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Scuola

Come si apprendono le lingue?

Nel dibattito degli ultimi decenni attorno alle metodologie d’insegnamento linguistico più efficaci si è affermata con sempre maggior decisione la centralità dell’allievo nel processo glottodidattico. L’insegnante può tuttavia compiere scelte metodologiche ed operative realmente efficaci solo dopo essere entrato in contatto con gli studenti ed averne scoperto i ritmi di apprendimento, le motivazioni, i bisogni linguistici e comunicativi, gli stili d’apprendimento. In questo senso la ricerca psicologica sulle propensioni intellettive durante il processo di apprendimento può offrire interessanti spunti per la glottodidattica.
In questo saggio cercheremo di mettere in luce ed integrare fra loro i recenti contributi della ricerca psicologica, proponendo così un modello multifattoriale dello stile d’apprendimento linguistico, ossia un modello che tenga in considerazione le diverse dimensioni caratterizzanti il modo di apprendere le lingue di ciascuno. Delineeremo poi il percorso glottodidattico che l’insegnante dovrebbe seguire per promuovere e rispettare realmente gli stili d’apprendimento dei suoi allievi.
 
1.   Una premessa terminologica: intelligenza, stile cognitivo, stile d’apprendimento
Sebbene si tenda spesso a considerarli sinonimi, i tre termini che danno il titolo a questo paragrafo fanno riferimento a tre nozioni distinte.
Per quanto concerne l’intelligenza, non esiste al momento una definizione universalmente riconosciuta e condivisa. Si tratta certamente di una capacità umana, legata all’esperienza e all’attivazione di processi cognitivi e metacognitivi per migliorare l’apprendimento e aumentare la capacità di adattamento all’ambiente (Cadamuro, 2004).
Ma se scendiamo nei dettagli questa nozione inizia ad essere fonte di dibattiti scientifici. Ad esempio, in cosa consiste esattamente l’intelligenza? Si tratta di una capacità limitata alle funzioni intellettive superiori, come il ragionamento, il linguaggio, i processi di memoria, la conoscenza, o include anche alcune funzioni inferiori, quali l’acuità sensoriale, la motivazione, l’autorealizzazione (Snyderman e Rothman, 1987)? Si tratta di un’unica abilità generale o, come sostengono le recenti teorie di Sternberg e Gardner, è un insieme di abilità distinte? Ancora irrisolte sono inoltre tutte le questioni relative alla misurabilità scientifica dell’intelligenza e alla sua natura, innata o determinata dall’ambiente.
Una cosa, però, è certa: quando si fa riferimento alla nozione di intelligenza in ambito sia psicologico sia educativo emerge la tendenza a formulare un giudizio di valore, ossia a considerare l’intelligenza di un allievo come fattore determinante per il suo successo scolastico.
Diametralmente opposta è la nozione di stile cognitivo, inteso come modalità preferenziale di organizzazione, elaborazione e gestione delle informazioni; è per certi versi il ponte tra intelligenza e personalità, in quanto ogni persona tende a sviluppare strategie cognitive particolari grazie alle quali poter sfruttare al massimo le proprie capacità intellettive.
La nozione di stile cognitivo sposta radicalmente l’attenzione da quanto si pensa (prospettiva psicometrica) a come si pensa (prospettiva cognitiva), a prescindere da qualsiasi giudizio di valore. Il fallimento infatti può essere dato dall’attivazione di un processo mentale inadeguato al compito, senza che ciò pregiudichi l’intelligenza di un allievo (Cadamuro, 2004).
Infine per stile d’apprendimento s’intende la tendenza personale a preferire un certo modo di apprendere e studiare. Si tratta di un concetto che include anche le modalità preferenziali di apprendimento delle lingue e coinvolge non solo aspetti cognitivi, ma anche ad esempio sociali, affettivi, caratteriali, culturali. Lo stile d’apprendimento è strettamente connesso allo stile cognitivo, e si configura per certi versi come un suo prolungamento, o meglio una sua applicazione in un contesto ben preciso, ossia quello formativo.
Nella letteratura specifica esistono numerose classificazioni degli stili d’apprendimento in generale, mentre molto limitati sono gli studi specifici per lo stile d’apprendimento linguistico. I modelli proposti (tra gli altri Kolb, 1974; Entwistle, 1990; Antonietti, 1998) si rivelano molto interessanti; tuttavia, ponendo ognuno l’accento solo su certi aspetti (psicologici, cognitivi, sociali), questi modelli risultano inevitabilmente parziali. Nel prossimo paragrafo cercheremo di mettere in luce i fattori che influiscono sullo stile d’apprendimento, proponendo una prospettiva di analisi multifattoriale, diversa dunque rispetto a quella classificatoria.
 
