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Scuola

La Scuola delle Intelligenze

1- GARDNER VS FODOR

La teoria delle intelligenze multiple (Multiple Intelligence Theory, MIT) ha avuto un’incidenza considerevole nella pedagogia contemporanea: basta fare una ricerca su Amazon e scorrere velocemente i cinquecento titoli disponibili all’acquisto per farsi un’impressione rapida della portata del fenomeno.
Elaborata nel 1983 da Howard Gardner (Frames of Mind, in italiano con il titolo Formae Mentis), psicologo di Harvard, la teoria è andata pian piano raffinandosi, sino a giungere alla versione ultima del 1999 (Intelligence Reframed).
Gardner si pone su un piano differente rispetto alla visione tradizionale che concepisce l’intelligenza come facoltà unitaria, che si applica in maniera flessibile a informazioni di diversa natura (di ordine logico, linguistico, spaziale, ecc). Piuttosto, egli è convinto che la mente altro non sia che il risultato di un cooperative learning tra strategie relativamente autonome, venuto ad affermarsi lungo l’arco evolutivo che ha portato all’affermazione dell’Homo Sapiens. La mente è, in altre parole, la somma di diverse operazioni cognitive e non il contrario, non sono queste cioè che discendono da una facoltà autonoma e centrale.
La visione di Garder ha una notevole affinità con quella elaborata, sempre nel 1983, da Fodor e con quella proposta da Barkow, Cosmides e Tooby (1992).
Per Fodor, e similmente gli altri autori, la mente si compone di moduli separati: sono facoltà che permettono di percepire ed elaborare informazioni che provengono dai sensi: i suoni, le sensazioni, ecc., e che riguardano pure il linguaggio. Questi moduli sono programmati biologicamente e identificabili in ambiti cerebrali distinti. La sintesi e la elaborazione dei contenuti provenienti dai moduli, viene realizzata da sistemi centrali, dice Fodor, che, a differenza dei moduli, hanno una base neuronale distribuita, operano più lentamente, sono soggetti alle influenze ambientali. Una architettura così complessa risponde a necessità di adattamento: in determinate situazioni, i nostri antenati erano costretti ad azioni rapide e istintive: fuggire, attaccare, difendersi; in altre circostanze si è rivelato più proficuo ragionare, soppesare le alternative, immaginare, ecc. Del resto, se esistesse un solo programma di apprendimento multifunzionale (come affermano, invece, la psicologia cognitiva computazionale, l’epistemologia genetica di Piaget e la psicologia storico-culturale di Vygostski), avremmo a che fare con uno strumento troppo lento, che non darebbe ragione alla rapidità e all’efficacia con cui vengono elaborate le informazioni della vita reale (Garcia Garcia 2001). Per di più, la straordinaria capacità di assimilazione di conoscenze da parte del bambino (Mehler, Dupoux 1990), pare meglio compresa a partire da una mente strutturata per moduli (Garcia Garcia 2001).
La differenza tra i moduli, che sono “ciechi”, e le operazioni cognitive, che sono “intelligenti”, induce Fodor a ritenere che solo i primi si prestino ad essere investigati scientificamente, le seconde non presentano alcun appiglio per essere comprese, non esistono cioè sistemi abbastanza semplici da essere isolati artificialmente e che diano luogo, in tali condizioni, a comportamenti simili a quelli che si sperimentano spontaneamente.
Le intelligenze di Gardner, a differenza dei moduli di Fodor, non hanno un carattere chiuso, incapsulato, autosufficiente. Sono universali cognitivi (che accomunano tutti gli umani, in quanto appartenenti alla medesima specie), aperti all’esperienza da un lato, e che presentano, all’interno di sé, dall’altro, le operazione centrali di cui parla Fodor: ci sono cioè memorie specifiche, processi specifici di risoluzione di problemi, di attenzione, di motivazione, ecc.
In termini generali, Gardner usa il concetto di potenziali bio-psicologici (atti a risolvere problemi o fabbricare prodotti apprezzati in una data comunità), per indicare la necessità di pensare tali facoltà come una via di mezzo, concettualmente parlando, tra la dotazione biologica (la loro sussistenza dipende dalla integrità di peculiari sistemi neuronali) e il risultato dell’interazione con l’ambiente (per quanto favorito dai geni, Mozart non sarebbe mai potuto diventare un genio, se invece di nascere nella raffinata Mitteleuropea fosse cresciuto nell’Inghilterra puritana, dove la musica era uno strumento del diavolo).
Anche se è ovvio che le nostre azioni sono frutto di una operazione di sintesi, tanto che è impossibile, nella vita quotidiana pensare a un’azione che comporti l’esercizio di una sola intelligenza (l’atto stesso di scrivere questo articolo fa appello, oltre alle mie conoscenze linguistiche, a un certo senso della logica, che mi consente di distribuire i concetti con ordine, e a un’intuizione sociale, dato che mi trovo a inferire i bisogni dei lettori), Gardner non si spinge a chiarire a cosa si debba tale conciliazione. In alcuni passi, azzarda l’analogia con casi di organizzazione spontanea tra gli individui (“molti gruppi, artistici e sportivi, raggiungono buoni risultati senza un leader designato, e sempre più lavori d’equipe sono organizzati sulla base di criteri che non sono gerarchici”; 1999b); più spesso lascia aperta la porta all’ipotesi di strutture presenti nei lobi frontali a cui sarebbero demandate tali funzioni esecutive, strutture che potrebbero essere sovra-intelligenti o rimandare all’intelligenza intrapersonale (Gardner 1999b).

