Siamo circondati da una quantità inenumerabile di cose e di oggetti, alcuni dei quali fanno talmente parte della nostra vita che la loro è diventata quasi un’assenza in presenza. Un uso sistematico di ciò che ci circonda rende i nostri gesti meccanici e ci fa assomigliare spesso e volentieri a delle macchine senzienti che hanno compiti specifici in altrettanto specifici momenti della giornata. È opportuno inoltre rendere evidente la funzione ludica e la funzione significante degli oggetti, cioè la capacità che hanno di “parlare”, di rendere evidente lo stile di vita e la personalità di chi li possiede: dietro ad una cosa infatti si nasconde la testimonianza del carattere, della collocazione economica dell’individuo e delle sue aspirazioni. Un oggetto inoltre conserva in sé la memoria del passato e rende palese – com’è chiaro – il suo stato, il suo essere presente, oltre che rappresentare al contempo proiezione su sé stesso del futuro, delle aspettative e dell’immaginario.
Alla radice dell’aspetto ludico dell’oggetto – sintetizzando – sta su tutti la riflessione del filosofo olandese Huizinga: il gioco, egli sostiene, è un complesso sistema culturale, ma «(…) ciò non significa che il gioco muta o si converte in cultura, ma piuttosto che la cultura, nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco; viene rappresentata in forme e stati d’animo lucidi: in tale “dualità-unità” di cultura e gioco, gioco è il fatto primario, oggettivo, percepibile, determinabile concretamente; mentre la cultura non è che la qualifica applicata dal nostro giudizio storico dato al caso». Il gioco, così come le cose, ha un ordine e ha delle regole, ha degli ambiti di applicazione ed è allo stesso tempo vincolo e libertà; nello stesso modo in cui l’uomo si arricchisce grazie ai rapporti con le cose, che riesce egli stesso a plasmare, possono generarsi d’altro canto momenti di tensione, durante i quali vengono messi alla prova la costanza e il vigore dell’individuo, che, una volta terminato il momento di conflittualità, ne esce assolutamente rafforzato e maggiormente consapevole.
Le cose si potrebbe dire che fungono da intermediarie tra noi e il mondo, costruiscono rapporti, seminano buoni o cattivi principi a seconda di come noi stessi intendiamo muoverle ed utilizzarle, come se si trattasse di armi a doppio taglio. È indicativo il fatto che in antichità gli uomini venissero spesso sepolti con annesso il corredo di cose, oggetti ed utensili che li avevano accompagnati in vita, lasciando che essi si rivestissero a quel punto di significati ben oltre la loro materialità ed inerenti piuttosto il loro carattere simbolico e spirituale.
Un oggetto non è mai solo utile, ma è infinite cose in una; sarebbe infatti impossibile elencare le molteplici potenzialità di un oggetto, basti pensare al fatto che offrire un particolare oggetto a qualcuno in una situazione pubblica (una sigaretta, una gomma da masticare, …) può permette l’innestarsi di relazioni personali precedentemente inesistenti, dando il via così ad una serie di episodi che diversamente non si sarebbero potuti scatenare. Certo, questo non è sicuro, ma la possibilità che ciò accada è sicuramente più elevata che non in assenza di “meta – oggetti”. È perciò che essi vengono definiti “pure strutture relazionali”.
Il rapporto corporeo e tattile che l’uomo ha con gli oggetti gli permette di modificare essi stessi, i quali tendono a costruirsi nel corso del contatto che si verifica tra i due “interlocutori”; questo diventa fondamentale nel momento in cui questi oggetti sono strumenti da indossare, da adoprare, in quanto così facendo essi ci circondano e ci avvolgono.
Il desiderio di entrare in contatto con le cose e di utilizzarle ha indotto l’uomo, che non si accontentava più di quanto la natura fino a quel momento era stata in grado di offrirgli, ad intervenire artificialmente, costruendo oggetti che in alcuni casi servissero a rimarcare i confini tra interno ed esterno e in altri servissero invece ad abbatterli a seconda delle esigenze.
L’interiorità acquisita con il tempo dagli oggetti deriva dal fatto di averli incorporati nelle nostre pratiche sociali e aver fatto in modo che essi diventassero specchio delle nostre capacità, delle nostre abitudini e dei nostri usi: si instaura così un rapporto duale in quanto interagendo con gli oggetti intorno a noi scopriamo molte cose di noi stessi, ma allo stesso tempo gli oggetti si arricchiscono di “sapori, odori, rumori, gesti, sensazioni” che ci appartengono.
A causa della spiccata socialità delle cose, si può parlare di due categorie di oggetti, oggetti valigia da una parte e oggetti frontiera dall’altra: i primi intesi come risultato dell’incontro tra mondi sociali diversi, i secondi posizionati all’intersezione di parecchi mondi sociali, ma rispondenti al contempo alle necessità di ciascun mondo (da precisare che mondo sociale ed organizzazione sono qui intesi come concetti diversi).
