Introduzione
Ognuno di noi conosce il sentimento della gelosia, ognuno di noi, prima o poi nella vita, ci ha avuto a che fare. La provano i bambini nei confronti dei fratelli o di un genitore, la provano gli adolescenti nei confronti dei pari, la provano gli adulti per un’infinità di motivi che sarebbe impossibile elencare di seguito. In questo articolo, però, non parleremo di questo. Cercheremo invece di analizzare il sentimento (e il “fenomeno”) della Gelosia attraverso un approccio multidisciplinare, nel tentativo di mettere in evidenza alcuni suoi aspetti sconosciuti e talvolta sottovalutati.
Cos’è la Gelosia?
Il termine geloso deriva dal latino medioevale zelusus (pieno di zelo), a sua volta derivante dal greco zêlos, che stava ad indicare emulazione, invidia, rivalità. Ma nonostante l’etimologia del termine possa aiutarci ad inquadrare la gelosia entro un ambito di senso piuttosto definito, tentare di darne una definizione ben precisa risulta un’impresa tutt’altro che semplice. Infatti, anche se ha l’andamento tipico delle emozioni, in quanto può insorgere improvvisamente, ha un acme e spesso una fase di decadenza, è difficile stabilire se se ne debba parlare come di un’emozione o come di un sentimento. Probabilmente è più giusto trattare la gelosia come un’emozione quando si presenti in circostanze precise ed in modo brusco, accompagnata da un insieme di sistematiche tendenze all’azione e da modificazioni psicofisiologiche anche lievi, e parlarne invece come di un sentimento quando questo stato emotivo si stabilizza e viene facilmente evocato anche solo da minimi eventi esterni o rappresentazioni mentali auto-generate, dunque quando questo pervasivo e complesso stato affettivo-cognitivo occupa gran parte del vissuto (D’Urso e Trentin, 2001). In più, nel trattarla come sentimento, essendo caratterizzata da una straordinaria intensità, da automaticità, da esuberanza e dalla tendenza ad una progressiva intensificazione, la gelosia può anche essere considerata una passione (dal greco “patire”, pathêin), in quanto il geloso non agisce, ma subisce (van Sommers, 1993), o più precisamente prima di agire subisce.
Nella gelosia è possibile distinguere sia una componente interna che una componente esterna (Pines, 1998). La prima comprende emozioni (come dolore, rabbia, tristezza, paura), aspetti cognitivi (come rancore, autoaccusa, preoccupazione, autocommiserazione), e certi sintomi neurovegetativi (come un rapido afflusso di sangue alla testa, sudorazione e tremore delle mani, accelerazione della respirazione e del battito cardiaco) che non sempre sono visibili all’esterno; la seconda è invece maggiormente visibile e si esprime sulla dimensione dell’agire, attraverso vere e proprie manifestazioni comportamentali quali piangere, parlare del problema, usare l’umorismo, urlare, vendicarsi, usare violenza. È da sottolineare che la risposta di gelosia si può manifestare sia che la percezione della minaccia sia reale che immaginata, o addirittura che la stessa relazione sia immaginata.
Infine è possibile distinguere, in base al suo oggetto (D’Urso, 1995), tra gelosia materiale, nel caso in cui si faccia riferimento a sentimenti di cura ed apprensione nei riguardi di cose o attività, accompagnati da ansia e desiderio di esclusività, e gelosia romantica, espressione utilizzata da alcuni autori (vedi ad es. Mullen, 1990) e ormai usata comunemente in letteratura psicologica per fare riferimento alla particolare gelosia per una persona di cui temiamo di perdere l’affetto o l’amore esclusivo, dunque ciò a cui ci si riferisce comunemente quando si parla di gelosia.
Ma per ben capire cosa sia in realtà la gelosia, non possiamo esimerci dal fare le dovute distinzioni dall’invidia. Infatti, mentre l’invidia riguarda ciò che si vorrebbe avere ma non si ha, la gelosia riguarda ciò che si ha e che non si vorrebbe perdere (D’Urso, 1995). Perciò, nell’invidia, la persona è scontenta del fatto che un altro possegga ciò che lei stessa vorrebbe avere, sperimentando così una condizione di inferiorità per il solo fatto di non possederla, mentre nella gelosia emergono apprensione, ansia, sospetto o sfiducia, conseguentemente al timore di perdere un bene, o affetto ed amore, considerati di alto valore (Salovey e Rodin, 1986). Ma nonostante in letteratura questa distinzione sia frequente, Salovey e Rodin (1984) hanno mostrato come le persone in realtà usino i due termini come intercambiabili, riferendosi ad entrambi nello stesso modo ed associando ai due termini lo stesso tipo di sentimenti.