2- LE INTELLIGENZE

Quante e quali sono le intelligenze?
Il modello tuttora ne riconosce otto –ma il numero è provvisorio: se venissero soddisfatti i criteri di validazione, ulteriori abilità potrebbero essere dichiarate intelligenze:
– l’intelligenza linguistica; permette di comprendere e produrre testi, è valorizzata nel sistema educativo occidentale (assieme a quella logica). Di essa danno prova uno scrittore, un giornalista, un oratore. Nonostante sia venuta a dipendere, nel corso dell’evoluzione, dall’apparato fonatorio, si sviluppa anche in persone che non possono parlare, come i sordomuti, contando sull’uso dei gesti.
– L’intelligenza logico-matematica; si forma a partire dal confronto tra quantità di oggetti e obbedisce alle tappe evolutive chiarite da Piaget, procedendo da operazioni concrete a operazioni via via più astratte. È l’intelligenza di un logico, di un matematico, di uno scienziato.
– L’intelligenza spaziale; ha a che fare con la percezione dei volumi e degli spazi, e con la trasformazione degli stessi attraverso l’immaginazione. Non è vincolata alla vista, come si potrebbe supporre: un non vedente sviluppa la sua percezione dello spazio attraverso il tatto. È l’intelligenza del pilota, dello scultore, del navigatore, del designer, del giocatore di scacchi e del chirurgo.
– L’intelligenza musicale; è la capacità di apprezzare, suonare o comporre brani musicali. Un musicista, un cantante, un compositore possiedono tale abilità.
– L’intelligenza corporeo-cinestetica; consiste nell’abilità di confezionare manufatti o realizzare movimenti che richiedono un controllo senso-motorio. Il corpo è un veicolo potente per una pratica intelligente e consapevole; ogni azione volontaria impone un’interazione complessa tra percezione, centri nervosi (talamo, gangli basali, cervelletto, porzioni della corteccia) e muscoli, in un circolo dinamico tra azioni e valutazioni sull’agito. Tale è l’esperienza di un atleta, di un cesellatore, di un cuoco.
– L’intelligenza intrapersonale; consiste nella capacità di percepire e governare le proprie emozioni e i propri pensieri. Una buona conoscenza di sé è la base dell’autoregolazione. Scrive Gardner: “Noi siamo attratti dalle persone che hanno una buona comprensione di sé, in quanto queste persone tendono a non perdersi d’animo: sanno ciò che possono fare e ciò che non possono fare. E sanno anche dove andare a chiedere aiuto, se ne hanno bisogno” (Gardner, Checkley 1997). Un terapeuta deve possedere, per definizione, questo tipo di intelligenza.
– L’intelligenza interpersonale; è l’altra faccia della medaglia: grazie ad essa si comprendono le intenzioni, i desideri, le attitudini degli altri. Le due intelligenze personali si rinforzano a vicenda: meglio mi conosco più abile sono a cogliere le emozioni degli altri, così come riflettere sul comportamento di qualcuno, mi aiuta a comprende certi miei stati d’animo. Le intelligenze personali corrispondono all’intelligenza emotiva di cui parla Goleman, con la differenza che per Gardner l’intelligenza prescinde dalla morale: tanto è intelligente un uomo integro come Gandhi quanto uno belligerante come Mussolini, capaci entrambi di influire sul comportamento degli altri. In quei mestieri che, più di altri, hanno a che fare con i bisogni e le necessità della gente, l’intelligenza interpersonale è altamente valorizzata; un assistente sociale, un sindaco o un educatore devono possederla più di quanto non venga richiesto a un programmatore di computer o a un biologo.
– L’intelligenza naturalistica è l’ultima ad essere riconosciuta da Gardner (1999b). Si è rivelata una capacità fondamentale per la nostra sopravvivenza, senza di essa non avremmo potuto distinguere prede da predatori e piante commestibili da piante non commestibili. Nelle società industriali, dove il legame con la natura è attenuato, essa si manifesta nel confronto qualitativo tra gli oggetti, nell’osservazione generale di analogie e differenze. Tanto un botanico quanto un ragazzino appassionato a collezionare pietre preziose o adesivi possiedono, dunque, questa abilità.
Candidata al rango di intelligenza è, da ultima, pure la competenza esistenziale, legata alle questioni fondamentali. Tuttora la ricerca è in fase di definizione (Gardner 1999b).