2.   Un modello multifattoriale dello stile d’apprendimento linguistico
La teoria qui proposta nasce dall’ipotesi che l’approccio di ognuno allo studio in generale, e all’apprendimento linguistico in particolare, sia il risultato dell’interazione tra numerosi fattori di diversa natura, i quali determinano modalità di apprendimento assolutamente originali, che rendono unica la persona. E’ infatti estremamente difficile, se non impossibile, trovare due persone che adottino esattamente le stesse strategie ed attivino gli stessi processi cognitivi, meta-cognitivi e mnemonici per apprendere. In questa ottica multifattoriale, non ha più senso cercare di classificare i diversi stili, delineando profili cognitivi rigidi e generali. Risulta invece più utile indagare a fondo i molteplici fattori che li determinano.

Con questo grafico possiamo rappresentare le principali dimensioni che crediamo influiscano sulla formazione di uno stile di apprendimento linguistico personale. Si tratta di fattori di natura diversa: percettivi, cognitivi, sociali, caratteriali, che saranno analizzati dettagliatamente nei prossimi paragrafi.
 
 
 
 
2.1.La dimensione percettiva
Prima ancora di attivare processi cognitivi per analizzare e poi memorizzare, è necessario raccogliere dati dall’ambiente, attraverso i canali sensoriali. Nell’apprendere una lingua generalmente si fa leva sui canali visivo e auditivo, ma vi sono persone, definite cinestetiche, che preferiscono apprendere una lingua attivando più modalità sensoriali simultaneamente. Ciò è particolarmente vero in alcune culture, come ad esempio presso alcune popolazioni africane, dove la lingua è associata a danze, movimenti, rituali, e dunque l’apprendimento linguistico avviene mediante l’attivazione di più modalità sensoriali.
Già a livello percettivo, inoltre, si riscontrano differenze anche relativamente alle modalità di raccolta delle informazioni dall’ambiente. Vi sono infatti persone che adottano strategie percettive globali, che consentono di confrontare l’input ricevuto con le conoscenze pregresse, lavorando sulle somiglianze e sulla semplificazione dell’input. Al contrario chi adotta strategie percettive analitiche confronta l’input con quanto già conosce, facendo leva però su differenze e contrasti (Miller, 1987).
In generale, in questa fase svolge un ruolo importante il contesto, l’ambiente dal quale si ricavano le informazioni. Alcune ricerche dimostrano che generalmente chi percepisce le informazioni in maniera globale risulta più dipendente dal campo, ossia più predisposto a considerare il contesto d’apprendimento come una risorsa (Cohen, 1973; Messick, 1986; Miller, 1987); nell’apprendere le lingue, uno studente di questo tipo, ad esempio, considererà la classe, l’insegnante, i compagni come validi sostegni, potrà essere ben disposto verso la cooperazione e l’interazione; nell’approccio alla lingua farà largo uso di strategie inferenziali e svilupperà la comprensione linguistica facendo leva su contesto, cotesto e paratesto. Al contrario, uno studente indipendente dal campo sarà in genere più analitico, potrebbe preferire il lavoro individuale e nell’apprendere una lingua probabilmente tenderà a soffermarsi sui dettagli e a concentrarsi sull’input strettamente linguistico.
 