Gli Attori della Gelosia
Coi semplici tratti di un aforisma lo psicoanalista Adam Phillips (1996, p. 104) dipinge il classico quadro in cui la gelosia può prendere vita: “La coppia è una resistenza accanita all’intrusione di terzi […] In due si sta insieme, ma per fare una coppia bisogna essere in tre”. Secondo D’Urso (1995) i tre attori di questo dramma sono il Sé, la Persona Amata ed il Rivale. Ma mentre il Sé e la Persona Amata possono essere ben individuabili e reali, il Rivale può essere anche solo immaginato e temuto dalla persona gelosa. La gelosia poggia su una costellazione triangolare composta da questi tre elementi tipici e le emozioni e i sentimenti suscitati in un contesto di gelosia riguardano tutti e tre i protagonisti del triangolo. Nella fattispecie, il geloso subisce notevoli cambiamenti nella percezione del Sé, quale risultato dell’esperienza di paura di abbandono, rabbia, tristezza, vergogna e diminuzione dell’autostima. Inoltre subisce modifiche in termini di percezione (che diventa fortemente accentrata e minuziosa nei confronti di tutto quanto, direttamente o indirettamente, riguardi la Persona Amata), memoria (il geloso diviene capace di ricordare una grande quantità di elementi riguardanti direttamente o indirettamente la Persona Amata, a causa di un aumento abnorme e selettivo dei processi attentivi) e pensiero (oltre alle ruminazioni relative al pensiero dominante che scaturisce dalla gelosia, si verifica un fenomeno che somiglia, anche se superficialmente, al delirio di riferimento, a causa del quale nessun comportamento della Persona Amata risulta casuale, “neutro”, ma anzi contribuisce ad alimentare la gelosia ed a confermare eventuali sospetti).
Nei confronti della Persona Amata, il geloso esperisce essenzialmente sentimenti ambivalenti, che oscillano tra l’odio, la rabbia e l’ostilità da un lato ed il desiderio di vicinanza e di conoscenza dall’altro, ambivalenza questa che, mettendo a repentaglio l’immagine di un Sé coerente, si impone maggiormente alla coscienza del geloso.
Infine, nei confronti del Rivale, il geloso esperisce essenzialmente sentimenti di odio e desiderio di anhttp:\\/\\/psicolab.netamento. Verso il Rivale, però, vi può essere anche un desiderio di conoscenza, in quanto tale conoscenza permetterebbe al geloso di combattere meglio la gelosia, trovando ad esempio rassicurazione nei difetti del Rivale o avendo modo così di metterne in luce i lati negativi con la Persona Amata.
Circa i sentimenti provati nei confronti del Rivale è interessante notare che mentre gli uomini sono maggiormente gelosi di rivali che possiedono caratteristiche che essi stessi vorrebbero avere, dunque che incarnano l’Ideale del Sé, le donne sono maggiormente gelose di rivali che possiedono caratteristiche gradite al proprio partner (DeSteno e Salovey, 1996).
Le Radici Biologiche della Gelosia
Una Prospettiva Evoluzionistica
Secondo gli psicologi evoluzionisti, la gelosia comparve per la prima volta circa un milione di anni fa nelle pianure africane, dove il maschio preistorico temeva di doversi ritrovare ad allevare figli illegittimi, e dove la femmina temeva di rimanere senza cibo a causa di una fuga d’amore del compagno (Pasini, 2003). Lo stesso principio sembra animare, secondo gli etologi, i comportamenti di molte specie, ove pare che maschi e femmine si controllino a vicenda (Alcock, 1998). Ad esempio, in circa il 90 percento di tutte le specie di uccelli, durante la stagione riproduttiva, i maschi e le femmine instaurano degli stretti legami di coppia che sembrano precludere al compagno e alla compagna ogni opportunità di poliginia e di poliandria; oppure, i comportamenti di aggressione del pesce spinarello possono ricordare veramente la gelosia dell’uomo, quando attacca il rivale sessuale; o ancora, i maschi dei babbuini amadriadi, come quelli delle foche, sorvegliano attentamente le compagne e le mordono sul collo quando si distraggono a guardare in direzione di un maschio più giovane (van Sommers, 1993).
