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Relazioni

Verso la “ri-scoperta” delle competenze genitoriali

Fino alla metà del Novecento, la gravidanza era un evento piuttosto frequente nella vita di una donna, le famiglie erano nella maggioranza numerose e il parto avveniva all’interno delle mura domestiche, con l’aiuto della levatrice e dei membri della famiglia stessa.
Basta poco per renderci conto di quanto oggi tutto questo si sia modificato: crescono il numero di famiglie monoparentali e il parto ha luogo in ospedale, in un’attrezzata sala parto, al termine di una gravidanza scandita da regolari controlli medici. Oltre a questo, l’evento della nascita viene spesso rinviato negli anni alla ricerca “del momento giusto”, o viene comunque pianificato nel tempo: non è più quindi un avvenimento naturale ma è una scelta programmata da parte della coppia.
Cosa comporta dunque diventare genitori al giorno d’oggi? Se da una parte prendiamo atto dei numerosi benefici di cui ora godiamo grazie ai progressi ottenuti nel campo della medicina e in particolare dell’ostetricia, dall’altra possiamo vedere come i messaggi e le indicazioni che arrivano dai vari canali di informazione ai neo-genitori sono spesso numerosi e a volte contradditori. Inoltre, se sul piano della ricerca scientifica si sono compiuti consistenti passi avanti nella comprensione della psicologia evolutiva, talvolta questi sono stati frettolosamente interpretati e ridotti a pericolosi slogan propagandistici.
Questo dilagare di prescrizioni, di regole, possono infatti spaventare e disorientare i genitori, investiti da un senso di ansia e inadeguatezza, preoccupati di non essere all’altezza del compito che li aspetta.
Il rischio che si viene a creare è così quello di rimanere “estranei” al figlio, incapaci di stabilire una relazione intima con lui, distratti e condizionati dai messaggi che provengono dall’esterno che, anche se giusti, non devono imporsi come leggi o verità valide allo stesso modo per tutti.
È infatti compito dei genitori tenere bene presente l’individualità del proprio figlio, non dimenticandosi che sono proprio loro a possedere un canale preferenziale per comunicare con lui, per farlo sentire amato e protetto. E se è vero che non sempre questo canale viene trovato immediatamente, questo non deve scoraggiarli. Crescere un figlio è infatti un processo che si compie per la maggior parte attraverso tentativi ed errori.
Essere una madre e un padre competente è proprio questo: non significa essere perfetti, essere in grado di fare sempre la cosa giusta, ma implica anche il commettere degli sbagli e l’imparare a tollerare il senso di frustrazione che talvolta può derivarne.
La nascita di un figlio, soprattutto del primo, comporta quasi sempre molti cambiamenti all’interno della coppia ed è inevitabile che si verifichi un periodo di adattamento, alla ricerca di un nuovo equilibrio capace di includere un nuovo componente al suo interno.
Sarà così probabile che sul piano della relazione di coppia si verifichi un sostanziale riassetto dei rapporti all’interno del quale i neogenitori sono chiamati a riorganizzare i tempi e gli spazi fisici della propria vita, mentre a livello mentale devono rendersi in grado di accogliere il nuovo nato, trasformandosi così in una triade.
Mentre i genitori sono impegnati per cercare ed affermare la loro identità di famiglia, hanno bisogno di tempo per riflettere sul loro nuovo ruolo e, perché questo accada, necessitano anche di tranquillità e riservatezza da parte di chi sta loro vicino. E’ quindi auspicabile l’aiuto ed il sostegno da parte di parenti ed amici, ma sempre nel rispetto del nucleo familiare che si sta creando.
Le settimane che seguiranno il ritorno a casa dall’ospedale, saranno forse le più “delicate” e caratterizzate anche da eventi che metteranno alla prova i neogenitori che potranno vivere episodi di sconforto e insicurezza, dovuti soprattutto al non sentirsi in grado di comprendere prontamente le richieste del neonato.
La vita quotidiana con il bambino si basa infatti su interazioni ricorrenti, che si susseguono ora dopo ora. Tutti i gesti che impegnano i genitori con il figlio potranno così essere caratterizzati dalla preoccupazione di sbagliare ma, allo stesso modo, si distingueranno per la loro unicità e irripetibilità.
Detto tutto questo, educare un figlio, nonostante sia impegnativo, non deve apparirci come un compito impossibile: non esistendo un modo perfetto di essere genitori, questi non dovranno cercare di cambiare e di apparire diversi: è giusto infatti che il loro bambino li conosca per quelli che sono, con pregi e difetti. Oltre a questo, non dovranno sentirsi troppo in colpa se, talvolta, il tempo a loro disposizione per vederlo e stare con lui non sarà molto: fondamentale è concentrarsi sulla qualità del rapporto, comunicargli un costante interesse e farlo sentire comunque importante.
In una società che ci insegna spesso a delegare i problemi, in cui c’è stato uno spostamento verso forme sempre più impersonali di accudimento, la “sfida” per i neogenitori è ora quella di trovare un proprio modo di rapportarsi con il figlio e di comunicare con lui.
La relazione tra genitori e bambino richiede infatti che ciascun padre e madre trovi una personale modalità di entrare in contatto con il figlio, attraverso un assiduo scambio di emozioni e una continua opera di adattamento e negoziamento, dove talvolta sarà l’adulto a venire in contro al bambino mentre in altre occasioni sarà quest’ultimo a farlo.
Il legame che si crea fra genitore e figlio non si muove infatti in una sola direzione, ma farà in modo che entrambe le parti si influenzino a vicenda, “crescendo” insieme nella relazione.
Ci accorgiamo così che non solo i genitori sono impegnati nella ricerca di un rapporto con il figlio, ma che anche il bambino è intento nella medesima attività. Fin dall’inizio della sua vita, il neonato guarda infatti il volto delle persone che lo accudiscono, ascolta le loro voci e con il trascorrere dei giorni anche lui imparerà a capire il significato della loro espressione facciale, del tono di voce e dei gesti che abitualmente compiono.
A nostra volta, è quindi necessario che gli adulti si ritaglino “uno spazio di ascolto” per individuare le capacità comunicative del bambino, imparare a riconoscere i segnali e i messaggi che manda loro, in modo da essere pronti ad interagire con lui e a rispondere ai suoi bisogni, sia fisici che emotivi.
Per fare ciò i genitori potranno lasciarsi guidare dal suo comportamento, prestando attenzione alle sue reazioni, ai suoi movimenti, alle espressioni e agli sguardi, fidandosi di ciò che vedono e che soprattutto “sentono” nei riguardi del bambino. Per la maggior parte, infatti, i genitori sembrano non dare la giusta importanza alle preziose informazioni e intuizioni che possiedono sui figli e al fatto che sono gli osservatori privilegiati del loro sviluppo.
Concludendo, ritengo invece che sia giusto ricordare che sono loro le persone che, con il passare del tempo, attraverso le normali azioni quotidiane di accudimento e di gioco, acquisiranno fiducia nelle capacità di rapportarsi al bambino, impareranno a conoscerlo e a creare un rapporto di intimità con lui, all’interno del quale avranno l’opportunità di trasmettergli sicurezza e affetto come nessun altro sarebbe in grado di fare.

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