2.2.La dimensione processuale
L’apprendimento avviene se una volta raccolte, le informazioni vengono processate, ossia se vengono attivate specifiche strategie cognitive per elaborare in maniera profonda il materiale raccolto. Pur non potendo conoscere e descrivere tutti processi mentali che si verificano in sede di apprendimento, è tuttavia possibile delineare alcune tendenze cognitive. Facendo riferimento agli studi di Antonietti (1998), si possono distinguere:

  • stili ideativi, in cui l’apprendimento è basato sulla ideazione di possibili percorsi a livello mentale, ossia sulla rappresentazione mentale di tutti i passi da compiere per svolgere un compito; chi adotta uno stile ideativo è più riflessivo e anche nell’apprendere le lingue è convinto che si impari capendo e riflettendo e che la teoria preceda la pratica;
  • stili sistematici, spesso connessi agli stili ideativi e basati sull’analisi sequenziale di ogni singola variabile, messa poi in relazione con le altre formando di volta in volta ipotesi diverse fino a raggiungere quella che ha più probabilità di essere corretta; chi apprende secondo lo stile sistematico crede che si possa imparare partendo dalla parte per poi arrivare al tutto; in sede di apprendimento linguistico, dunque, si soffermerà sui dettagli, potrà svolgere attività strutturate dove siano chiari i passi da compiere, e probabilmente in sede di produzione tenderà a privilegiare la correttezza formale piuttosto che l’efficacia pragmatica; 
  • stili esecutivi, in cui l’apprendimento è basato sull’azione, sul tentativo, sull’errore; uno studente esecutivo impara facendo e ama apprendere una lingua attraverso attività pratiche, dinamiche, cooperative, dove la lingua sia usata per scopi pragmatici e calata in un contesto concreto; è possibile che chi ha uno stile esecutivo incontri difficoltà nella riflessione metalinguistica, e che privilegi soprattutto l’efficacia comunicativa, facendo poca attenzione alla dimensione strettamente grammaticale;
  • stili intuitivi, che contrastano con quelli sistematici in quanto determinano un tipo di apprendimento basato sull’analisi simultanea di tutte le variabili, creando un’ipotesi di soluzione del compito, che poi si cerca di confermare o smentire; chi è intuitivo impara partendo dal tutto fino alla parte, e potrebbe essere tendenzialmente dipendente dal campo; perciò nell’approccio alla lingua farà leva sull’expectancy grammar (Oller, 1979), desumendo il maggior numero di dati possibile dal contesto, cotesto e paratesto.

Dopo essere state elaborate, le informazioni vengono rappresentate mentalmente e fissate nella memoria a lungo termine. In molti studi di psicologia cognitiva e dell’apprendimento (Bower, 1972; Santa, 1977) si è soliti distinguere tra:

  • rappresentazioni visuo-spaziali, ossia vere e proprie immagini mentali che attivano il sistema visivo e, dunque, le aree occipitale e temporale del cervello;
  • rappresentazioni lineari, grazie alle quali il materiale, soprattutto linguistico, da ricordare (visto o udito) viene organizzato in sequenze lineari, quando si apprendono pochi elementi, e gerarchiche, quando il numero degli elementi aumenta.

Nell’apprendere le lingue, dunque, alcuni studenti prediligono le immagini mentali, e dunque tendono a rappresentarsi visivamente parole ed espressioni associandole ad oggetti, azioni o situazioni concrete; altri allievi, invece, memorizzano chunks linguistici a partire dalle loro caratteristiche fonetiche o grafiche. Sebbene non sia del tutto certo a livello scientifico, è probabile che chi predilige le rappresentazioni visuo-spaziali abbia sviluppato strategie di memorizzazione legate alla memoria episodica, mentre chi preferisce la rappresentazioni lineari attivi strategie connesse alla memoria semantica[1].
 