3 – I CRITERI

La forza epistemologica del pensiero di Gardner risiede in otto criteri, il primo dei quali consiste nel riconoscere che ci sono aree neurologiche da cui i sistemi di rappresentazione (le intelligenze) dipendono.
L’incontro con Geschwind, alla fine degli anni sessanta, si rivelò decisivo per far avvicinare Gardner, ricercatore in erba in psicologia, alle neuroscienze. Il resoconto di Geschwind sulle inabilità specifiche a cui erano andati incontro individui soggetti a trauma, infiammò Gardner e lo spinse a un lungo periodo di ricerca presso il Boston University Aphasia Research Center. Gardner fa infine corrispondere le intelligenze alle seguenti aree (1983, 1999a):
– l’intelligenza linguistica: emisfero sinistro, lobi temporali e frontali
– l’intelligenza logico-matematica: lobi parietali sinistri, e alcune aree temporali ed occipitali adiacenti; emisfero sinistro per la verbalizzazione; emisfero destro per l’organizzazione spaziale; sistemi frontali per l’attività di pianificazione e definizione degli obiettivi
– L’intelligenza spaziale: emisfero destro; area parietale; lobo occipitale
– L’intelligenza musicale: area temporale anteriore destra; lobo occipitale
– L’intelligenza corporeo-cinestetica: talamo, gangli basali, cervelletto
– L’intelligenza intrapersonale: lobi frontali
– L’intelligenza interpersonale: lobi frontali
– L’intelligenza naturalistica: lobo parietale sinistro