Charles Darwin individuò alla base della gelosia una ragione evoluzionistica (Pines, 1998), ritenendola una difesa istintiva della coppia. I comportamenti associati alla gelosia servirebbero ad aumentare le probabilità che i membri della coppia stiano insieme, si riproducano ed allevino i figli fino alla maturità, così da replicare i propri geni attraverso le generazioni. Ed il fatto che la gelosia compaia anche tra gli animali fu visto da Darwin come la prova che la gelosia è innata.
Dimorfismo Sessuale
Alla scelta di una lettura della gelosia in chiave evoluzionistica, soggiace l’implicita necessità di dover considerare l’eventualità di un dimorfismo sessuale, dato che in tale ottica le ipotesi riguardo le motivazioni che ne stanno alla base appaiono diverse per i due sessi. Come già detto, infatti, il maschio teme che la femmina si accoppi con altri maschi, dunque teme l’infedeltà sessuale, mentre la femmina teme che il maschio dopo averla fecondata la abbandoni, teme dunque un’infedeltà, potremmo dire, sentimentale, in quanto interessa più l’aspetto della costanza e dell’impegno da parte del maschio in un supporto costante. Tale presupposto ha dato origine ad un filone di ricerca volto a sondare l’aspetto dimorfico della gelosia e cioè come uomo e donna siano diversamente sensibili rispettivamente a segni di infedeltà sessuale o emotiva del partner. Buss (Buss et al., 1992) chiese ad un campione di studenti di college di immaginare il proprio partner in due situazioni ben definite: “in un contesto sessuale con un’altra persona” e “innamorato di un’altra persona”, chiedendo di indicare quale tra i due scenari li turbasse di più. Il 60% dei maschi indicò di essere maggiormente disturbato dall’infedeltà sessuale del partner, mentre l’83% delle femmine da quella emotiva.
Siccome si suppone che le differenze tra i sessi nella gelosia dipendano da diversi tipi di minacce all’ancestrale fitness riproduttiva di entrambi, possiamo pensare che tali differenze debbano scomparire nel momento in cui la riproduzione diviene chiaramente impossibile, e in particolar modo quando il partner, del sesso opposto, è coinvolto in una relazione omosessuale. Su questa ipotesi, Sagarin ed i suoi collaboratori (2003) hanno condotto uno studio su un campione di 420 studenti, somministrando essenzialmente lo strumento utilizzato da Buss nella sopraccitata ricerca, ma chiedendo ai partecipanti di immaginare un’infedeltà del partner di tipo omosessuale. I risultati ottenuti hanno confermato l’ipotesi: quando la riproduzione non è materialmente possibile, la competizione adattiva sembra sparire, in entrambi i sessi.
Tuttavia, Pines e Friedman (1998) ricordano che vi sono ricerche che non hanno rilevato differenze di genere nella gelosia, altre che hanno rilevato maggiore gelosia negli uomini rispetto alle donne ed altre ancora (vedi esempio Buunk, 1982, cit. in Pines e Friedman, 1998) che hanno rilevato che le donne sono più gelose degli uomini.
Ma se fino ad ora sembra essere confermata l’ipotesi di una forma di gelosia promossa dalla filogenesi come comportamento adattivo, che dà al maschio la certezza di allevare e proteggere una prole che possiede la metà dei propri geni, e che garantisce alla femmina sostentamento e protezione per sé e per la prole, quando osserviamo il comportamento degli scimpanzé, ossia quei mammiferi che condividono il patrimonio genetico umano nella misura del 98%, nascono le prime difficoltà. Ben lungi dall’essere competitivi, i maschi scimpanzé sono stati osservati adoprarsi in faccende di toilette personale, oppure lanciare occhiate distratte alla femmina con la quale si erano appena accoppiati, adesso nell’atto della copula con un altro maschio. Sono invece i piccoli scimpanzé che disturbano i maschi che copulano con la loro madre, ma in questo caso non si tratta di gelosia sessuale, bensì di un tentativo di differire una ulteriore gravidanza che sottrarrebbe loro cibo ed attenzioni (van Sommers, 1993).