2.3.La dimensione socio-relazione e caratteriale
A partire dagli anni ‘80 molti studiosi hanno evidenziato il ruolo che il contesto sociale svolge nell’apprendimento. Riechmann e Grasha (1982) definiscono l’apprendimento come un processo di natura sociale, influenzato perciò anche dai differenti approcci individuali all’ambiente classe, al rapporto con i compagni e con l’insegnante. Sono state prese in considerazione alcune dicotomie (competizione/collaborazione; intrasoggettività/intersoggettività; indipendenza/dipendenza), che si possono considerare come gli estremi di un continuum di atteggiamenti socio-relazionali. Il nostro stile d’apprendimento linguistico può assumere connotazioni socio-relazionali ben precise, collocate in un punto del continuum. Le principali categorie da tenere in considerazione sono dunque:

  • competizione vs. collaborazione: la motivazione che muove all’apprendimento può essere di carattere competitivo e dunque legata alla necessità di emergere nel gruppo classe, di ricevere riconoscimenti, e di lavorare individualmente; o di carattere collaborativo, e dunque legata alla necessità di lavorare insieme agli altri, condividere esperienze, conoscenze, compiti;
  • intrasoggettività vs. intersoggettività: sono categorie legate alla percezione di sé in relazione all’ambiente e alla cultura d’appartenenza. In sede di apprendimento, una personalità intrasoggettiva predilige l’autoanalisi, l’autovalutazione e anche in contesti cooperativi tende a mettere in evidenza il proprio personale contributo al gruppo e a ricercare il contributo che il gruppo può dare alla propria crescita personale. Uno studente intersoggettivo predilige la socializzazione, la conoscenza dell’altro e apprende attraverso la mediazione sociale e la condivisione delle conoscenze;
  • indipendenza vs. dipendenza: un allievo può manifestare un desiderio di autonomia e indipendenza nel rapporto con la classe, l’insegnante e il compito, preferendo lavorare da solo; al contrario uno studente dipendente vede l’insegnante come autorità, tende a seguire rigorosamente le sue indicazioni e ha poca percezione della sua autonomia formativa.

Il modo in cui instauriamo determinate relazioni nell’ambiente d’apprendimento, e dunque assumiamo particolari atteggiamenti socio-relazioni, può essere originato, o perlomeno influenzato, anche da alcuni tratti del nostro carattere[2]. Un allievo estroverso, ad esempio, potrà dimostrare più probabilmente una certa indipendenza, si sentirà più sicuro delle proprie capacità e potrebbe manifestare il desiderio di autonomia. Viceversa, uno studente introverso sarà potenzialmente anche intrasoggettivo e meno sicuro all’interno dell’ambiente d’apprendimento.
 
2.4.Il rapporto con il sapere
Ogni persona decide di attivare certe strategie cognitive e matetiche anche in considerazione del proprio rapporto con ciò che si appresta ad apprendere. Nel caso specifico dell’apprendimento linguistico, che idea ha l’allievo della lingua che sta imparando? Quali motivazioni lo spingono ad apprenderla? A quale livello di competenza mira? In quanto tempo intende raggiungere tali obiettivi? Le risposte, assolutamente personali, a questi ed altri analoghi interrogativi determinano in ciascuna persona una certa visione dell’apprendimento linguistico che sta affrontando, e ciò ha dirette conseguenze nella formazione del suo stile matetico.
Un allievo può infatti dimostrare uno stile innovativo, che lo spinge ad andare oltre al compito assegnato, ad approfondire, e a livello cognitivo a ristrutturare i propri schemi mentali alla luce di quanto apprende; un allievo innovativo, dunque, non si limita ad incamerare lessico e strutture grammaticali, ma tende a rielaborarli in maniera personale, probabilmente perché mosso da una motivazione profonda all’apprendimento linguistico. Al contrario, chi manifesta uno stile conservativo tende ad accumulare nozioni, concetti, lessico e strutture morfosintattiche, limitandosi però al semplice riutilizzo, senza una vera rielaborazione del materiale appreso. Riprendendo la terminologia proposta da Guilford (1967), di fronte ad un’attività di problem solving, uno studente conservativo svilupperà forme di pensiero convergente, limitandosi all’informazione data e seguendo un percorso lineare, sequenziale che converge in un’unica risposta, mentre un allievo innovativo svilupperà il pensiero divergente, dimostrandosi aperto alla novità, mettendosi in discussione, e partendo dall’informazione data per procedere in modo autonomo, creativo, originale.
A livello caratteriale, infine, gioca un ruolo essenziale il grado di riflessività o impulsività rispetto al compito da svolgere. Vi sono infatti studenti fortemente impulsivi, che preferiscono attività rapide e varie e prediligono l’azione rispetto alla riflessione, e studenti riflessivi, che invece desiderano avere a disposizione tutto il tempo necessario per svolgere le attività tranquillamente, senza ansia né fretta. Gli impulsivi potenzialmente sviluppano una concezione pragmatica della lingua e sentono il bisogno di comunicare fin dai livelli più bassi, mentre gli allievi riflessivi attribuiscono notevole importanza alla correttezza formale e spesso preferiscono prima imparare strutture ed arricchire il lessico, e solo in un secondo momento riutilizzare quanto appreso per comunicare.
 
