitario o che sia un professionista: i ruoli vanno mantenuti ben distinti per salvaguardare l’autonomia e libertà del Club. Può essere molto preziosa invece la sua funzione di collegamento col mondo esterno, con i servizi pubblici e privati.
Approccio ecologico-sociale nell’alcolismo
L’approccio ecologico-sociale parte dal presupposto che la lotta all’alcolismo richieda una presa di consapevolezza da parte di tutti i soggetti interessati: alcolista, famiglie, comunità, su cosa realmente voglia dire un atteggiamento di accettazione ed esaltazione dell’alcol, che releghi la problematica dell’alcolismo solo ad una parte malata della popolazione. L’approccio ecologico-sociale implica che l’alcolista, in quanto persona dotata di potenzialità, abbia il diritto e dovere di prendersi a cuore la sua salute e partecipi attivamente a tale riconquista. È data primaria importanza alla responsabilizzazione del singolo sul proprio benessere, senza più delegarlo a qualcuno che magicamente può risolverlo solo perché esperto. In questo modo la persona acquista la possibilità di scegliere, capacità che l’alcolista ha perso da tempo, se un nuovo stile di vita improntato alla sobrietà sia per lui più vantaggioso o meno, divenendo così protagonista della costruzione del suo nuovo comportamento.
All’alcolista e alla famiglia viene data la possibilità di conoscere gli aspetti medici e psicologici dei problemi alcol-correlati e di riflettere sul comportamento finora adottato. Formazione e aggiornamento sono due elementi ritenuti essenziali e strategici dell’approccio, dal momento che le ricerche vanno avanti e fanno emergere nuovi aspetti metodologici e nuovi risultati. Operatori, alcolisti, famiglie sono dunque chiamati ad impegnarsi nell’aggiornamento.
La Scuola Alcologica Territoriale viene pensata per favorire una diffusione e conoscenza approfondita della problematica dell’alcol e lo fa strutturandosi in tre moduli, preparati e condotti da servitori-insegnanti. Il primo modulo è rivolto a tutte le famiglie che entrano a far parte di un Club ed hanno bisogno di conoscere come funziona il percorso intrapreso ed acquisire informazioni sull’alcol e sulle sue conseguenze. Il secondo modulo è rivolto ancora alle famiglie in trattamento che frequentano il Club da tempo e si confrontano con nuove domande, nuove esigenze da risolvere. Mediamente è proposto un aggiornamento ogni due anni. Il terzo modulo invece è rivolto alla comunità locale, alle persone senza problemi legati all’alcol, in modo da far circolare una controinformazione sull’alcol, visti i luoghi comuni che lo proteggono e ne esaltano le caratteristiche positive e stimolare una maggior consapevolezza del proprio comportamento alcolico quotidiano.
L’approccio ecologico–sociale propone una visione circolare, per cui solo attraverso una continua e regolare sensibilizzazione della comunità, è possibile auspicare una nuova percezione della bevanda alcolica e del modo di trattarla e così supportare un effettivo cambiamento di stile di vita dell’alcolista, agevolando il suo proponimento invece di ostacolarlo. Il tentativo è quello di dar vita ad una rete di persone, con problemi alcol-correlati e non, dove ognuno si senta responsabile degli altri e i valori della solidarietà e del senso di appartenenza possano arginare quel disagio esistenziale a cui la nostra società fatica a porre rimedio, dato il dilagante individualismo che alimenta competizione e bisogni materiali. Va anche considerato lo scarso sostegno che l’idea di una responsabilità diffusa trova da parte dei bevitori moderati che difendono il loro diritto a bere, senza preoccuparsi di chi ha sviluppato una problematica di dipendenza.
Hudolin, con la sua metodologia, tenta di ridare dignità a tutta una parte di popolazione che rischia di rimanere emarginata o venire perseguita penalmente, secondo una logica che allontana dalla società civile chi con il suo carico di sofferenza mal denunciata, può deturparla. Come accade per malati psichiatrici o tossicodipendenti, si preferisce inserirli in luoghi dove possano rimanere ben chiusi ed essere resi inoffensivi. Non vengono alimentate politiche che agevolino un reale reinserimento e che tutelino le persone da quel disagio esistenziale che le sta distruggendo, allo stesso modo di come ci si preoccupa di tutelare la società minacciata dai loro comportamenti antisociali. La creazione dei Club dà la possibilità a gente comune, anche con scarsa istruzione, di riunirsi ed aiutarsi a crescere reciprocamente, non per uno spirito di carità, ma per un vantaggio diffuso dove “Io aiuto me stesso aiutando Te”. Questo permette di sviluppare quella spiritualità di cui l’uomo è fatto e che spesso viene annientata da problematiche autodistruttive, come le dipendenze, oltre che da una certa miopia della medicina. L’idea dello sviluppo di relazioni basate sull’autenticità, in senso rogersiano, possono davvero alimentare la vitalità, far sentire parte di qualcosa di più grande che amplia la visione, allarga le possibilità, così che il disagio esistenziale, una volta accolto, cullato compreso, può cominciare a dissolversi.

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Denise Pagano

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