Anche se l’indifferenza osservata nello scimpanzé sembra infliggere un duro colpo all’ipotesi di una gelosia universale, ciò non esclude automaticamente la possibilità di una base istintiva o organica della gelosia negli esseri umani.
I Correlati Fisiologici della Gelosia
Donatella Marazziti (Marazziti et al., 2003a) ha analizzato le radici biologiche della gelosia, individuando una diminuzione delle proteine trasportatrici della serotonina in 24 soggetti che dai risultati ad un questionario sulla gelosia mostravano una gelosia marcata. Pertanto, sembra che in presenza di gelosia, a livello fisiologico, si verifichi una riduzione di questo neurotrasmettitore. Resta comunque sempre da chiarire l’eterno dilemma della causalità: si è gelosi perché si è abbassato il livello di serotonina, o questo diminuisce a seguito della gelosia? In altre parole, è lo psichico che influenza il fisiologico o viceversa? Oppure entrambi si influenzano a vicenda?
E, infine, visto che la gelosia si estrinseca in un contesto sociale-relazionale, è doveroso chiedersi: quanto incide la Cultura nell’espressione della gelosia?
La Gelosia come Prodotto della Cultura
Prove Empiriche
Una replica della sopraccitata ricerca di Buss, condotta da Buunk (Buunk et al., 1996) adesso su campioni di studenti statunitensi, tedeschi e olandesi, tesa ad individuare eventuali differenze interculturali, ha portato agli stessi risultati dello studio originario: in tutti i campioni, i maschi sono risultati essere più disturbati dall’idea di un’infedeltà sessuale della propria partner, mentre le femmine da un’infedeltà emotiva. Ma questa replica ha apportato alla ricerca originaria un ulteriore contributo, riguardante appunto le differenze interculturali: nel campione statunitense, rispetto agli altri due, lo scarto in percentuale tra maschi e femmine risultava più marcato. Gli autori hanno interpretato la consistenza cross-culturale nella differenza tra maschi e femmine come prova di un dimorfismo sessuale nei meccanismi psichici che regolano la sensibilità agli stimoli che elicitano gelosia. Le differenze cross-culturali degli scarti in percentuale tra maschi e femmine nei vari gruppi, invece, sono la prova che questi meccanismi psichici sono sensibili alle norme culturali ed ai valori che riguardano l’uguaglianza dei ruoli, maschile e femminile, e la condotta sessuale. L’Olanda, infatti, rispetto agli Stati Uniti, risulta essere molto più egalitaria e liberale riguardo agli atteggiamenti sessuali (ad esempio, l’accettazione di una relazione sessuale extraconiugale) di uomini e donne.
Risultati simili erano stati ottenuti da una ricerca analoga condotta da Geary (Geary et al., 1995) che aveva confrontato un campione proveniente dagli Stati Uniti ed uno proveniente dalla Cina. Anche in questo caso in entrambi i campioni i maschi si erano dimostrati maggiormente disturbati dall’idea dell’infedeltà sessuale e le femmine da quella emotiva e, anche in questo caso, erano emerse differenze cross-culturali tra i due campioni. In particolare, nel campione di Statunitensi, entrambi i sessi hanno mostrato maggiore turbamento all’idea di un tradimento sessuale, rispetto ai rispettivi sessi del campione di Cinesi. Questo suggerisce che la gelosia sessuale potrebbe essere influenzata dalla diversa permissività sessuale nelle varie culture.
Tuttavia, la prova dell’esistenza di differenze interculturali nelle forme di gelosia non necessariamente intacca l’ipotesi di un suo fondamento biologico. Piuttosto è logico pensare alla gelosia come ad un’emozione, o un sentimento, a base biologica, talmente condizionato da fattori sociali e culturali da potersi studiare in modo soddisfacente come un fenomeno socialmente determinato (D’Urso, 1995). Infatti, la supposizione dell’esistenza di una base istintiva o biologica della gelosia negli esseri umani si fonda anche sulla constatazione che la gelosia è presente in tutte le società in cui si formano legami sessuali accompagnati da un investimento emozionale, compreso in quegli individui che hanno creato vere e proprie comunità all’interno delle quali la gelosia non avrebbe dovuto manifestarsi, raggiungendo tale scopo in maniera più o meno soddisfacente.