Ulteriori criteri su cui si basa la MIT sono di ordine psicologico, ontogenetico e filogenetico. Considerando per esempio l’evoluzione della nostra specie, è evidente che la mente non è qualcosa caduto dal cielo; piuttosto si è venuta formando sotto l’impulso di pressioni selettive che il nostro organismo ha dovuto affrontare nel suo processo di adattamento all’ambiente. In questo processo, alcuni sistemi di rappresentazione si sono affermati prima, come l’intelligenza naturalistica e quella sociale, e altri dopo, come l’intelligenza linguistica.
Non solo, considerando la vita del singolo individuo si possono riconoscere dei percorsi evolutivi differenti da intelligenza a intelligenza. Non è vero, quindi, ciò che Piaget pensava di aver fissato, l’esistenza cioè di tappe obbligate secondo le quali avverrebbe la conoscenza umana; l’opera dello psicologo svizzero ha un valore circoscritto all’ambito logico-matematico. Le altre intelligenze manifestano traiettorie diverse; alcune, come le conoscenze personali sono più precoci; altre sono più longeve, come la competenza linguistica e spaziale, se confrontate con quella matematica.
Ogni intelligenza, presenta inoltre una serie di “operazioni centrali”, o sottointelligenze: sistemi computazionali elementari e irriducibili. Per avere un governo sulla mia vita emotiva devo essere capace di consapevolezza, così come per poter apprezzare un brano musicale, devo percepire ritmo, timbro e melodia. Nelle varie culture, pur variando nei dettagli, si sono imposti dei sistemi simbolici attraverso i quali tali conoscenze sono state formalizzate: l’alfabeto per la lingua, le note musicali per la musica, i numeri per la matematica, ecc.
Sul versante più propriamente psicologico, Gardner osserva il caso dei bambini autistici e più in generale degli idiot savants, nei quali le intelligenze sono percepibili a nudo. Il protagonista di Rain Man, per esempio, manifesta capacità di calcolo sconosciute a gran parte del genere umano, eppure non è in grado di orientarsi in una città e ha le competenze personali di un bimbo di cinque anni. Più fortunato rispetto all’idiot savant, è il caso del bambino-prodigio. In genere i genî si distinguono in aree del sapere fortemente strutturate, in cui il peso dell’esperienza personale è meno sensibile, come appunto il calcolo matematico.
Infine, portano acqua al mulino della MIT due ulteriori riflessioni: l’indipendenza dei risultati conseguenti nelle prove psicometriche, i quali rimandano a competenze diverse (l’esito che un soggetto raggiunge risolvendo item linguistici non è predittivo delle sua performance in esercitazioni musicali, per esempio) e la concorrenza delle cosiddette sottointelligenze: “molti di noi non hanno problemi a camminare o a orientarsi mentre stanno conversando; le intelligenze coinvolte sono separate. Diversamente, troviamo spesso difficile conversare con qualcuno mentre stiamo risolvendo un cruciverba o ascoltando una canzone: in questi casi, le due manifestazioni di intelligenza linguistica sono in competizione” (Gardner 1999b).