2.5.Un meta-fattore: la cultura
Ogni cultura si fonda su un’idea di persona, e propone perciò modelli produttivi, educativi, sociali, privilegiando alcuni stili lavorativi o di apprendimento, che più si avvicinano a tale idea. Ciascuno stile d’apprendimento è dunque in gran parte condizionato dalla cultura d’appartenenza dell’individuo, che costituisce una sorta di meta-fattore, in quanto permea ciascuna delle dimensioni analizzate finora, influenzandole in diversa misura.
Così, ad esempio, spesso nella cultura scolastica occidentale si privilegiano i canali sensoriali visivo e auditivo, si attribuisce molta importanza alla scrittura e, negli ultimi tempi, si tende a non ricorrere eccessivamente alla memorizzazione come strategia matetica. A livello socio-relazionale, inoltre, prevalgono le dinamiche competitive e le personalità intrasoggettive, ed anche le tecniche didattiche cooperative vengono proposte in classe ed accettate dagli allievi a patto che venga chiarito da un lato il contributo del singolo al lavoro di gruppo e dall’altro l’utilità del gruppo alla crescita personale. Infine, spesso nella nostra cultura si promuovono gli stili esecutivi e le personalità impulsive, attribuendo valore positivo alla velocità con la quale si eseguono i compiti. Si pensi, ad esempio, a quante volte in contesto educativo, si tede a credere che la velocità sia sinonimo di bravura, mentre la lentezza sia sintomo di difficoltà o impreparazione.
L’insegnante che opera in contesti multiculturali dovrà avere piena coscienza che tali convinzioni sono assolutamente arbitrarie e culturalmente determinate, poiché ad esempio nelle culture orientali la velocità è percepita come superficialità, mentre la lentezza nello svolgimento di un compito viene considerata sinonimo di precisione ed accuratezza; vi sono poi culture come quelle africane, dove la lingua viene associata ad una pluralità di stimolazioni sensoriali (visive, verbali, musicali) e viene perciò appresa secondo modalità cinestetiche (Della Puppa, Vettorel, 2005).
Se da un lato è certamente vero che la cultura influenza il nostro stile d’apprendimento, dall’altro è necessario evitare di attribuire a questo meta-fattore un valore assoluto; si rischierebbe altrimenti di ricorrere a stereotipi culturali difficili da sradicare. In una ricerca condotta da chi scrive presso un Istituto veneziano di Lingua e Cultura Italiana a Stranieri, attraverso l’uso incrociato di molteplici strumenti di osservazione, è risultato, ad esempio, che una studentessa tedesca si dimostrasse ben disposta verso le attività cooperative e ludiche, e aperta verso nuovi metodi d’insegnamento linguistico, allontanandosi dall’immagine stereotipata dell’apprendente tedesco, individualista, serio e concentrato sulla grammatica. Allo stesso modo, uno studente spagnolo, che dunque nell’immaginario collettivo avrebbe dovuto essere dinamico, aperto, cooperativo, preferiva invece il lavoro individuale rispetto a situazioni che prevedono la collaborazione con i compagni (Daloiso, 2006). I risultati della ricerca sembrano sottolineare che prima ancora della dimensione culturale dell’apprendimento, vi è il singolo allievo, le cui peculiarità cognitive e personali potranno certo essere influenzate dalla sua cultura d’origine, ma saranno anche il risultato di esperienze e talenti assolutamente personali.
 