Osservazioni sul Campo
I Mormoni praticarono la poligamia, dal 1852, anno in cui fu sancito il “Principio di matrimonio plurimo”, fino a che fu abbandonata ufficialmente trentotto anni dopo (van Sommers, 1993). Tale Principio costituiva per la comunità dei Mormoni un atto di fede, che voleva rappresentare, attraverso comunioni terrene, la preparazione a future comunioni nell’aldilà. Ogni uomo poteva essere sposato a più donne, talvolta ne sposava più di una contemporaneamente, e le mogli dovevano fare figli ed occuparsi della casa; il sesso non doveva essere inteso come uno strumento di piacere personale e l’espressione della gelosia era severamente vietata dalla morale. Tuttavia, Young (1954, cit. in van Sommers, 1993, p. 80), un discendente del leader dei Mormoni, racconta del verificarsi di diversi episodi di gelosia manifesta, tra cui quello di una donna, la prima moglie di un anziano uomo che prese in sposa la propria domestica diciottenne, che non rivolse mai la parola alla nuova arrivata e non volle vedere il marito sul letto di morte, oppure di un’altra prima moglie che addirittura cacciò di casa la rivale.
Ma se da una parte i Mormoni aborrivano ogni tipo di attività sessuale edonistica, dall’altra gli Swingers, gruppi del Nord America degli anni 60, si organizzavano proprio per fare dell’attività sessuale una pratica ricreativa (van Sommers, 1993). Gli Swingers vengono comunemente considerati persone con un diverso atteggiamento verso le relazioni durature, con un approccio edonistico nei confronti del sesso, persone che si sono emancipate dalla gelosia e che provano la loro libertà emozionale tollerando le relazioni extraconiugali del partner. Gli Swingers di Chicago, racconta Bartell (1970, cit. in van Sommers, 1993, p. 88), avevano diversi modelli di attività sessuale: scambio partner, scambio aperto (incontro tra due coppie, con esclusione di attività omosessuale maschile), gruppo chiuso (incontro di gruppo dal quale si formavano nuove coppie che si ritiravano in privato), gruppi aperti (attività sessuale di gruppo associata a voyeurismo e all’uso della fotografia) e terzetti (composti generalmente da due donne e da un uomo). La regola principale era che, al di là dell’effettivo scambio sessuale, non dovessero sussistere segni di attrazione e di affetto. A volte, però, sotto l’effetto dell’alcol, si verificavano situazioni di esplicita rivalità sessuale da ambo le parti. Più spesso capitava, osserva Bartell, che alcuni partecipanti restassero “bloccati emozionalmente” finché non rientravano a casa, dove la loro gelosia si esprimeva in rapporti sessuali appassionati.
Quando fu studiata da Pines e Aronson (1981) la comunità dei Kerista, composta da nove donne, sei uomini e due bambini, esisteva in California da circa dieci anni. Tra i divieti imposti dal contratto sociale di questa comunità vi erano quelli di avere relazioni sessuali con esterni al gruppo e di avere favoriti all’interno del gruppo stesso. Inoltre, i loro incontri e la loro attività sessuale erano diretti da un sistema di rotazioni settimanali tra i compagni di letto, con relative regolamentazioni degli orari. Tutto questo doveva servire, in teoria, a mettere al riparo dalla gelosia sessuale i membri del gruppo. La comunità si basava sul principio della comunione dei beni, ed a quanto pare anche degli affetti, ed era proprio su questo principio che faceva forza l’idea dell’abolizione della gelosia. Se la gelosia, infatti, deriva dal timore della perdita di ciò che si possiede (o che si presume di possedere), l’eliminazione del senso del possesso avrebbe dovuto allontanare il timore della perdita.
Ciò che ci lascia perplessi circa tale ipotesi è l’aver sottovalutato la forza del fantasma della perdita che risiede in ogni individuo e del vissuto di mancanza che lo abita costantemente. Se il partner sentimentale è il rappresentante simbolico dell’Altro, e se è il riconoscimento da parte dell’Altro (quindi del partner) che caratterizza il soggetto e lo rende unico, è inevitabile che in una situazione di promiscuità del partner il fantasma della perdita si ripresenti puntuale, mantenendo il soggetto sotto costante minaccia di annientamento.