4- LE APPLICAZIONI DIDATTICHE

Nell’atto stesso di presentare la MIT, conscio delle ripercussioni che questa avrebbe potuto avere nel mondo della scuola, Gardner delinea alcune prospettive pedagogiche (1983). Si tratta di un disegno che si va via via ampliando attraverso una serie di testi dedicati al tema (Multiple Intelligences: The Theory in Pratice, 1993; The Disciplined Mind, 1999), ultimo tra i quali, il volume di prossima pubblicazione: Multiple Intelligences: New Horizons (Basic Books).
La parola chiave che sintetizza le riflessioni è “didattica individualizzata”. Se è vero che gli studenti sono diversi per via dei sistemi di rappresentazioni preferiti, allora è compito dell’insegnante: a) compiere una ricognizione dei profili presenti in classe; b) promuovere una didattica e un testing che tengano conto dei dati emersi.
La rilevazione dei profili, ovvero la definizione della configurazione individuale delle intelligenze, deve essere frutto, dice Gardner, di una triangolazione di fonti e di dati (anche extrascolastici), raccolti lungo un certo arco di tempo e documentati in un portfolio. Vanno evitati questionari a tavolino, somministrati in ambienti asettici, per privilegiare invece compiti autentici, che il soggetto può affrontare nella vita reale. Il giudizio che si formula deve essere circoscritto all’hic et nunc, in modo da evitare di “etichettare” l’apprendente –il cervello, difatti, si evolve e non c’è motivo che un giudizio formulato oggi possa valere anche in futuro.
Una volta chiarite le potenzialità presenti in classe, il processo di insegnamento e valutazione dell’appreso deve comportare una varietà di stimoli. Una conoscenza dichiarativa va presentata attraverso diversi entry points, o punti di accesso. Un punto di acceso è una rappresentazione della materia che si serve del codice simbolico di una certa intelligenza. Il docente di storia può, per esempio, introdurre un concetto come l’Olocausto attraverso un punto di accesso narrativo (un racconto), uno logico-matematico (una statistica), uno estetico (un film), uno fondamentale (questioni di ordine esistenziale) o uno sperimentale (un role-play). In un secondo momento, il ricorso a metafore e analogie e l’uso di vari generi testuali può rivelarsi utile per approfondire il concetto. In sede di valutazione, il corrispettivo di un punto di acceso è un punto di uscita (exit point); si riconosce cioè all’allievo la possibilità di dimostrare quanto ha imparato attraverso il modo che gli risulta più congeniale. Per esempio, a seguito di una lettura l’allievo può rappresentare i contenuti del testo mediante la musica, il disegno, il mimo, le corrispondenze con la propria vita personale o di qualche persona conosciuta. In alcune scuole elementari statunitensi che si ispirano alla MIT sono allestiti i centri di apprendimento: aree della classe in cui gli allievi sperimentano materiali e tecniche relativi a ciascuna delle otto intelligenze.
Per quanto riguarda la didattica delle lingue, i testi di riferimento sono scarsi. C’è da dire che chi insegna una lingua straniera abitua l’allievo ad assimilare procedure più che concetti, quindi il discorso degli entry points pare venire meno.
Nella pratica poi succede che gli insegnanti capaci sanno indirizzarsi a tutte le intelligenze. Lo studente che ha una forte intelligenza logica può essere stimolato allo studio attraverso l’analisi induttiva delle forme; quello portato per la musica, può essere affascinato dall’acquisire le sottigliezze fonetiche; così, lo studio dei gesti può interessare lo studente che ha competenza cinestesica, la risonanza emotiva delle parole può risultare accattivante allo studente portato a riflettere su di sé, la dimensione pragmatica del linguaggio stimola lo studente che manifesta curiosità nel comprendere gli altri, il cotesto e, in generale, la disposizione del testo può risultare congeniale all’allievo competente a livello spaziale; quello che manifesta invece una intelligenza naturalistica può rimanere affascinato dall’analisi contrastiva e da riflessioni interculturali (analogie e differenze).
Detto questo, la MIT pare riconfermare alcune divisioni interne al linguaggio operate da linguisti ed esperti della comunicazione. L’insegnante può, del resto, contare sul vasto repertorio di tecniche e strategie che gli viene trasmesso da mezzo secolo di glottodidattica. La Suggestopedia può offrire esempi interessanti relativi alla dimensione spaziale e musicale; il Silent Way a quella logica e intrapersonale; il Total Physical Response (e la didattica ludica in generale) a quella cinestesica; il metodo funzionale all’esplorazione delle funzioni comunicative.
Colui che vuole applicare coerentemente la MIT all’insegnamento deve avere, in sostanza, uno sguardo (critico) rivolto al passato e uno rivolto al futuro: da un lato considerare l’eredità raccolta, dall’altro inventare attività e stimoli coerenti con la teoria.
Abbiamo inserito tra parentesi l’aggettivo “critico”, perché, tutto sommato, l’operazione non è innocente. Nell’atto di vagliare le attività, l’insegnante è tenuto a chiedersi se effettivamente lo stimolo usato è coerente con l’attivazione di una intelligenza o non è piuttosto un’azione estrinseca ai processi cognitivi, che ha a che fare cioè con una dimensione emotiva. Per offrire un esempio: far lavorare gli studenti a coppie o in gruppo non ha a che fare necessariamente con l’intelligenza interpersonale; è una modalità grata agli studenti estroversi, questo è certo, ma, se non è indirizzata, può risultare superficiale e non portare a una maggiore conoscenza/competenza interpersonale. Gardner è perentorio su questo punto: “In alcune classi, gli studenti sono incoraggiati a leggere e a risolvere problemi matematici con una musica di sottofondo. Ora, pure a me piace lavorare con una musica di sottofondo; tuttavia, a meno che io non mi concentri su di essa (ma allora non è più di sottofondo), la sua funzione è simile a quella di un goccia che cade dal rubinetto o al ronzio di un ventilatore” (Gardner 1995).
Non ci rimane che tornare al pensiero di cui sopra, in cui alludevamo alle distinzioni interne alla lingua in fonologia, sintassi, pragmatica, ecc., e consideravamo, come parte di una competenza comunicativa più generale, pure componenti extralinguistiche, come la cultura e il linguaggio non verbale. È da quel punto, in cui abbiamo, nostro malgrado, tratteggiato un’ipotesi di sottointelligenze dell’intelligenza linguistica, che il didatta è tenuto a partire, per inventare (o adattare) tecniche multimodali: insegnare, per esempio, la fonetica, attraverso il movimento, il racconto, la logica, lo spazio, ecc.

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