 
3.   Promuovere gli stili d’apprendimento in classe: proposte metodologiche
L’analisi degli stili cognitivi e di apprendimento di ciascun allievo costituisce un punto di lavoro imprescindibile per un insegnante che intenda porre realmente lo studente al centro del processo educativo. Ciò vale anche per l’insegnamento delle lingue, che non può avvenire secondo metodologie e tecniche universali, da adottare acriticamente ed indistintamente in qualsiasi contesto didattico[3], ma deve sempre partire dall’ambiente di apprendimento e dai suoi attori. Solo così si eviterà una didattica delle lingue fondata su lodevoli principi teorici, ma poi praticamente inattuabile.
In questa ultima parte del nostro contributo si delineeranno le tappe di un percorso ideale che ciascun insegnante dovrebbe seguire per rispettare e promuovere gli stili d’apprendimento individuali nella glottodidassi. Le tappe di questo percorso saranno:

  1. la riflessione meta-cognitiva e meta-didattica;
  2. l’analisi delle propensioni cognitive degli allievi;
  3. la definizione di mete glottomatetiche come parte integrante del curricolo;
  4. la progettazione di attività didattiche e modalità di lavoro in classe coerenti con le mete stabilite.

 
3.1.La riflessione meta-cognitiva e meta-didattica dell’insegnante
Prima ancora di osservare gli allievi, il primo passo che ciascun insegnante deve compiere consiste nel riflettere sul proprio stile d’apprendimento linguistico. A seconda di come è abituato ad apprendere le lingue, o di quali esperienze abbia vissuto, il docente più o meno consciamente si forma una certa visione della lingua da insegnare e di quali siano i modi “migliori” per apprenderla.
Qui di seguito proponiamo una griglia di analisi del proprio stile d’apprendimento linguistico, che pur non essendo esaustiva, può servire al docente come riflessione iniziale[4].

Alla luce dei risultati sulla sua riflessione meta-matetica, l’insegnante potrà poi compiere una riflessione meta-didattica, ossia interrogarsi su come il proprio stile d’apprendimento influenzi e determini anche inconsciamente alcune scelte didattiche quotidiane. Il docente potrà chiedersi, ad esempio:
·         Quali modalità sensoriali attivano solitamente le attività che propongo? Si tratta di attività prevalentemente scritte o orali? Uso realia in classe?
·         Amo proporre lavori individuali o a gruppi? Come organizzo i gruppi?
·         Come dispongo la classe?
·         Come guido la comprensione dei miei allievi? Con quali attività? Che tipo di comprensione richiedo? Uso tecniche di facilitazione della comprensione? Se si, quali?
·         Nella produzione dei miei allievi, quanto considero importante la correttezza formale e quanto l’efficacia pragmatica? Interrompo spesso gli allievi per correggerli?
·         Come svolgo le attività di riflessione metalinguistica? In maniera deduttiva o induttiva? In quale fase della lezione la propongo?
·         Come favorisco l’apprendimento del lessico? Cerco di contestualizzare il materiale da apprendere?
Questi sono solo alcuni degli interrogativi a cui l’insegnante deve cercare di rispondere, per mettere a fuoco i punti di forza e le debolezze del proprio stile d’insegnamento e, soprattutto, per rendersi conto di come molte scelte didattiche possano essere frutto di esperienze personali e di tecniche sperimentate come apprendenti, che possono aver funzionato per sé stessi, ma non per questo possono essere generalizzate.
 