In realtà i risultati dello studio di Pines e Aronson confermano in parte le differenze tra il gruppo dei Kerista e i due gruppi di controllo, uno di Americani e l’altro di Israeliani, utilizzati per la ricerca. A seguito del questionario somministrato in detta ricerca, rispetto ad Americani e Israeliani, i Kerista sono risultati essere molto più aperti circa esperienze sessuali extra-coppia del proprio partner ed hanno trovato gli effetti positivi della gelosia (ad es. la gelosia è una manifestazione d’amore) essere meno veri, come quelli negativi (ad es. la gelosia limita la libertà del partner) essere meno falsi, rispetto agli altri due gruppi. C’è da chiedersi però quanto tali convinzioni non fossero il frutto della scelta di vita intrapresa (anche se la costituzione stessa di una comunità chiusa non rappresenta altro che il risultato di un gelosissimo investimento) e della necessità di confermare detta scelta, così da evitare il prevedibile insorgere di dissonanza cognitiva. Difatti, non è emersa differenza nei tre campioni in termini di gelosia, dall’analisi retrospettiva di infanzia, adolescenza e prima età adulta. Questo può far pensare che la presunta scomparsa di gelosia nei Kerista fosse in realtà il risultato di un adattamento ad una nuova struttura di regole e di valori cui ognuno di loro si è dovuto adattare. Non a caso, Pines e Aronson riportano una vicenda riguardante Azo, un membro dei Kerista, che aveva manifestato risposte di gelosia quando la propria partner, come da turnazione settimanale interna, si era recata con un altro Kerista ad un festival erotico. Subito la gelosia di Azo era stata discussa con gli altri membri della comunità che gli avevano ricordato il principio di non preferenzialità che sta alla base del contratto sottoscritto all’ingresso nella comunità e che lo avevano rassicurato circa il timore della perdita di intimità con la propria partner.
Adesso ci dobbiamo chiedere: è sufficiente sottoscrivere un contratto per eliminare la gelosia? E ancora, è sufficiente adottare un nuovo schema di regole e di valori, all’interno del quale la gelosia non è contemplata, per eliminarla del tutto dalla propria sfera emotiva? O la gelosia deriva dal fantasma della perdita radicato nelle prime e formative esperienze di vita?
Gelosia Patologica
Secondo D’Urso (1995) per meglio capire la gelosia, è utile considerarne le sue manifestazioni patologiche, in quanto per Freud anche chi si considera normale, di fatto non è esente da tendenze patologiche, o per meglio dire, immature e regressive. Nel suo senso originario, infatti, patologia è sinonimo di vulnerabilità, in quanto ognuno di noi è stato abbandonato, ha pianto, si è disperato per la solitudine ed ha dovuto rinunciare al mito del possesso esclusivo della figura materna, anche se poi ha dimenticato i desideri e le perdite. Ma la gelosia adulta è alimentata proprio da queste esperienze, la cui eco arriva amplificata alla coscienza, provocando reazioni intense ed inappropriate rispetto alla realtà oggettiva della situazione, nella quale si ripete l’Erlebnis di un antico conflitto e dell’infedeltà ad un amore che doveva essere esclusivo.
Nosografia Attuale
Nel DSM-IV (1994) il delirio di gelosia è classificato tra i disturbi deliranti e, per il fatto che ha in genere un carattere ben strutturato, elevata consistenza interna ed alta pervasività, tende spesso ad identificarsi come un disturbo nosograficamente indipendente (Pancheri et al., 2002). Contenuto dominante è la convinzione dell’infedeltà a livello affettivo ma soprattutto sessuale del proprio partner (in genere coniuge). Detta convinzione è raggiunta senza nesso di causalità evidente ed è basata pertanto su un’inferenza illusoria, supportata da prove insufficienti (come ad esempio il rinvenimento di macchie sulle lenzuola) raccolte per giustificare lo stesso delirio (American Psychiatric Association, 1994).