Per sottolineare ulteriormente il dualismo uomo/oggetto – anche se forse più che di dualismo, alla luce di quanto detto finora, sarebbe opportuno parlare di rapporto multiplo tra individuo, cose, gioco e cultura – , si potrebbe ricorrere a quella definizione di Le Corbusier secondo il quale le cose possono essere paragonate a delle membra umane: «ci si prospetta un’esistenza nuova e si tende a ritrovare la scala umana; questo significa ridefinire i bisogni umani, che sono pochi e comuni a tutti gli uomini, ossia standard: abbiamo bisogno di completare le nostre capacità naturali con elementi di rinforzo; gli oggetti-membra sono quindi oggetti-tipo rispondenti a bisogni-tipo»; c’è chi invece ha definito le cose la “carne del mondo”: tutte accezioni che rimandano di fatto alla pelle, al rapporto corporeo, alla tattilità, il senso che tra cinque più di ogni altro è privilegiato nella nostra quotidianità e nella nostra intimità casalinga e che meglio riesce a renderci le sensazioni e le emozioni causate dal rapporto con gli oggetti.
Questo vale sì per gli oggetti in cui il contatto è condizione essenziale di utilizzo, ma anche per un’altra ampia gamma di oggetti, che diventano tutti da toccare, ma anche da indossare, vista la sempre più diffusa proprietà di questi a trasformarsi in protesi, allungamenti artificiali delle potenzialità funzionali del corpo umano, seconde pelli che ci ricoprono piacevolmente.
Tutto questo è rimarcato ancor di più dalla crescente attenzione rivolta alla scelta dei materiali, in particolare quando si tratta di oggetti tecnologici, i quali affidano alle superfici le loro prestazioni e capacità espressive. L’assenza di spigoli, di bombature, l’uso dei materiali caldi, del colore e della trasparenza, sono elementi di un nuovo linguaggio che configura un oggetto che parla, un nuovo modo di vivere.
Si diffonde l’uso di plastiche morbide, di rivestimenti gommosi, piacevoli al tatto, che stimolano l’affettività con l’oggetto (per esempio anche la vibrazione di un cellulare è un modo tattile di comunicare); si privilegiano materiali gradevoli, caratterizzati magari dalla rotondità e dalla necessità di una manutenzione periodica in grado di aumentare l’affezione e la cura materna nei confronti dell’oggetto.
Con i nuovi materiali la leggerezza diventa un valore così come la trasparenza, testimoniato dall’uso preferito del vetro per confezionare; in generale comunque la possibilità di rendere visibili i contenuti va di pari passo con l’affidabilità del prodotto: più io riesco a vedere con esattezza ciò che compro, più sono responsabile e consapevole dell’acquisto che sto per compiere o ho compiuto.
La superficie dell’oggetto, la sua pelle, è la protagonista di oggi, è lì che l’informazione subisce un passaggio dall’interno dell’oggetto all’utente, il quale autonomamente sarà in grado di elaborare l’informazione e di far ricorso in modo più efficace possibile a ciò di cui dispone per poter utilizzare al meglio l’oggetto.
L’attenzione al contatto inoltre fa riferimento anche a quelli che sono aspetti ai quali sempre più si fa attenzione, il benessere e l’estetica, nell’ottica delle sempre più diffuse beauty farm, all’insegna della diffusione di uno stile di vita privilegiato, in cui i lussi non esistono, esiste solo la forte volontà di prendersi cura di sé stessi, a qualunque costo, senza avvertire il sacrificio, ma con estrema soddisfazione. Nell’ambito del centro termale infatti si assiste alla dicotomia “cura e prestazione termale” rivolto ad un paziente con necessità mediche, ma sempre di più si è affermato il prodotto “benessere”, ricercato da un cliente con esigenze legate al relax, al mantenimento della forma fisica e di un buono stato di salute.
Non a caso, oggi il fruitore di tali servizi è un cliente che risponde sempre più alla logica del mercato: sceglie il tipo di prestazioni in un’ottica di convenienza basata sul giusto rapporto qualità-prezzo, in relazione ovviamente alle sue specifiche esigenze fisiche.
E dunque, per riassumere, il mondo degli oggetti è diventato sempre più complesso per la moltiplicazione delle prestazioni e dei loro utilizzi possibili; e si avvia ad ulteriori e rapide trasformazioni.
Quello che si potrebbe chiamare nuovo oggetto non si usa solamente, come già abbiamo detto, ma si indossa, viene a far parte organica del nostro stesso corpo, della nostra mente. O noi di lui, dato che viene a costituire un nostro corpo-mente aggiunto.