3.2.Osservare l’allievo in azione
Un aspetto imprescindibile che precede la definizione di un curricolo linguistico è l’analisi del contesto nel quale l’insegnante andrà ad operare. Per poter stabilire obiettivi didattici, metodologie e materiali il docente dovrà raccogliere informazioni rilevanti rispetto ad alcuni fattori, tra cui il più importante è la conoscenza degli allievi. Sarà fondamentale perciò durante le prime lezioni cercare di conoscere gli studenti, i loro bisogni linguistici ed educativi, il loro livello di competenza linguistica e comunicativa (Ciliberti, 1994; Balboni, 2002).
Ma per poter operare scelte metodologiche consapevoli ed appropriate l’insegnante dovrà procedere ad un’analisi delle propensioni cognitive degli allievi, osservando cioè gli stili e le strategie da loro adottate a seconda delle situazioni d’apprendimento. Pur riconoscendo che gli stili cognitivi e d’apprendimento riguardano la sfera intellettiva e dunque sono difficilmente sondabili dall’interno (quante volte un insegnante vorrebbe sapere “cosa passa per la testa” ai suoi studenti!), è possibile comunque raccogliere dati dall’esterno, osservando cioè i comportamenti, le reazioni, le disposizioni degli allievi per tentare di disegnarne il profilo cognitivo.
Ciò che l’insegnante può fare è in sostanza dedicare le prime ore di un corso ad una serie di attività diagnostiche, diverse a seconda dell’età e del livello linguistico della classe, che richiedano l’attivazione di strategie d’apprendimento differenti, in modo che si possa osservare come l’allievo si pone rispetto a ciascuna situazione. Le attività diagnostiche non devono essere intese come momenti didattici aggiuntivi, che sottraggono tempo prezioso al lavoro quotidiano in classe. L’insegnante deve perseguire i suoi obiettivi glottodidattici, concretizzandoli però in attività diversificate che mettano in campo stili d’apprendimento differenti (cooperazione/lavoro individuale; scrittura/oralità; stimolo visivo/auditivo/multisensoriale; ritmi lenti/veloci…).
Come osservare? La ricerca applicata offre ormai strumenti validi e precisi, più o meno oggettivi, ma che comunque aiutano nella raccolta dati, come le schede di osservazione e i diari di bordo (per una panoramica completa si veda Coonan, in Luise 2003). Si potranno perciò utilizzare tali strumenti adattandoli ai propri scopi. Per facilitare e rendere al tempo stesso più attendibile l’osservazione è auspicabile inoltre la presenza di un osservatore esterno, che offrirebbe l’opportunità di un’osservazione da più punti di vista[5] e a più riprese.
Accanto a questa modalità d’indagine, essenzialmente indiretta, l’insegnante può optare per l’uso di strumenti diretti, nei quali si chiede esplicitamente agli allievi di riflettere sulle proprie modalità d’apprendimento. Tra le tecniche più semplici e utili all’inizio di un corso vi è la lettera all’insegnante: si chiede ad ogni studente di scrivere una breve lettera indirizzata al docente nella quale indicare le proprie aspettative sul corso, le tipologie di attività che vorrebbe svolgere e che ritiene più utili, motivando la scelta, le abilità che vorrebbe sviluppare, raccontando inoltre le esperienze pregresse di apprendimento linguistico. E’ inoltre possibile adattare per la didattica questionari e test sugli stili cognitivi e la dominanza emisferica, ormai ampiamente disponibili sul web[6], che ciascuno studente potrebbe compilare individualmente per poi confrontare le proprie soluzioni con quelle dei compagni e riflettere sulle risposte date.
 
3.3.La selezione di mete glottomatetiche
Dopo aver delineato le propensioni intellettive degli allievi, seppur non in maniera definitiva ed assoluta, il docente può stabilire alcune mete di carattere glottomatetico da raggiungere durante il corso. L’insegnamento delle lingue, infatti, soprattutto nell’ottica del life long language learning (Balboni, 2002), non può essere limitato allo sviluppo delle sole abilità linguistiche e comunicative, ma deve altresì mirare a sviluppare strategie di apprendimento linguistico adeguate ed una progressiva consapevolezza del processo matetico[7], in modo che l’allievo sia sempre più autonomo nel gestire, controllare e autopromuovere il proprio apprendimento. La glottodidattica perciò non ha esclusivamente una valenza strumentale, ma anche formativa ed educativa, mirando allo sviluppo armonico dell’allievo in tutta la sua persona; la promozione delle potenzialità insite nello stile d’apprendimento di ciascuno studente è perciò parte integrante delle mete educative che la glottodidattica deve perseguire[8].
Le mete glottomatetiche vanno intese come trasversali: non si tratta cioè di appesantire la didassi con ulteriori obiettivi e attività da aggiungere a quelli specificatamente glottodidattici, ma piuttosto di raggiungere le mete glottomatetiche attraverso quelle glottodidattiche, promuovendo la riflessione sulle strategie cognitive attivate dagli allievi durante le attività didattiche.
Risulta essenziale pertanto:

  • rendere l’allievo sempre più consapevole delle sue propensioni intellettive;
  • guidarlo verso l’attivazione consapevole delle proprie strategie di apprendimento;
  • educarlo alla flessibilità cognitiva, intesa come capacità di interagire con persone con uno stile cognitivo diverso, e disponibilità a modificare – almeno temporaneamente – il proprio stile per affrontare al meglio una situazione d’apprendimento.

Lo sviluppo della flessibilità cognitiva è una meta glottomatetica centrale perché crediamo che l’educazione linguistica sia anzitutto educazione alla vita, e nella società contemporanea sono sempre più frequenti situazioni lavorative o di studio che richiedono flessibilità, cooperazione e capacità di adattamento. La glottodidattica, dunque, può contribuire a sviluppare nell’allievo strategie d’azione, competenze relazionali, e una disponibilità a mettersi in gioco, che gli sarà d’aiuto anche in futuro.
 
3.4.Ripensare la glottodidassi in funzione dell’allievo
I dati ricavati dall’osservazione in classe devono infine incidere sul metodo di lavoro dell’insegnante, al quale viene richiesta la disponibilità ad adattare il proprio stile d’insegnamento alle propensioni intellettive degli allievi.
Verosimilmente ogni classe sarà caratterizzata da una varietà di stili d’apprendimento linguistico, e dunque il docente potrà giocare sulla varietà:

  • nelle modalità di gestione della classe: lavoro individuale, a coppie, a gruppi;
  • nella formazione dei gruppi, che si potrebbero strutturare in modo omogeneo o eterogeneo non solo per livello linguistico, ma anche per profilo cognitivo;
  • nella distribuzione dei compiti all’interno dei gruppi, in modo da valorizzare le predisposizioni individuali;
  • nel materiale didattico, attraverso il quale cercare di stimolare più canali sensoriali; si dovrebbero alternare con equilibrio testi orali e scritti, prevalentemente linguistici o iconici, e presentare realia ed oggetti autentici da vedere, toccare, usare;
  • nelle tipologie di attività, cercando di non privilegiare solo l’intelligenza linguistica e logico-matematica;
  • nel grado di strutturazione delle attività, alternando momenti didattici più guidati dall’insegnante ad attività con un maggior grado di libertà ed autonomia da parte dello studente, in modo da rispettare sia gli stili sistematici sia quelli intuitivi.

Questi sono solo alcuni esempi di variabili su cui far leva per rendere la propria metodologia didattica più rispondente alle esigenze di ogni singolo allievo.
 
In questo contributo abbiamo cercato di mettere in evidenza innanzitutto le dimensioni che caratterizzano il modo peculiare che ciascun allievo sviluppa per apprendere le lingue; in secondo luogo abbiamo tracciato un possibile percorso per gli insegnanti, con l’intento di sensibilizzarli alla riflessione sul tema degli stili d’apprendimento ed avanzare alcune proposte operative. Vorremmo concludere sottolineando che l’attenzione alle modalità d’apprendimento preferite dagli allievi non è mai superflua o secondaria: spesso infatti l’insuccesso scolastico è determinato anche da un’eccessiva distanza tra il metodo d’insegnamento adottato dal docente e le propensioni cognitive degli allievi. Il primo passo per accorciare tale distanza consiste proprio nel costruire un ponte tra insegnante e studente, operando scelte glottodidattiche che nascano dal contatto tra il docente, portatore di esperienza e professionalità, e gli allievi, portatori di bisogni, aspettative, motivazioni, competenze, talenti.

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Michele Daloiso

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