Le caratteristiche tipiche di un delirio di gelosia sono la ricerca continua e ossessionante di prove e di indizi, perseguita spesso con modalità inusuali, la tendenza a dare un significato di prova a fatti e osservazioni obiettivamente irrilevanti, la totale impossibilità ad accettare un possibile dubbio anche di fronte ad ogni evidenza contraria o anche alla totale assenza di ogni supporto concreto per la convinzione del paziente. Uno dei caratteri più tipici del delirio di gelosia non è tanto quello di una convinzione di infedeltà centrata su di un’unica e specifica persona, quanto l’attribuzione al partner di una molteplicità di relazioni più o meno transitorie ed occasionali (Pancheri et al., 2002).
Con frequenza non molto elevata, il delirio di gelosia può comparire nei disturbi affettivi ed in particolare negli Episodi Depressivi Maggiori, mentre è spesso riscontrabile nell’alcolismo cronico. Già Emil Kraepelin (1856-1926), molto probabilmente sull’onda di pensiero di von Krafft-Ebing (1891, cit. in van Sommers, 1993, p.191), aveva annoverato nella sua classificazione dei disturbi psichici il “delirio di gelosia degli alcolisti” tra gli effetti degli “Avvelenamenti da sostanze” (Roccatagliata, 2002). Infine, nel DSM-IV la gelosia patologica è menzionata anche tra i sette criteri per la diagnosi del Disturbo Paranoide di Personalità (American Psychiatric Association, 1994).
Criteri di Valutazione
È chiaro, dunque, che la gelosia patologica può assumere varie forme, a seconda che esista un rivale o meno, che il soggetto abbia fantasie o meno, oppure a seconda della stranezza delle accuse, del tipo di episodicità, della lucidità di cui dispone il soggetto. Ma dato il carattere di “possibilità” e di “comprensibilità” del contenuto di gelosia, e data la frequente scarsità di altri disturbi psicopatologici concomitanti, è talvolta difficile esprimere un giudizio sulle caratteristiche deliranti o meno delle convinzioni del paziente (Pancheri et al., 2002), così da risultare estremamente difficile il tracciamento di una linea di confine tra gelosia “normale” e “patologica”. Facendo riferimento ai criteri diagnostici utilizzati nel DSM per la definizione di un quadro psicopatologico, sarebbe doveroso ritenere “patologica” la gelosia nel momento in cui questa causi un notevole disagio al soggetto e difficoltà interpersonali. Tuttavia non è possibile esimersi da una valutazione dei comportamenti che derivano dalla gelosia e definirla “anormale” nelle proprie manifestazioni e nei contenuti, qualora superi il livello considerato normale per una determinata società o cultura (Marazziti et al., 2003b). Un unico esempio risulterà sufficiente: Okimura e Norton (1998) raccontano dell’usanza diffusa tra gli uomini Kiribati (una cultura che abita un atollo del Pacifico) di asportare la punta del naso delle mogli ritenute infedeli, tagliandola con un coltello, con un rasoio oppure con un morso. La spinta che porta gli uomini Kiribati a tale gesto prende il nome di koko, una forza che deriva da una potente ed incontenibile gelosia sessuale; attraverso l’asportazione della punta del naso, il marito non solo deturpa l’aspetto della moglie, ma lascia su di lei un segno permanente del proprio koko, visibile agli occhi della comunità. È evidente come tale pratica, condivisa e promossa dalla cultura Kiribati, agli occhi della cultura occidentale possa apparire aberrante.
Conclusioni
Attraverso il nostro percorso abbiamo analizzato la Gelosia nei suoi molteplici aspetti (semantico, evoluzionistico, fisiologico, culturale, psicopatologico). Ciò che emerge distintamente è che non è assolutamente possibile attribuire l’origine della gelosia ad una soltanto di queste dimensioni. La Gelosia appare in prima istanza essere più un costrutto multidimensionale di tipo culturale a base fisiologica, promosso dall’Evoluzione per la garanzia della riproduzione della specie, anche se i dati a disposizione confermano solo in parte questa nostra affermazione.
All’atto pratico, nella vita di ogni giorno la Gelosia è spesso considerata il “sale della coppia”, perché riporta l’attenzione sull’importanza della presenza e dell’esclusività dell’altro, dando quindi sapore alla relazione. Ma quando la Gelosia è troppo forte cosa accade? Cosa accade se si rompe la saliera? A questo punto il problema del geloso non è tanto quello di sapere da dove la Gelosia provenga, quanto trovare il modo per allontanarla…